Antisemitismo
Il termine 'antisemitismo', preso in senso stretto, è usato impropriamente: com'è noto, infatti, anche gli Arabi sono semiti, mentre con antisemitismo si intende invece esclusivamente l'ostilità nei confronti degli Ebrei, un'ostilità che spinta all'estremo è arrivata sino al tentativo di sterminio. Tuttavia sarebbe assurdo, in nome di un purismo eccessivo, rigettare il concetto in sé come improprio, dal momento che a partire da Ludwig Marr (1879) esso fu scelto dai circoli antiebraici come propria definizione, venne ripreso dagli Ebrei per indicare i propri nemici e si è affermato infine come categoria oggettiva nella scienza storica. Quando si parla di antisemitismo, tutti sanno cosa si intende.L'antisemitismo moderno va distinto radicalmente dall'antico antigiudaismo, fondato su motivazioni religiose. Nell'ambito di quest'ultimo era possibile in teoria che le discriminazioni contro gli Ebrei fossero superate individualmente col battesimo. Di fatto però le cose erano più complicate, soprattutto se pensiamo alla figura del converso, quale compare in Spagna nel tardo Medioevo (1391) con i primi pogrom e i battesimi forzati. Il termine antisemitismo si afferma nel 1879, quando il passaggio dall'antico antigiudaismo cristiano al moderno antisemitismo razzista si è già pienamente compiuto. L'antisemitismo si oppone all'eguaglianza dei diritti civili degli Ebrei, ottenuta con l'emancipazione seguita alla Rivoluzione francese, ed è la reazione alla loro assimilazione. Esso attinge una vasta gamma di argomenti, pregiudizi e miti dall'antico antigiudaismo per conferire dignità storica all'ostilità nei confronti degli Ebrei. Tutto si condensa e si riassume nella questione ebraica.
L'antisemitismo può essere compreso solo se si tiene presente la storia degli Ebrei e dell'antico antigiudaismo, a cui esso si lega come ultimo anello di una lunga catena di misure e di disposizioni antiebraiche.
L'antigiudaismo e l'antisemitismo, come varianti del fenomeno più generale della xenofobia, furono alimentati in origine dal rifiuto dell"estraneo', tanto più che gli Ebrei spesso erano culturalmente superiori all'ambiente ostile in cui si trovavano a vivere, e ne erano per di più consapevoli. Una chiave per comprendere questa complessa situazione può essere offerta da un'analisi sociale della storia ebraica - a partire dai suoi mitici inizi con Abramo -, che tenga continuamente presente il cupo sfondo costituito da quasi duemila anni di persecuzioni.Il punto di partenza di tale analisi è dato dalla tensione implicita nella duplice posizione degli Ebrei, che rappresentano una religione (il giudaismo) e un popolo, anche se oggi l'idea di una razza ebraica dovrebbe finalmente essersi dimostrata un mito.
La superiorità socioeconomica e culturale degli Ebrei rispetto alle società che li circondavano trovò la sua espressione religiosa nell'idea di 'popolo eletto da Dio', dopo che con Esdra e Nehemia (450 a.C. circa) la religione ebraica si differenziò radicalmente dalle altre assumendo la sua configurazione peculiare, caratterizzata dal monoteismo astratto, dal rifiuto delle religioni orgiastiche del Medio Oriente e dalla rinuncia ai sacrifici umani, sostituiti con sacrifici animali. Dal monoteismo e dal culto di un solo e unico Dio, che non tollera l'esistenza di altri dei accanto a sé, deriva però logicamente una certa tendenza all'intolleranza religiosa; inoltre l'identificazione tra popolo e religione fece degli Ebrei i primi rappresentanti di una religiosità integrale, che rifiutava qualunque separazione tra Stato, società e religione.
Il grande ideale dell'ebraismo come religione e come comunità divenne dunque il ghetto messianico, cioè una comunità autosufficiente e governata dalla Legge (Torah), distinta e separata dal resto del mondo tramite l'endogamia. La rigida osservanza della Legge e l'esaltazione religiosa della storia del proprio popolo a partire da Abramo rappresentavano i due pilastri della religione ebraica, a cui si aggiunse poi la fede apocalittica nel Messia, che rifonderà il grande regno di David e, nel giudizio universale sulla collina di Sion, a Gerusalemme, vendicherà tutte le ingiustizie subite dagli Ebrei.
