TEODORO, antipapa
TEODORO, antipapa. – La prima menzione di Teodoro, presbitero romano, nel Liber pontificalis è inserita nella biografia del pontefice Conone (morto nel 687).
Dopo la morte di Giovanni V, avvenuta il 2 agosto 686, la successione al pontificato non avvenne in modo pacifico, ma fu turbata dai contrasti sorti in seno al popolo romano. Due fazioni si fronteggiarono apertamente cercando ognuna di imporre il proprio candidato: l’arcipresbitero Pietro sostenuto dal clero e Teodoro appoggiato dall’esercito. È probabile che quest’ultimo avesse fatto parte della legazione romana inviata a Bisanzio al VI Concilio ecumenico, se può essere identificato con il Teodoro menzionato tra i partecipanti. Tale identificazione, secondo Ottorino Bertolini (1941, pp. 396-400), contribuirebbe a spiegare la circostanza che Teodoro fosse il favorito dall’esercito come candidato alla cattedra di s. Pietro, in quanto personaggio che doveva avere relazioni più o meno strette con Bisanzio. Per imporre l’elezione del proprio candidato, il clero si radunò davanti alle porte della basilica costantiniana, ma l’esercito, che si era a sua volta dapprima concentrato presso S. Stefano Rotondo, per mezzo di picchetti armati impedì l’accesso alla basilica a chiunque, non permettendo materialmente alcun tentativo di elezione. La situazione si sbloccò dopo reiterate e laboriose trattative da parte di messi delle due fazioni. Abbandonate le candidature contestate si giunse a un compromesso che portò all’elezione di un terzo candidato, nella persona dell’anziano presbitero Conone. Il vegliardo, nelle intenzioni del clero e dei presbiteri che lo avevano eletto, poteva accontentare anche le forze armate, essendo figlio di un ufficiale dell’esercito imperiale che aveva prestato servizio in un corpo di stanza nell’Asia Minore.
Dopo il primo vano tentativo di conquistare la cattedra di s. Pietro, Teodoro è citato nuovamente nel Liber pontificalis in occasione della successione al soglio pontificio, in seguito alla morte di Conone, avvenuta il 21 settembre 687 dopo meno di un anno di pontificato. Anche in questa circostanza l’elezione fu travagliata e i tumulti che si erano verificati all’elezione di Conone si riprodussero in maniera ancora più cruenta, segno tangibile del clima di discordia che ormai incombeva su Roma e che il breve pontificato di Conone aveva reso ancora più turbolento a causa di alcune decisioni – in particolare la nomina di un non romano a rettore del Patrimonio siciliano – che avevano prodotto un diffuso scontento in seno al clero romano. Essendo morto nel frattempo Pietro, Teodoro, che era stato promosso arcipresbitero, fu nuovamente presentato come candidato delle forze armate. A lui fu contrapposto l’arcidiacono Pasquale, il quale, già durante il pontificato di Conone, quando questi si era ammalato, aveva preso accordi con il neoeletto esarca di Ravenna Giovanni Platyn per essere sostenuto come futuro pontefice in cambio di una cospicua somma di denaro. Il Liber pontificalis, nel descrivere le vicende relative alla disputa, lascia intendere che, rispetto alla precedente elezione, gli schieramenti per i due candidati non avevano una connotazione precisa, per la contrapposizione netta tra una componente laica e una clericale, ma presentavano una fisionomia più eterogenea. Molto probabilmente a rendere più confuso il clima elettorale contribuì la venuta a Roma di funzionari dell’esarca con il compito di favorire Pasquale. I sostenitori di Teodoro raggiunsero per primi il Palazzo Lateranense e occuparono la parte più interna, comprendente gli appartamenti privati del papa e il vestiarium. La fazione che caldeggiava l’elezione di Pasquale dovette accontentarsi della parte più esterna, situata alla destra della grande scala di accesso al palazzo, che divideva i contendenti, comprendente anche l’oratorio di S. Silvestro e la basilica Giulia. Poiché nessuno dei due avversari arroccati nel palazzo aveva intenzione di cedere, i membri più eminenti del clero e una gran folla di cittadini si recarono nel palazzo imperiale sul Palatino. In questa sede le trattative trovarono uno sbocco compromissorio nella scelta di un terzo candidato, come già era accaduto nella precedente elezione. Fu scelto il presbitero Sergio che, come Conone, era di origine orientale e, come questi, era cresciuto in Sicilia. Trasferitosi a Roma, aveva percorso i vari gradi della carriera ecclesiastica. Dopo essere stato eletto nella cappella di S. Cesario situata nel palazzo imperiale, Sergio fu condotto dai suoi elettori nel palazzo lateranense, dove, essendo state sbarrate le porte, dovette entrare con la forza. Ma se Conone non aveva incontrato resistenze ed era stato riconosciuto subito da tutti, non altrettanto agevole fu il riconoscimento per Sergio. L’arcipresbitero Teodoro riconobbe immediatamente il nuovo eletto, si affrettò ad andargli incontro e gli porse il saluto e il bacio di omaggio. Non altrettanto fece Pasquale, che si piegò a riconoscere Sergio I solo più tardi e non rinunciò mai alle sue ambizioni, perseverando nei suoi tentativi di accordo con l’esarca ravennate. Le sue brighe portarono alla venuta a Roma dell’esarca in persona, tanto repentina che non fu possibile organizzare il cerimoniale d’accoglienza prima che egli fosse giunto alle porte della città. Giovanni Platyn avviò un’inchiesta sulle modalità dell’elezione e riconobbe come legittimamente eletto Sergio. L’esarca, però, subordinò la ratifica dell’elezione al pagamento delle 100 libbre che a suo tempo l’arcidiacono Pasquale gli aveva promesso in cambio dell’appoggio alla sua ascesa al soglio pontificio. Tale arbitraria richiesta fu invano respinta dal nuovo pontefice, che, pur protestando di non aver mai formulato una tale promessa, poté essere consacrato, il 15 dicembre 687, solo dopo aver pagato l’ingente somma di denaro.
Per la seconda volta in un lasso di tempo brevissimo l’elezione pontificia era sfociata in una crisi, a dimostrazione dell’incapacità delle diverse componenti sociali romane di trovare un accordo. Rispetto però all’elezione di Conone, il fatto che si fosse dovuto ricorrere all’intervento diretto dell’esarca rappresentò un grave scacco per l’autonomia della città e della Sede romana, incapace di affrancare la sua dialettica politica interna dalle mediazioni delle autorità bizantine. Teodoro fu, dunque, lo sfortunato protagonista di ben due tentativi di elezione al soglio pontificio, ma in entrambe le circostanze riconobbe prontamente il papa legittimamente eletto e, quindi, non può essere definito propriamente antipapa, non avendo mai ricevuto la ratifica della sua elezione dall’esarca e non essendo mai stato consacrato. Le sue vicende sono rappresentative del periodo di contrasti e turbolenze in seno alla Sede romana che seguirono – per lo meno a giudicare dalle elezioni pontificie – al lungo periodo di sostanziale concordia che le varie componenti della popolazione romana avevano mantenuto nel corso della controversia religiosa monotelita.
Dopo aver menzionato il riconoscimento immediato da parte sua del nuovo papa Sergio I, le fonti tacciono sull’arcipresbitero Teodoro, mentre Pasquale, secondo il Liber pontificalis, avrebbe proseguito nei suoi ostinati tentativi di rivincita, affidati anche al ricorso alle pratiche magiche, fino alla sua fine ingloriosa nel 692, spogliato della dignità sacerdotale e recluso impenitente in un monastero.
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