CHAMPION, Antoine
Figlio di Guillaume cosignore di la Bâtie (Gex), nacque nella prima metà del sec. XV. La famiglia Champion, originaria della Moriana, possedeva alcuni feudi nel Vaud, e all'epoca in cui visse lo Ch., che fu signore di Vaulruz, pare si fosse stabilita a nord del Lemano.
Come suo nonno, che era stato consigliere di Amedeo VIII, lo Ch. conseguì i titoli accademici in diritto, probabilmente a Bologna. È qui che risiedeva nel 1460: insegnava allora diritto canonico e rappresentava, come rettore, gli studenti transalpini. Ritornato in Savoia, entrò subito a far parte del Consiglio ducale. Nel 1464 fu a Parigi, insieme al duca Ludovico ed altri membri della corte sabauda e controfirmò tutte le lettere patenti trasmesse dal duca durante il suo soggiorno in Francia. Non sembra che abbia dovuto superare molte difficoltà per divenire membro del Consiglio di Amedeo IX, negli atti del quale viene regolarmente citato. Uno dei primi incarichi di cui venne investito fu quello assolto in Catalogna, ove si recò con i componenti una missione incaricata di contrarre un'alleanza tra Amedeo IX e Giovanni d'Angiò, duca di Lorena e di Calabria, che allora, facendo ricorso alle armi, cercava di far valere i suoi diritti sulla Catalogna (Gerona, 29 maggio 1467). Nell'agosto 1469, lo Ch. è citato, per la prima volta, come presidente del Consiglio insediato a Torino. Questa nomina - che rafforzava, senza dubbio, ai vertici dello Stato, le posizioni del partito savoiardo a danno dei Piemontesi - testimonia tuttavia la buona reputazione che lo Ch. godeva come giurista.
La difficile situazione politica, che si protrasse a lungo durante la reggenza di Iolanda e il regno di Filiberto I, contribuì a dare notevole prestigio politico al Consiglio. Ciò risultò evidente quando, nel corso del conflitto che nel 1471 oppose la duchessa Iolanda a suo cognato Filippo di Bresse, questi convocò gli stati a Chambéry in nome di Amedeo IX, ma di fatto di sua volontà. Tra lo Ch. e Filippo i rapporti non erano dei migliori perché, senza ostentazione ma anche senza debolezze, lo Ch. e la sua famiglia si erano sempre trovati con il partito che gli si contrapponeva. In questa occasione, forse non senza qualche esitazione, lo Ch. e il Consiglio di Torino si schierarono a favore di Iolanda. Il primo fu confermato in questo atteggiamento dalle minacce appena velate del duca di Milano, che riuscì così a ricondurre la Savoia, per breve tempo alleata di Venezia, nella propria orbita di influenza. Il 7 luglio 1471 fu firmato a Mirabello un accordo, che ristabiliva buone relazioni fra il duca di Savoia e Galeazzo Maria Sforza. In ottobre, lo Ch. si trovava a Vercelli, presso la duchessa, che sottoscrisse l'accordo. Ed a Vercelli dove Amedeo IX era appena morto, lo Ch. partecipò, nell'aprile 1472, all'Assemblea degli stati che conferì a Iolanda la reggenza. La duchessa lo confermò in tutti i suoi incarichi.
Negli anni seguenti lo Ch. fu impegnato in diverse missioni diplomatiche, alcune delle quali a Friburgo: nell'agosto del 1473 per ricevervi il giuramento di fedeltà della città; nel 1475 per richiedere - sembra invano - l'aiuto della stessa in favore dei feudi savoiardi nel Cantone di Vaud che erano stati attaccati dagli Svizzeri, impegnati nella lotta contro Carlo il Temerario. Nel 1474 venne inviato a Lucerna in occasione della Dieta dei Cantoni: scopo della sua missione - tardiva e inutile - era quello di sollecitare, a nome di Iolanda, la neutralità nella guerra fra Carlo il Temerario e Sigismondo, arciduca d'Austria. La sua presenza a queste trattative si spiega col fatto che la signoria di Vaulruz era molto vicina a Friburgo e che lo Ch. capiva il tedesco, dote non trascurabile per mantenere le relazioni con i Cantoni. Per lui, tuttavia, era questa l'espressione ufficiale della sua personale e attiva adesione all'alleanza tra i Savoia e la Borgogna; durante l'inverno 1475-76, infatti, fu impegnato, in Piemonte, a cercare i finanziamenti necessari alla politica filoborgognona di Iolanda.