Nella realtà storica l'ideale del ghetto messianico non poté mai realizzarsi. Molti dei componenti delle famiglie ebraiche, di solito piuttosto numerose, dovettero affrontare il mondo per guadagnare da vivere per sé e per il nucleo residuo degli ortodossi integralisti, e per lo più trovarono sbocco nelle professioni liberali delle città, dove furono esposti alla pressione assimilatrice del 'mondo'. Come nelle altre grandi comunità religiose, i ceti superiori propendevano per l'assimilazione, mentre i ceti inferiori erano più inclini all'ortodossia fondamentalista dei fedeli alla Legge. La storia degli Ebrei procedette quindi in una tensione continua tra il tentativo di isolamento del nucleo ortodosso e l'inevitabile tendenza all'assimilazione delle frange esterne. Nello stesso tempo si svilupparono tra di essi varie categorie: dai devoti ultraortodossi ai religiosi liberali, agli atei, sino ai convertiti al cristianesimo (o all'islamismo). Questi ultimi possono essere chiamati in generale conversos, seguendo la denominazione coniata in Spagna, dove il fenomeno si verificò storicamente per la prima volta.
Per manifestare l'odio che sentivano per il proprio popolo, i conversos furono spesso i promotori delle persecuzioni contro gli Ebrei: lo zelo esagerato con cui essi avversavano la loro precedente religione aveva lo scopo di dimostrare la genuinità della nuova fede, e di consolidare, di conseguenza, la loro posizione nella società cristiana.Paradossalmente, però, le vittime della persecuzione antiebraica furono più spesso coloro che si erano assimilati sino a rinnegare il giudaismo, piuttosto che i 'devoti' contrari all'assimilazione. Essi, infatti, non solo divenivano dei concorrenti in campo economico per i popoli ospiti, i quali non avevano ancora compiuto il processo di urbanizzazione e modernizzazione, ma venivano considerati nel contempo come emissari dei loro 'cugini' ortodossi del ghetto messianico, sebbene se ne fossero distaccati per le scelte religiose. Il nucleo ortodosso in genere interveniva nei conflitti solo quando vedeva minacciata la propria particolare posizione nell'ambito religioso.
Dopo la guerra contro i Maccabei (167-160 a.C.) si erano già create le condizioni generali del grande conflitto greco-romano-ebraico, che introdusse per la prima volta i meccanismi dell'antigiudaismo/antisemitismo. Dopo la perdita della sovranità e dell'autonomia per opera dei Romani, nelle città dell'Oriente greco si venne a creare una sorta di concorrenza esplosiva tra Greci ed Ebrei in campo economico, sociale e religioso. La situazione divenne particolarmente critica soprattutto in quelle città (per esempio Alessandria) dove gli Ebrei, grazie al forte proselitismo e alla crescita naturale della loro popolazione, si avvicinavano a costituire la maggioranza. Il conflitto socioeconomico e religioso tra Greci ed Ebrei conobbe un'escalation con le grandi sollevazioni ebraiche (6070, 113-115, 132-135) sino allo scontro politico-militare con Roma, seguito dall'esilio (galuth). Nel corso del conflitto greco-ebraico nacquero stereotipi antiebraici che furono in seguito ripresi ed esasperati dal primo cristianesimo, soprattutto al fine di contrastare il forte potere di attrazione che il giudaismo continuava a esercitare: un numero cospicuo di clichés antiebraici fu tramandato, per esempio, dalla Chiesa greca di Bisanzio. La proibizione del giudaismo nei territori dell'Occidente romano riconquistati da Giustiniano (553-554) portò all'alternativa tra la morte e il battesimo forzato (608), che fu poi adottata, dal 616, dalla Spagna dei Visigoti.Gli Ebrei erano sistematicamente colpiti là dove detenevano le posizioni più prestigiose: dopo i massacri nelle città greche dell'Impero romano e i battesimi forzati a Bisanzio e nella Spagna cristiana, fu la volta dell'annientamento delle popolazioni ebraiche nella penisola arabica da