Antipurgatorio
È costituito dalla parte inferiore della montagna del Purgatorio, da quella regione cioè che dalla spiaggia giunge fino alla porta del Purgatorio (la porta di san Pietro, If I 134) propriamente detto: Tu se' omai al purgatorio giunto (Pg IX 49) dirà Virgilio a D. presso la scaletta di tre gradi breve. Il D'Ovidio (in Nuovi studi danteschi. Il Purgatorio e il suo preludio, Milano 1906, 405 e 422) restringe lo spazio dell'A., escludendo da esso la spiaggia, per cui rimarrebbero fuori le anime dei morti in contumacia di santa Chiesa (il che avrebbe consentito a D. di raggiungere il desiderato numero nove, assommando ai sette ripiani del Purgatorio le due zone del lido dei contumaci e dell'A.). Vero è che lo stesso D'Ovidio non esclude poi una possibile estensione dell'A. fino a comprendervi le foci del Tevere, dove s'imbarcano le anime destinate alla santa montagna. È stata anche proposta, in relazione all'attesa di Casella e delle altre anime dove l'acqua di Tevero s'insala (Pg II 101), l'esistenza di due A. (cfr. G. Schiavo, L'indugio di Casella, Sondrio 1901; L. Tonelli, Il canto II del Purg., in " Giorn. d. " n.s. IV [1931] 158 ss.). Ma tutti i dantisti sono ormai d'accordo di denominare A. la zona appunto che occupa la spiaggia e le radici del monte per un certo tratto, e finisce alla porta di san Pietro. Per la simmetria delle parti del poema, la distinzione tra la spiaggia e la prima parte del monte è accettata, ma come una suddivisione nell'ambito dell'A.; circa l'indugio di Casella e il connesso problema della sosta delle anime alle foci del Tevere, l'esegesi moderna ha preferito non esplorarne le ragioni, dopo che il poeta stesso ha trascurato di chiarirle (cfr. M. Marti, Il canto 11 del Purg., in Lect. Scaligera II 60-62). Né, infine, sembra che si possano identificare i sette regni (Pg I 82) con altrettante divisioni dell'A. - come vorrebbe D. Prompt (L'Antipurgatorio, in " Giorn. d. " II [1894] 285-294) - che non risultano in alcun modo dal testo della Commedia.
D. e Virgilio giungono alla spiaggia attraverso un cammino ascoso nell'emisfero australe (If XXXIV 127-139; Pg I 40 ss.), che sbocca dalla parte di oriente, quasi a mezza via tra il monte e il mare, in una specie di botola (il pertugio tondo di If XXXIV 138). Il piano dalle radici del monte degrada insensibilmente verso il mare e sull'orlo della spiaggia, nel molle limo, è adorno di giunchi schietti sempre verdeggianti (Pg I 100-105 e 113). La montagna alla base è tagliata quasi a picco e presenta all'inizio due diversi aspetti: l'alta ripa o parete (III 71 e 99), in cui è scavata una calla angustissima per cui solo è possibil... l'andare in suso (III 100 ss.; III 77), e la scoperta piaggia (IV 35), che è superba [erta] più assai / che da mezzo quadrante a centro lista (IV 41-42), erta, cioè, più assai che 45 gradi. Salendo si arriva a un primo cinghio, un balzo, un piccolo ripiano, e poi, più in alto, a un secondo cinghio, superato il quale la costa verso sinistra face di sé grembo (Pg VII 68), forma una cavità, una valletta, soave per mille odori, colorata dall'erba e dai fiori, la quale è contornata da un rialto, quasi riparo (VIII 97), chiamato lembo, o balzo, o sponda (VII 72, 88; VIII 32), che è rotto a un certo punto, quasi per dare adito. Un balzo corona e termina l'A.: una porta tagliata in questo rialto introduce nel regno vero della purgazione.
L'A.. si presenta così con tutti i caratteri delle montagne naturali, erto, scosceso, roccioso, con insenature e avvallamenti. Questa sola parte della montagna purgatoriale può essere turbata dai fenomeni tellurici e atmosferici (Pg XXI 46-48): il confine superiore di essi giunge sino alla porta di san Pietro.