Quando il pericolo si fece imminente a causa dei Vallesi - nel marzo 1476, infatti, essi minacciarono di scendere in Valle d'Aosta -, lo Ch. prese i provvedimenti necessari per far fronte alle più gravi eventualità. Tuttavia, appena appresa la notizia della disfatta di Carlo il Temerario a Morat (22 giugno), il g0verno sabaudo abbandonò l'alleanza e, in Piemonte, lo Ch. guardò a Milano: vi si recò in missione, probabilmente per sondare le intenzioni di Galeazzo Maria Sforza, ma al suo ritorno apprese che Iolanda era stata rapita e fatta prigioniera (26-27 giugno) da Carlo il Temerario. Lo Ch. insistette, innanzitutto, affinché il giovane Filiberto - il quale non era stato fatto prigioniero insieme con la madre - fosse condotto in Piemonte. Dall'incontro avuto a Milano, egli riportò inoltre fermi propositi ed assicurazioni di indipendenza nei confronti dei cognati di Iolanda, dei quali temeva la sempre crescente influenza conseguente alla vacanza del potere. Prima di tutto occorreva evitare che il re Luigi XI cogliesse il pretesto del rapimento e della prigionia di sua sorella Iolanda, per arrogarsi il diritto di amministrare gli Stati sabaudi tramite Filippo di Bresse e i suoi fratelli. I timori dello Ch. e del Consiglio di Torino non erano senza fondamento: infatti il 22 luglio Luigi XI nominò luogotenente generale in Piemonte lo stesso Filippo, che in agosto passò le Alpi. Di fronte a tale evento i Piemontesi si divisero, e benché il duca di Milano sollecitasse lo Ch. e il Consiglio a resistere, a questi ultimi non rimase che prendere atto di quanto stava accadendo. Bisognò attendere la fine dell'anno, perché la liberazione di Iolanda restituisse al Consiglio, e quindi anche allo Ch., dopo la partenza di Filippo, l'effettivo esercizio del potere. Agli inizi del 1478, lo Ch. fu di nuovo inviato in missione in Svizzera, allo scopo di ricevere a Ginevra, in nome di Iolanda, il Vaud restituito dietro pagamento di 100.000 fiorini. Senza dubbio in questa occasione egli promise la conferma delle franchigie di Nyon, e si recò a Berna in cerca di aiuti in favore del Basso Vallese, che i Vallesani occupavano sin dalla guerra, con il duca di Borgogna.
Dopo la morte di Iolanda (29 ag. 1478), lo Ch. e con lui altri membri del Consiglio di Torino si rivolsero contemporaneamente al re di Francia e a Bona di Savoia, reggente per il giovane duca di Milano, nel tentativo di ottenere, per loro mezzo, la presenza della corte in Piemonte. Tentativo destinato all'insuccesso, perché Filiberto, nell'aprile 1479, lasciò il Piemonte per riavvicinarsi allo zio Luigi XI. In febbraio lo Ch. si era messo nuovamente in viaggio alla volta della Svizzera, in compagnia di Urbano di Chevron-Villette, abate di Tamié, per abboccarsi con i confederati a proposito del nuovo governo sabaudo: essi vi si recarono dietro richiesta dell'Assemblea degli stati della parte occidentale del ducato, allora riuniti a Chambéry. Il 19 genn. 1480 Filiberto, che si trovava presso Luigi XI, nominò Louis de la Chambre luogotenente generale di tutto lo Stato sabaudo. Tale decisione relegava in secondo piano lo Ch. e il Consiglio di Torino. Le difficoltà provocate dal malgoverno del conte de la Chambre, cui si deve attribuire anche la responsabilità dell'arresto di Philibert de Grolée precettore del duca (settembre 1481), permisero tuttavia allo Ch. di riacquistare l'influenza perduta, riunendo a Torino gli stati del Piemonte e tentando di assicurarsi che la libertà d'agire di Filiberto I non fosse più ostacolata. Di fatto egli si associò al gruppo compatto dei prelati savoiardi - Giovanni Ludovico di Savoia, vescovo di Ginevra, Giovanni di Compey, vescovo di Torino, e Bonivard vescovo di Vercelli -, che avevano tutti interessi da salvaguardare in Piemonte, ed erano decisi a non lasciarsi soppiantare dal conte de la Chambre. Alla morte di Filiberto I, gli stati furono convocati e riuniti a Chambéry dove il nuovo duca Carlo I si recò soltanto nell'aprile del 1483, e dove lo Ch. fu nominato cancelliere di Savoia, il 22 aprile. La nomina pare abbia incontrato il consenso di quasi tutte le personalità influenti: prelati, giuristi e consiglieri, che presero la decisione in nome del giovane Carlo I allora quindicenne.