parte dell'Islam nascente, già sotto Maometto (sino al 632). Il massacro di Granada del 1066 (all'inizio della sistematica reconquista cristiana della penisola iberica) diede una forte scossa alla posizione degli Ebrei nella Spagna musulmana, fino a quel momento relativamente tollerante: sotto la pressione delle sconfitte esterne, gli Ebrei divenivano così, per la prima volta, una sorta di parafulmine nelle crisi interne. Dopo la vittoria definitiva della reconquista, nel 1212, essi vennero considerati a poco a poco dei fastidiosi concorrenti dalla borghesia ancora debole delle città. Il ritorno all'alternativa bizantino-visigota tra morte e battesimo forzato - dopo massacri a carattere di pogrom - causò, a partire dal 1391, una prima ondata di profughi sefarditi nel Mediterraneo, e fece nascere in Spagna il problema dei conversos.Appena una generazione dopo il bagno di sangue nella Granada islamica, le crociate (1095-1270) segnarono, con i massacri delle comunità ebraiche, soprattutto nella regione del Reno, il graduale declino degli Ebrei nell'Europa cristiana. Il quarto Concilio Laterano del 1215 sistematizzò e codificò le misure per la lotta contro gli Ebrei (e gli eretici): il contrassegno prescritto - il distintivo giallo - era mutuato, se pure in forma modificata, dall'Oriente musulmano.
Al volontario isolamento degli Ebrei dal resto del mondo corrispondeva ora la proibizione per i cristiani di intrattenere rapporti con essi. Durante la grave crisi creata in Europa dalla grande peste del 1348-1349 si assistette a una violenta esplosione antisemita: contro la volontà dei vescovi, i 'flagellanti', spinti dal loro fondamentalismo chiliastico-apocalittico, uccisero un gran numero di Ebrei, soprattutto in Germania. I sopravvissuti emigrarono in Polonia dietro invito del re polacco Casimiro III, e andarono a costituire come 'Ashkenaziti' (ebrei di origine tedesca) la controparte dei 'Sefarditi', originari della Spagna. In seguito gli Ashkenaziti - gli ebrei orientali - furono le vittime principali del moderno antisemitismo.Parallelamente aveva luogo l'espulsione degli Ebrei da alcuni paesi europei: la Rus´ di Kiev e la Moscovia, nonché le monarchie scandinave, non li ammisero più nei loro territori. Le quattro monarchie nazionali appena costituite li cacciarono in quanto concorrenti della borghesia locale in campo economico: l'Inghilterra nel 1290, la Francia definitivamente nel 1394, la Spagna tra il 1391 e il 1492, il Portogallo nel 1497. Agli Ebrei restavano aperte, oltre alla Polonia e all'Ungheria, solo l'Italia e la Germania, paesi in cui mancava un potere centrale. Anche in Italia e in Germania, però, la posizione degli Ebrei peggiorò con l'istituzionalizzazione del ghetto, creato per la prima volta a Venezia nel 1516: il ghetto, che non poteva estendersi anche se la popolazione cresceva, rappresentava in modo drammatico il declino degli Ebrei, che dalla loro posizione privilegiata nell'alto Medioevo erano passati al rango di gruppo discriminato all'inizio dell'epoca moderna. Nel contempo essi si videro di fatto esclusi da tutte le professioni tradizionali, a eccezione del commercio di denaro (usura).
D'altra parte gli Ebrei ebbero spesso una parte di spicco nello sviluppo delle forze economiche moderne sino all'industrializzazione. Nel Mediterraneo, e poi nel Nuovo Mondo, essi ebbero una posizione preminente nella produzione dello zucchero di canna sin dall'alto Medioevo. Nell'epoca del mercantilismo ripresero in parte a esercitare la loro funzione tradizionale di finanziatori delle corti (che avevano già svolto in Oriente e, sino alla loro cacciata, anche nella Spagna, nel Portogallo, nella Francia e nell'Inghilterra medievali). Nei Paesi Bassi - dove, a partire dal 1615, si era instaurato un clima di tolleranza favorevole agli Ebrei sefarditi - la moderna Olanda beneficiò delle loro attività economiche.