Il viaggio di D. e Virgilio nell'A, si svolge piuttosto celermente. Dopo il canto di Casella e i rimproveri di Catone, i poeti corrono verso il monte in fretta (Pg II 133; III 10); poi s'inerpicano su per la calla fino al primo balzo senza interruzione (iniziandosi l'ascesa faticosa e avventurosa, sono accentuate la solerzia e il suo rovescio, la pigrizia: Nessun tuo passo caggia; / pur su al monte dietro a me acquista, esorta Virgilio [IV 37-38]; di contro vi è colui che mostra sé più negligente / che se pigrizia fosse sua serocchia, IV 110-111); dal primo balzo a Sordello è tutta una corsa (Virgilio richiama il compagno: Vien dietro a me, e lascia dir le genti; e poi lo ammonisce: però pur va, e in andando ascolta, V 13 e 45). Dalla ‛ valletta ' alla porta si va speditamente con l'aiuto di Lucia (IX 55 ss.). Giunti alla spiaggia nell'ora in cui la luce dell'alba lotta con le tenebre dell'ultima parte della notte (Pg I 115-116), i due poeti saranno colti dalla prima notte del Purgatorio nella valletta. Il segno della stagione è dato dalla visione del pianeta Venere nella costellazione dei Pesci; diffondono letizia nel cielo dell'A. quattro stelle (I 23) - si è pensato alla costellazione della Croce del Sud, ma non pare possibile per quel che D. dice in Pg I 24 -, simbolo delle virtù cardinali infuse, di cui fruirono gli uomini nel Paradiso terrestre prima del peccato.
Il Purgatorio è il luogo delle apparizioni angeliche, anticipate immagini del Paradiso: l'angelo nocchiero, che traghetta le anime dalla foce del Tevere alla spiaggia del santo monte, apre la serie e con gli altri due della valletta forma la triade angelica dell'A. (nove sono nel Purgatorio). L'iter dantesco nell'A. si avvia con quel rito dell'umiltà del giunco svèlto e rinato, e si chiude con il rito della penitenza presso l'angelo che custodisce la porta del Purgatorio.
Gli spiriti dell'A. si purificano sotto la balìa di Catone, che ha l'autorità di guardiano, limitatamente però all'A.; la nota espressione Lasciane andar per li tuoi sette regni (Pg I 82), che sembra estendere al resto della montagna la funzione di custode di Catone, in realtà non contrasta con quel limite, ché le sette cornici sono di pertinenza di Catone nel senso che egli, per la posizione che occupa nell'A., è in qualche modo preposto a una sorta di controllo iniziale dell'intera montagna, e forse anche nel senso che egli, emblema di virtù naturali e di libertà, riassume in sé i fini propri del Purgatorio, che è restaurazione dell'uomo e liberazione di esso.
L'A. è l'attesa della purificazione (dove tempo per tempo si ristora, Pg XXIII 84; la costa ove s'aspetta, XXIII 89), un'attesa che non comporta ‛ martirio ' di senso, come nelle cornici superiori, perché, come vedremo, se il Purgatorio propriamente detto ha la funzione di eliminare le deformità morali sussistenti (la montagna / che drizza voi che 'l mondo fece torti [Pg XXIII 125-126], con una sorta quindi di chirurgia estetica ridimensionatrice), l'A. ha la funzione d'integrare le carenze di queste anime sotto l'aspetto soprannaturale o sotto l'aspetto umano, carenze naturalmente che si trovano a livello di negligenza e di Purgatorio, e non a livello di assenza totale o d'Inferno (per il rapporto dell'A. con gli altri ‛ Anti ' della Commedia, v. ANTINFERNO): e tale integrazione è necessaria affinché la purgazione futura non cada nel vuoto.
Anime di negligenti quelle dell'A., poiché tardarono a pentirsi. Esse si raccolgono in quattro schiere:
1) per la spiaggia si muovono lentamente coloro che furono scomunicati, ma in punto di morte si rivolsero a Dio: devono stare nell'A. trenta volte il tempo che rimasero in stato di scomunica;
2) sul primo ripiano che ricinge il monte presso un petrone sono seduti in attitudine neghittosa coloro che per pigrizia trascurarono di praticare la virtù, e indugiarono al fine i buon sospiri (Pg IV 132);
3) sul secondo balzo del monte si muovono coloro che, morti di morte violenta, negli ultimi istanti si pentirono e perdonarono ai loro uccisori;
4) nella valletta dimorano i principi che trascurarono i loro compiti, ma in fin di vita si pentirono.