Probabilmente intorno a questa data lo Ch., rimasto vedovo, decise di prendere gli ordini minori. Si fece concedere un beneficio nella diocesi di Ginevra e fu nominato notaio apostolico. Quando la sede episcopale di Mondovì si rese vacante per la morte di Ludovico Fieschi, la corte di Savoia ottenne da Innocenzo VIII che lo Ch. fosse nominato quale successore del Fieschi. Le bolle furono spedite il 26 nov. 1484 e il neoeletto prese possesso della sua diocesi il 29 genn. 1485.
La scelta dello Ch. indica, senza dubbio, l'intenzione dei consiglieri di Carlo I di non lasciare al caso la scelta di colui che avrebbe dovuto essere una delle personalità più in vista di una città sottoposta a influenze politiche contrastanti. Tuttavia l'incarico di cancelliere impedì allo Ch. di risiedere stabilmente nella sua diocesi, dove non lasciò che poche tracce. Val tuttavia la pena di segnalare l'acquisizione che fece d'una reliquia di s. Donato, patrono della cattedrale di Mondovì: un frammento della mano del martire donatogli dal vescovo di Arezzo Gentile de' Becchi. Quale vescovo monregalese, il C. ebbe la commenda dell'abbazia di Borgo San Dalmazzo.
Divenuto cancelliere, si affermò a poco a poco come il personaggio più importante dello Stato, dopo i membri della famiglia ducale, abile nel farsi strada e sapendo imporre i suoi punti di vista. Cancelliere e presidente di una commissione incaricata espressamente di occuparsi del caso, non esitò a sentenziare contro Giano di Savoia, conte del Genevese, che si rifiutava di partecipare con il suo appannaggio al pagamento del sussidio imposto per le doti delle sorelle di Carlo I. Durante il regno di questo seppe rendersi indispensabile per il disbrigo degli affari, soprattutto quando la guerra contro il marchese di Saluzzo obbligò lo Stato sabaudo ad uno sforzo diplomatico e finanziario non indifferente. Sicché, quando il duca morì a Pinerolo nel marzo del 1490, nessuno si sorprese di vedere lo Ch. compiere, insieme con Francesco di Savoia, vescovo di Auch, e grazie anche all'appoggio dei Milanesi e degli stati del Piemonte, i passi necessari per garantire la reggenza a Bianca di Monferrato. Queste rapide manovre avevano lo scopo, almeno secondo l'opinione della maggioranza degli storici, di impedire a Filippo di Savoia, conte di Bresse, di approfittare della vacanza del potere ducale per imporsi di nuovo come responsabile del governo effettivo dello Stato. In effetti, tale ruolo era già stato assunto dall'arcivescovo d'Auch, al quale lo Ch. sembrava fosse strettamente legato. Il cancelliere s'impose come l'uomo del momento. Gli ambasciatori di Milano, così come il duca Gian Galeazzo e Ludovico il Moro, non si fecero illusioni sulle ambizioni dello Ch., ma fecero acutamente osservare che era necessario lusingarlo perché, insieme all'arcivescovo d'Auch, egli era la figura più importante del ducato, data la conoscenza che egli aveva dei segreti di Stato. Tali precauzioni si dimostrarono utili: lo Ch., infatti, si mostrò relativamente favorevole a mantenere buone relazioni con gli Sforza, e, nel luglio del 1490, fece parte della missione che si recò a Milano per il rinnovo del trattato di Mirabello.