Per l'illuminismo, con il suo richiamo alla ragione e all'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, gli Ebrei rappresentavano un anacronistico residuo del 'buio Medioevo'. Voltaire in modo particolare appoggiava la loro equiparazione nei diritti civili, ma a patto che fosse accompagnata dall'assimilazione: gli Ebrei come comunità religiosa dovevano disciogliersi per confluire nella nuova società degli eguali. La Rivoluzione francese, con la graduale emancipazione della minoranza ebraica in Francia, creò agli inizi dell'industrializzazione un presupposto fondamentale per il futuro antisemitismo: l'emancipazione e l'industrializzazione nello Stato costituzionale di diritto consentivano un'enorme mobilità economica e sociale agli Ebrei liberati dalla costrizione del ghetto, i quali cominciarono a essere considerati sfruttatori dai non ebrei di minore successo.L'industrializzazione portò poi nel continente europeo un'ulteriore, decisiva complicazione a partire dalla prima metà del XIX secolo: l'espansione economica, periodicamente interrotta da fasi di crisi violenta, permise l'ascesa di nuovi gruppi sociali, a spese però di altri che se ne sentirono danneggiati. Questi gruppi sociali, che appartenevano agli strati inferiori o vi erano approdati per il processo di proletarizzazione, erano inoltre più sensibili al richiamo del fondamentalismo sia cristiano che laico, di destra e di sinistra, sempre endemico nei ceti più bassi della popolazione. A quanti erano stati danneggiati dall'industrializzazione l'antisemitismo si presentò come una comoda ideologia unificante e mutuò le proprie argomentazioni dall'antigiudaismo cristiano tradizionale.
Gli Ebrei - battezzati, assimilati, religiosi (ortodossi o liberali che fossero) - divennero ancora una volta il capro espiatorio delle società nazionaliste: ad eccezione dell'Italia e della Grecia, tutti i neo-nazionalismi europei erano più o meno antiebraici, ossia antisemiti.
La parte di spicco assunta dagli Ebrei nell'economia moderna, rappresentata simbolicamente dai Rothschild della Judengasse di Francoforte, rende chiara la connessione tra industrializzazione nascente e antisemitismo: anche il primo socialismo ebbe una componente antigiudaica - e talora addirittura antisemita - più accentuata in Francia (Proudhon), più debole in Germania (Marx), nella tradizione illuministica di stampo volterriano. Alle passate sollevazioni contro gli usurai ebrei subentrò gradualmente l'opposizione contro il capitale finanziario ebraico: il ricco ebreo, in quanto capitalista e imprenditore, assumeva il ruolo di nemico di classe.
L'antisemitismo trovò, per altro verso, seguaci anche in molti movimenti e partiti cristiano-sociali, di provenienza sia cattolica che protestante.
All'interno dell'antisemitismo generale si sviluppavano intanto, a seconda dei differenti presupposti storici, diverse varianti 'nazionali', connesse a fattori sociali, che contribuirono alla costituzione dell'antisemitismo europeo (sempre con l'eccezione della Grecia e dell'Italia), che si diffuse anche in Inghilterra e in America, sia pure in forma mitigata.Se si volesse stabilire una data precisa per l'inizio dell'antisemitismo moderno, questa risulterebbe diversa a seconda dei vari paesi: in Spagna e in Portogallo la lunga tradizione dell'antico antigiudaismo sfociò senza cesure in un antisemitismo sempre latente, che non ebbe però particolari esplosioni; nella Polonia, diventata russa con il Congresso di Vienna, l'inizio dell'antisemitismo coincise con la (parziale) emancipazione degli ebrei polacchi (1862), con il fallimento dell'insurrezione polacca del gennaio 1863 e con l'affermarsi del concetto di 'lavoro organico', ossia dell'industrializzazione sistematica, a partire dal 1864; in Ungheria l'inizio dell'antisemitismo si può far risalire al 1867, con il conseguimento dell'indipendenza di fatto dopo il 'compromesso' austroungarico (Ausgleich); in Francia il momento decisivo fu la disfatta del 1870-1871, mentre in Germania e in Austria furono la seconda crisi economica mondiale, successiva al 'grande crollo' del 1873, e la grave depressione che ne conseguì a creare le basi per la formazione di movimenti antisemiti a partire dal 1878.