Pare sia comune a queste tre ultime schiere il dover rimanere nell'A. tanto tempo quanto vissero; ma come per i morti in contumacia di santa Chiesa, anche per questi la preghiera dei vivi (che surga sù di cuor che in grazia viva, Pg IV 134) può accorciare la permanenza.
Proprio la varietà di queste anime rende inadeguata una qualificazione così generica ed estesa, qual è quella di negligenti, alla reale struttura morale dell'Antipurgatorio. S. Tommaso dedica un'intera ‛ quaestio ' (Sum. theol. II II 54) ai problemi etici connessi con la negligenza, citando, fra l'altro, Isidoro: " Negligens dicitur quasi nec eligens ". Pur nella sua elementarità metodologica, l'etimologia è pressoché esatta: negligere o neglegere equivale a neclegere, cioè a " non cogliere ", " non scegliere ". In sostanza, il ritardo a pentirsi è qualcosa di essenzialmente negativo, un ‛ non-fare ' che denuncia un ‛ non essere ', e questo è il senso di quella negligenza: sicché quelle anime debbono dirsi negligenti, conferendo al termine un valore evocativo di mancanza, scarsità, insufficienza, per cui il loro A. deve costituire la loro integrazione. Le anime dell'A., coerentemente con la concezione dantesca della dialettica complementarità umano-divina, si presentano con due ben distinte forme d'insufficienza, e pertanto con due ben distinte esigenze d'integrazione: da una parte le schiere di Manfredi e di Bonconte, cioè degli scomunicati e dei morti per forza, gente fin troppo dedita all'azione, tutta protesa alla prassi, e a lungo dimentica dei valori assoluti (carente, dunque, sotto l'aspetto soprannaturale o religioso); dall'altra, Belacqua con i suoi simili e i principi della valletta, cui non risulta mancasse una, bensì non eccezionale, religiosità o interiorità, ma che certo furono alieni dal vivere ‛ impegnato ' e dal testimoniare con le opere la loro fede (carenti, dunque, sotto l'aspetto naturale o umano).
La distinzione che offrono alcuni trattati di teologia (cfr. D. Palmieri, Tractatus Theologicus de Novissimis, Prato 1908; H. Lennerz, De Novissimis, Roma 1934), fra reatus poenae e reatus culpae, può confortare i termini con cui ci siamo venuti esprimendo (‛ integrazione ' distinta da ‛ purgazione '), poiché il reatus poenae si estingue con i martìri (Pg IV 128) e il reatus culpae si estingue con un atto o con atti positivi di carità, opposti alla colpa da ritrattare. (Gli scomunicati - ha osservato G. Petrocchi, in L'attesa di Belacqua, " Lettere italiane " VI [1954] 230-231; rist. in Itinerari danteschi, Bari 1969, 311-332 - esercitano il timore di Dio che non ebbero in vita; i pigri la pazienza; i morti violentemente la prudenza; i principi la misericordia). È vero che il reatus culpae in Purgatorio può sussistere unicamente per i peccati veniali (la colpa grave non ritrattata comporterebbe la dannazione): ma ciò riconduce ancora a un qualche ‛ Antipurgatorio ', poiché i teologi ammettono (cfr. D. Palmieri, op. cit., p. 65), almeno in via d'ipotesi, che tale reatus culpae venialis debba estinguersi prima della purgazione propriamente detta; anzi, s. Bonaventura (Sent. XXI 2 1) ritiene probabile che tale ritrattazione del reatus culpae venialis avvenga per vari atti successivi (il che corrisponderebbe alla lunga permanenza nell'Antipurgatorio). S. Tommaso discute sulla remissione in Purgatorio del reatus culpae venialis in due passi almeno (Seni. XXI 1 3; Malo VII 11), sostenendo anch'egli che le anime macchiate da tale reatus culpae devono estinguerlo mediante positivo atto di carità; per di più, nel ricordato passo dell'opuscolo De Malo, avverte " quod [peccatum veniale] statim ibi [in Purgatorio] non remittatur ... satis videtur probabile ": cioè, anche s. Tommaso penserebbe, se intendiamo bene il suo discorso non troppo esplicito, a una qualche attesa prima della remissione del reatus culpae venialis. Del resto, se si tiene conto del fatto che quelle anime si sono pentite sia pure in limine vitae, la loro negligenza non può essere rimasta in loro dopo la morte se non a livello di colpa veniale (cfr., su tutta la questione, S. Pasquazi, All'eterno dal tempo. Studi danteschi, Firenze 1966, 115-117 e 178 ss.). Attribuendo, pertanto, al Purgatorio propriamente detto la funzione di purgazione, ovvero di liberazione dal reatus poenae, o, che fa lo stesso, di eliminazione delle deformità morali sussistenti, D. ha pensato l'A. come sede d'integrazione, ovvero di liberazione dal reatus culpae venialis, o, che fa lo stesso, di positivo passaggio - in virtù della grazia - da una condizione di carità appena incipiente e di umanità appena qualificabile come tale, a una condizione di carità senza volontarie riserve e di umanità sufficientemente completa.