La morte di Francesco di Savoia (6 ott. 1490) aprì la questione della successione alla sede episcopale di Ginevra, della quale aveva l'amminizione. La mancanza, nella casa di Savoia, di elementi adatti a ricoprire l'alto incarico, indusse Bianca di Monferrato, fortemente incoraggiata dal conte di Bresse, a far cadere la sua scelta sullo Ch. proprio quando il capitolo aveva eletto Charles de Seyssel, noto come il protonotaro d'Aix. Questi era appoggiato dal re di Francia Carlo VIII - che si considerava il protettore e il difensore di casa Savoia durante la minorità di Carlo Giovanni Amedeo - e da suo cugino, il turbolento Louis de Seyssel, conte de la Chambre. Da parte sua lo Ch. poteva contare non soltanto sull'appoggio di Bianca di Monferrato e di Filippo di Bresse, che avevano fatto di questa successione una questione personale, ma anche sul consenso indispensabile di papa Innocenzo VIII, probabilmente ben disposto per i favorevoli rapporti del nunzio Giacomo Gherardi, che non aveva avuto che da compiacersi per lo zelo dimostrato dallo Ch. nei confronti della S. Sede in occasione della riscossione di un sussidio diretto a finanziare la crociata. Il papa nominò lo Ch. con bolle del 5 nov. 1490 e il 20 marzo 1491 minacciò di scomunica Charles de Seyssel, il capitolo di Ginevra e i loro fautori, se non avessero permesso allo Ch. di prendere possesso della sua nuova sede. La lotta fu aspra perché le bolle pontificie restarono senza effetto e il re di Francia, risentitosi, minacciò apertamente suo zio Filippo di Bresse e, con lui, Bianca di Monferrato. Per ragioni di ordine familiare e politico - i due ultimi vescovi di Ginevra erano stati entrambi suoi fratelli - Filippo era ben deciso a sostenere il suo candidato. Forte delle bolle papali e non senza avere prima tentato di venire a patti con i ribelli, impose lo Ch. con la forza: dopo aver raccolto un piccolo esercito, il 24 maggio 1491 entrò a Ginevra. Alla fine dell'anno si recò a Parigi, in occasione dell'incoronazione di Anna di Bretagna: Carlo VIII gli accordò il perdono e accettò di riconoscere lo Ch. quale legittimo vescovo di Ginevra.
Fra gli atti compiuti dal nuovo presule nell'amministrazione della diocesi va ricordata, in particolare, la nomina di un ufficiale foraneo ad Annecy, su richiesta di Giano di Savoia, conte del Genevese, che colà risiedeva (28 maggio 1491). Dal 7 al 9 maggio 1491, lo Ch. riunì un sinodo nel quale egli confermò gli statuti dei suoi predecessori ai quali egli aggiunse ventuno nuovi articoli. Il tutto fu pubblicato a Ginevra nello stesso anno.
In quanto cancelliere, lo Ch. continuò a seguire la corte sabauda nelle sue peregrinazioni da una parte e dall'altra delle Alpi. Ancora attento alle delicate relazioni esistenti fra casa Savoia e il ducato di Milano, si recò in quella città, insieme con altri savoiardi, per assistere ai funerali di Gian Galeazzo Sforza, nell'autunno del 1494. Fu questa una delle sue ultime missioni. Morì infatti a Torino il 29 luglio 1495.
Appartenente alla media nobiltà savoiarda, lo Ch. non fece mai parte della cerchia dei grandi vassalli i quali, godendo di una sufficiente autonomia, potevano manifestare apertamente la loro indipendenza nei confronti del sovrano.
Il suo potere fu legato ai duchi e ai reggenti, e anche ai fratelli di Amedeo IX i quali, a seconda dei momenti, ressero le sorti, alquanto instabili, della dinastia sabauda. In questo difficile scorcio di Medioevo - qualora si voglia considerare con attenzione la complessa situazione politica del ducato durante la seconda metà del secolo XV e oltre - lo Ch. seppe assicurarsi la fama di uomo di grande autorità, fama alla quale contribuì senza dubbio il suo talento di giurista. Da questo punto di vista sarebbe utile esaminare con maggiore attenzione le numerose lettere patenti, alla cui stesura egli, senza dubbio, collaborò nella sua veste di cancelliere.
Purtroppo non siamo informati sulle ragioni che hanno spinto quest'uomo già in età matura alla vita ecclesiastica. Il fatto in se stesso non è eccezionale dati i tempi; ma l'importanza del clero nel sistema di governo sabaudo può far supporre che ad un simile passo da parte dello Ch. non fosse estraneo, forse, un secondo fine politico.
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