Gli Ebrei intanto cominciavano a organizzarsi per tutelare i propri interessi. Le forme più tradizionali di organizzazione erano costituite da specifiche missioni diplomatiche di notabili ebrei presso i vertici dei governi in carica. Il primo esempio fu la missione del sefardita sir Moses Montefiore presso Moḥammed ῾Alī - in seguito chedivé d'Egitto - per sistemare nel 1840 l'affare di Damasco, quando l'antigiudaismo cristiano e quello musulmano fecero lega rinnovando l'antica accusa del cosiddetto 'omicidio rituale', secondo la quale gli Ebrei nel periodo della Passione uccidevano bambini cristiani. Le forme 'moderne' di organizzazione erano costituite dai giornali, il primo dei quali fu l'"Allgemeine Zeitung des Judenthums" di Lipsia (1837). Ben presto si crearono organizzazioni permanenti, come la B'nai B'rith ('Figli dell'Alleanza') - sorta a New York, nel 1843, soprattutto per l'aiuto e la tutela degli Ebrei -, che è l'associazione ebraica più antica e ancora oggi una delle più importanti. In seguito la Alliance israélite universelle di Parigi (1860) creò un moderno istituto per l'educazione degli ebrei poveri e cercò, ancor prima del sionismo organizzato (che aspirava alla formazione di una nazione ebraica in Palestina), di combattere l'antisemitismo che si andava affermando. Una combinazione di metodi antichi e moderni era rappresentata dall'attività di una delle lobbies ebraiche organizzate dall'Alliance universelle ai margini del congresso di Berlino del 1878, la quale si proponeva di garantire agli Ebrei, nei nuovi Stati nazionali dei Balcani, il rispetto dei diritti umani in base al diritto internazionale.
La nascita di organizzazioni ebraiche, d'altra parte, non faceva che alimentare l'idea farneticante di un complotto ebraico per dominare il mondo, idea che apparteneva al repertorio standard di tutti gli antisemiti, sia di estrema destra (si pensi ai Protocolli dei Savi di Sion) che di estrema sinistra (Stalin e il comunismo sovietico).
L'ulteriore evoluzione dell'antisemitismo è strettamente connessa all'evoluzione socioeconomica e politica generale: l'industrializzazione, il nazionalismo, le crisi economiche, le guerre crearono le condizioni generali per il nascere dell'antisemitismo come sintomo particolare della crisi della modernità. L'emancipazione degli Ebrei e le loro successive - per lo più non pienamente realizzate - assimilazione ed equiparazione sul piano dei diritti prepararono il terreno a un antisemitismo che era già perlomeno latente. Le gravi crisi economiche o le catastrofi nazionali contribuirono a farlo esplodere apertamente come una forma di aggressione compensativa contro i membri più deboli della società, portata avanti soprattutto da quanti appartenevano agli strati inferiori della popolazione, che erano colpiti più direttamente e più immediatamente dalle crisi suddette.I due centri principali furono dapprima la Francia (dietro la facciata dell'emancipazione ebraica) e la Russia.
La disfatta del 1870 e la Comune di Parigi del 1871 avevano mobilitato l'antisemitismo dei conservatori e dei nazionalisti di destra, persuasi che la guerra franco-tedesca fosse stata finanziata dagli ebrei tedeschi. In seguito la tensione creata dalla prospettiva di una piena e incondizionata assimilazione, come conseguenza dell'emancipazione degli Ebrei, e la lotta di classe anticapitalistica-antiebraica nella Francia già fortemente industrializzata crearono una corrente antisemita anche nella sinistra 'progressista': l'antisemitismo organizzato prenderà le mosse principalmente dallo scritto di un socialista, La France juive di Édouard Drumont (1886). Solo verso il 1900, con lo scandalo Dreyfus, la sinistra si allontanò progressivamente dall'antisemitismo, che da allora divenne prerogativa della destra e si impose sul piano governativo solo nell'intermezzo del regime di Vichy, tra il 1940 e il 1944.