La prima idea dell'A. - dove, senz'altra pena che quella dai teologi detta del danno (poena damni), consistente nella ritardata fruizione di Dio, le anime aspettano di essere ammesse al vero Purgatorio - appare altresì metamorfosi e riduzione di un cenno dell'Eneide. Le anime destinate al Tartaro son giudicate da Radamanto, il quale le costringe a confessare quei peccati commessi che hanno bisogno di espiazione, e che quelle, col vano conforto di essere sfuggite allo sguardo dei mortali, tanto differirono di confessare ed espiare, che la morte le colse quand'era già tardi, per cui giunsero all'altro mondo coi loro peccati addosso: " Castigatque auditque dolos, subigitque fateri / Quae quis, apud superos furto laetatus inani, / Distulit in seram commissa piacula mortem " (Aen. VI 567-569). Da questo passo virgiliano dev'esser dunque venuto a D. il conforto a concepire una schiera di anime che indugiarono al fine i buon sospiri (Pg IV 132). Il D'Ovidio (op. cit., pp. 404 ss.) ha ricercato con ampio e analitico studio tutte le possibili derivazioni dantesche da Virgilio: il tempo prefisso alla remora delle anime, equivalente a quello trascorso dall'anima sulla terra, deriva dalla prescrizione centennale degl'insepolti; la ressa che le anime dei morti per forza fanno intorno a D. ha un riscontro nell'affollarsi dei guerrieri troiani intorno a Enea (Aen. IV 486-488), e come quelli dell'Eneide sono guerrieri caduti in battaglia, così quelli della Commedia, guerrieri o no, sono finiti per morte violenta; anche l'episodio sordelliano e quello dei principi della valletta sono ricchi di reminiscenze dell'Eneide (Sordello ha alcuni punti in contatto con le figurazioni virgiliane di Orfeo e di Museo; la rassegna dei principi di Sordello richiama modi formali e situazioni della rassegna che Anchise fa a Enea e alla Sibilla delle anime chiuse nella valle verdeggiante dell'Eliso, dall'alto di una collinetta: Aen. IV 756-886), e così via; per cui - conclude il D'Ovidio - tutto l'A. " è più o meno costruito con disegni e con materiali dell'Eneide ", oltre a tener presenti tutti quei motivi medievali (della letteratura visionistica) che avevano svolte, arricchite, variate, le poche battute virgiliane.
Se è vero che la Chiesa non ha affermato molto intorno alla purgazione, è vero però che al tempo di D. si era affermata ben chiaramente la dottrina cattolica di un oltretomba in cui misteriosamente si ottiene quella perfezione che è indispensabile per vivere la vita dei beati. La costruzione dantesca dell'A., anche se può sembrare poco teologica, tuttavia non è contraria alla teologia e al dogma, e quanto sopra abbiamo esposto circa la distinzione dei teologi fra reatus poenae e reatus culpae mostra se non altro quanto fosse troppo esclusiva la posizione del D'Ovidio (op. cit., p. 422), secondo il quale " le curiose remore escogitate dal poeta per certe categorie di anime, quella specie di alunnato d'aspiranti alla purgazione, il teologo non può coglierle che con una stretta di spalle ed un sorriso ".
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