Contemporaneamente, e in contrasto con l'emancipazione degli Ebrei in Francia, in Russia si era creato con i Rajon (distretti amministrativi, in alcuni dei quali furono confinati gli Ebrei) un fondamento istituzionalizzato per il futuro antisemitismo del mondo slavo. Richiamandosi alla tradizione antiebraica della Grecia e di Bisanzio, nonché all'espulsione degli Ebrei dall'antica Russia, gli zar organizzarono contro la popolazione ebraica incorporata in seguito alla divisione della Polonia un sistema di discriminazioni man mano perfezionato, che estesero anche ai Balcani tramite i protettorati militari sui principati danubiani e sulla Serbia e che, dopo la guerra di Crimea, trasmisero come una cornice legalitaria all'antisemitismo successivo.
Dopo le persecuzioni subite in Polonia tra il 1648 e il 1655, e parallelamente al conseguente declino dell'economia polacca, gli ebrei orientali dovettero affrontare un costante impoverimento, mentre il Rajon cercava di costringerli in una sorta di gigantesco ghetto nei governatorati occidentali della Russia.
Dopo un lungo periodo di latenza, l'antisemitismo russo esplose apertamente con i grandi pogrom, nati come reazione (organizzata dallo Stato) all'assassinio dello zar riformista Alessandro II (1881). Uno dei pretesti principali per i pogrom russi, a partire dal XIX secolo, fu la presenza preponderante dell'intelligencija ebraica nelle correnti socialiste rivoluzionarie: i giovani ebrei 'secolarizzati' (sia intellettuali che appartenenti al proletariato industriale), che si erano progressivamente allontanati dalla comunità ebraica, propugnavano il rovesciamento dell'autocrazia e il conseguimento di uno Stato socialista, il quale, in base al principio di uguaglianza universale, avrebbe risolto anche il problema politico e nazionale della questione ebraica. In sostituzione della perduta fede religiosa nel Messia, essi ricercavano il riscatto dall'oppressione terrena dello zarismo in un messianismo laico socialistico-marxistico (il cruento antisemitismo dei pogrom determinò d'altro canto, a partire dal 1882, gli inizi del sionismo organizzato).
La forte partecipazione di ebrei secolarizzati alla Rivoluzione russa, e più specificamente a quella di ottobre, alimentò ulteriormente, anche al di fuori della Russia, l'antisemitismo di destra. La strumentalizzazione dell'antisemitismo di destra trovò la sua massima espressione nei Protocolli dei Savi di Sion, un falso fabbricato a Parigi nel 1905 dalla polizia segreta russa contro la Rivoluzione e contro la democrazia occidentale. I Protocolli, dopo la prima guerra mondiale, ebbero il loro più forte impatto sull'antisemitismo tedesco, e soprattutto su Hitler, e dopo la seconda guerra mondiale anche nel Medio Oriente arabo in lotta con Israele e con il sionismo.
Anche la sinistra russa, compresi i bolscevichi, conservò la propria componente antisemita, che in seguito si manifestò apertamente sotto Stalin, sebbene anche tra i bolscevichi la rappresentanza degli ebrei secolarizzati fosse tanto significativa che Hitler ne derivò l'idea farneticante di un complotto mondiale 'giudaico-bolscevico'.
Sia la discriminazione degli Ebrei nello zarismo autocratico, sia la loro emancipazione e integrazione nell'Occidente in via di democratizzazione ebbero dunque un risultato storico fondamentalmente identico: l'antisemitismo (mitigato almeno in parte, in Occidente, dallo sviluppo dell'idea dei diritti dell'uomo in uno Stato di diritto liberale e costituzionale).
Tra i due poli della Francia e della Russia, l'antisemitismo si sviluppò alla fine in Germania mediante la combinazione e il rafforzamento delle teorie antisemite - sorte inizialmente soprattutto in Francia nel quadro del razzismo moderno - e della pratica russa dei pogrom. Nel passato la mancanza di un potere centrale in Germania - come in Italia e in Polonia - aveva consentito agli Ebrei un'esistenza, sia pure marginale, in un clima di scarsa ostilità, in contrasto con quanto avveniva negli Stati nazionali dell'Occidente nel tardo Medioevo. In questa tradizione di relativa tolleranza l'ascesa della Germania a prima potenza industriale del continente europeo aveva offerto immense opportunità di affermazione economica e culturale agli Ebrei, emancipati e per la maggior parte assimilati, i quali, per il loro rilevante contributo alla cultura e alla scienza tedesche, raggiunsero posizioni prestigiose. Si sperava che una Germania sempre più liberale avrebbe eliminato col tempo anche gli ultimi residui di discriminazione.
E tuttavia, dietro questa facciata apparentemente così brillante, si preparava la più spaventosa catastrofe (shoah in ebraico) di tutta la storia ebraica: dopo la crisi economica del 1873 e al principio della 'grande depressione' che ne conseguì sino al 1895, anche nell'area tedesca esplose apertamente l'antisemitismo, dapprima con più forza in Austria, poi anche in Germania. Tre ondate di agitazioni antisemite attraversarono il Secondo Reich: 1878-1881, 1893-1904, 1912-1914. L'impero però, essendo in larga misura uno Stato di diritto liberale e costituzionale, continuava ad astenersi dalla pratica dei pogrom.Il giovane antisemitismo tedesco, però, combinava le esperienze teoriche e pratiche dell'Oriente e dell'Occidente, sistematizzandole con la tipica precisione tedesca. Così la propaganda antisemita si diffondeva nel Secondo Reich conquistando strati via via più elevati della popolazione e aprendo infine la strada al genocidio del Terzo Reich.L'evoluzione dell'antisemitismo tedesco conobbe tre fasi parallele alle vicissitudini della giovane storia tedesca (in un quadro di estremo inasprimento della crisi generale del mondo moderno), passando dalle formulazioni teoriche e dalla propaganda all'azione politica e infine a quella criminale: le tappe più importanti furono la prima guerra mondiale, la sconfitta e la rivoluzione del novembre 1918, la crisi economica mondiale del 1929, l'ascesa di Hitler al potere nel 1933 e la seconda guerra mondiale. Il primo tentativo della Germania di assumere il rango di potenza mondiale con la grande guerra si concluse con l'inevitabile sconfitta dell'impero di fronte alla coalizione mondiale che essa stessa aveva provocato e determinò la tipica situazione di crisi in cui gli Ebrei diventavano i capri espiatori più comodi: li si accusava di essere coinvolti nella presunta 'pugnalata alle spalle' inferta all'esercito tedesco altrimenti vittorioso.
Mentre la Repubblica di Weimar, in quanto Stato di diritto, sino alla sua fine stroncò sul nascere ogni tentativo di pogrom, la destra diventava sempre più antisemita, costringendo il centro e la sinistra moderata a focalizzare la propria politica sul rifiuto dell'antisemitismo, sostanzialmente a essi estraneo. La crisi economica mondiale, in quanto grave crisi del capitalismo, contribuì all'ascesa del partito nazionalsocialista guidato da Hitler, caratterizzato da un antisemitismo estremo. Per realizzare il suo conseguente programma antisemita Hitler eliminò progressivamente ogni ostacolo costituzionale e morale, limitandosi, prima della guerra e sino alla 'notte dei cristalli' del novembre 1938, a un uso moderato della violenza, sebbene di crescente intensità. In seguito, e soprattutto durante la seconda guerra mondiale, da lui voluta, l'azione antisemita si estese sino all'uccisione in massa degli Ebrei, dapprima nella Polonia assoggettata, poi anche nelle zone occupate dell'Unione Sovietica. Il Terzo Reich ricapitolò in dodici anni l'intera storia mondiale dell'antisemitismo e superò tutti i pogrom e i massacri precedenti con l'organizzazione del genocidio portata alla perfezione tecnologica ad Auschwitz, Treblinka e Majdanek. Anche qui è evidente la sinistra connessione tra industrializzazione, antisemitismo e brama di dominio: rispondeva a una logica perversa ma coerente il fatto che la potenza industriale più solida dell'epoca, nel suo secondo tentativo di elevarsi al rango di potenza mondiale, cercasse di realizzare anche l'altro traguardo vitale del suo Führer, lo sterminio degli Ebrei.
Ci si sarebbe potuti aspettare che, dopo Auschwitz, l'antisemitismo fosse ormai irrimediabilmente screditato; invece nella Polonia vessata dai Russi e dai Tedeschi, dai nazisti e dai comunisti, i pochi ebrei sopravvissuti all"olocausto' furono le vittime di pogrom locali, tra il 1945 e il 1946, e in Russia Stalin portò la componente tradizionale di antigiudaismo sino a un antisemitismo dichiarato. D'altro canto lo Stato di Israele - creato come compensazione politica per i massacri di Auschwitz - nel conflitto cronico del Medio Oriente non fece che accrescere l'antisionismo arabo, già presente dall'epoca della colonizzazione ebraica in Palestina; gli Arabi ripresero addirittura gli slogan propagandistici dell'antisemitismo nazista. Gli Stati e i partiti comunisti, nonché le sinistre non comuniste occidentali, nel loro sostegno agli Arabi scivolarono, a partire dal 1956, in una situazione ideologica ambigua. In alcuni casi la questione ebraica si scisse per loro tra il rifiuto dell'antisemitismo nel proprio paese e la difesa dell'antisionismo contro Israele, senza una corretta valutazione degli elementi di antisemitismo senza dubbio presenti nell'antisionismo.
D'altro canto, alcuni sostenitori di Israele sono pronti a bollare con troppa leggerezza come antisemitismo le critiche nei confronti di certi aspetti discutibili della politica israeliana.Il moderno Stato di Israele, come Stato nazionale ebraico e sionista, avrebbe dovuto risolvere i problemi dell'ebraismo garantendo una patria sicura agli Ebrei perseguitati dall'antisemitismo. La realtà purtroppo è stata ben diversa: la resistenza degli Arabi scacciati dalla Palestina ha provocato nel Medio Oriente una serie di conflitti a catena, che hanno determinato inevitabilmente crisi politiche mondiali. A ciò si aggiungono, oggi più evidenti che mai, i conflitti interni tra ebrei ortodossi e secolarizzati, che assumono talvolta forme estreme. Così, nel 1987 una sinagoga ortodossa a Gerusalemme è stata assalita da un gruppo di giovani israeliani che hanno profanato i rotoli della Torah per vendetta contro i violenti attacchi dei 'devoti' ortodossi che vorrebbero imporre alla comunità intera la loro pratica della Torah. Anche gli insediamenti di Ebrei nella Samaria, voluti dagli ortodossi, e lo slogan degli estremisti ebrei, "Fuori gli Arabi!", sono causa di gravi conflitti interni e accrescono l'isolamento già quasi totale dello Stato di Israele.
Nello stesso tempo questi conflitti danno un nuovo impulso agli antisemiti, che continuano a sostenere la loro tesi di fondo, formulata nel 1879 da Heinrich von Treitschke, quando cominciava in Germania la lotta antisemita, e propagandata da Julius Streicher nel suo giornale sovversivo "Der Stürmer": "L'Ebreo è la nostra sventura".
È probabile che anche nell'immediato futuro gli ulteriori sviluppi dell'antisemitismo restino strettamente connessi all'evoluzione del mondo ebraico e del mondo contemporaneo in generale. Negli Stati Uniti, dove attualmente gli Ebrei hanno posizioni di prestigio, cominciano già a manifestarsi le prime avvisaglie di un antisemitismo statunitense. L'acutizzarsi della crisi interna israeliana e l'esplodere di una crisi esistenziale, che cova negli Stati Uniti fin dall'epoca della guerra del Vietnam, potrebbero attivare anche in questo paese l'antisemitismo, in base ai meccanismi che abbiamo precedentemente delineato.
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