ANTIMONIO (simbolo Sb.; peso atomico 121,8)
Il solfuro di antimonio come minerale era conosciuto fino da tempi antichi; esso serviva alle donne orientali per colorare le sopracciglia. E anche il metallo è noto da molto tempo, e veniva usato per fare oggetti di uso pratico. Il solfuro era noto a Dioscoride sotto il nome di στίμμι e a Plinio sotto quello di stibium; l'origine della parola è l'egiziano demotico stim, dal quale sembra derivi anche l'arabo ithmid. A questa forma araba, fortemente alterata per etimologia popolare (ἀντί e moine), sembra risalga il medievale antimonium delle opere alchimistiche latine, che si dànno come traduzioni degli scritti dell'arabo Geber, e da esse la voce passò nelle moderne lingue europee.
Le proprietà terapeutiche, soprattutto emetiche, dell'antimonio e dei suoi derivati sono pure conosciute da molto tempo, e furono rinomate le "pillole eterne", costituite di antimonio, le quali ingerite provocavano il vomito, apparentemente senza consumarsi, e, dopo emesse dall'organismo, potevano venir ancora usate; la proprietà emetica è in realtà dovuta ai composti dell'antimonio che si formano nell'organismo. L'uso terapeutico dell'antimonio e dei suoi derivati fu molto raccomandato da Paracelso e dai suoi scolari; se ne fece grande uso e godettero larga fama, oltre alle pillole eterne, il kermes minerale, il solfodorato di antimonio e la polvere di Algarotti. Nell'opera latina di Basilio Valentino Il carro trionfale dell'antimonio, sono celebrate le qualità medicinali dei composti di antimonio.
L'antimonio in natura. - In natura l'antimonio si trova spesso con arsenico, argento e ferro. L'allemontite è una miscela isomorfa di antimonio e d'arsenico (As = 65,2, Sb = 34,8). L'antimonio cristallizza nel sistema trigonale, classe scalenoedrica ditrigonale, la costante è data da: a : c = 1 : 1,32362 (Laspeyres). L'angolo (0001) : (10−11) = 56° 48′ 12″. I cristalli naturali distinti sono assai rari e le costanti cristallografiche furono calcolate su cristalli artificiali. Si hanno geminati secondo (0112) e gruppi complessi quadrigeminati ed esageminati, e anche geminazione polisintetica. Generalmente però l'antimonio nativo si presenta massiccio, con struttura finemente granulare o lamellare, e anche in aggregati di indistinti cristalli, con larghe facce di sfaldatura.
I cristalli di antimonio presentano una direzione di sfaldatura facile secondo (0001) e (0112), meno facile secondo (02−21) e indistinta secondo (11−20).
L'antimonio è molto fragile ed ha una frattura ineguale. Durezza 3-3½; peso specifico 6,65-6,72. Lucentezza metallica; colore bianco di stagno sulle fratture fresche e grigio di piombo se esposto lungamente all'aria. Spesso l'antimonio nativo è ricoperto da una crosta di ossidazione di colore bianco giallastro, in cui qualche volta si annidano cristalli piccolissimi di valentinite e senarmontite.
Scaldato al cannello, sul carbone, il minerale fonde con grande facilità, emanando vapori bianchi di triossido d'antimonio, che formano un'aureola facilmente spostabile dalla fiamma.
Sebbene in scarsa quantità, l'antimonio nativo si trova in diversi giacimenti metalliferi. In Italia lo si rinvenne nella miniera di Su Leonargiu nel Sarrabus (Sardegna), in arnioni, di cui i più grandi pesavano quasi un chilogrammo, disseminati entro vene argillose, che attraversano gli scisti siluriani. Nella stessa località, l'antimonio si trovò anche incluso nell'antimonite e accompagnato da valentinite in piccoli cristalli e da kermesite in minutissimi aghetti. All'estero si trovò l'antimonio nelle miniere di Andreasberg (Harz), di Přibram (Boemia), di Sahlberg (Svezia), ad Allemont (Delfinato), insieme con l'allemontite; a Scuth Ham (Canadà), nella contea di York (New Brunswick), a Warren (New Jersey), nella contea di Kern (California), a Las Pozuelas (Messico), a Huesco (Chile), a Sarawak (Borneo) e, in notevole quantità, nel Queensland (Australia).
Oltre al solfuro di antimonio (v. antimonite), all'ossisolfuro (v. kermesite, Sb2S2O, monoclino prismatico), agli ossidi (v. senarmontite, Sb2O3, monometrica esacisottaedrica e valentinite, Sb2O3, rombica), all'antimoniato (cervantite [SbO4]Sb), e al niobotantalato (stibiotantalite, [Ta,Nb]O4Sb, rombica), di cui soltanto l'antimonite e, in minore misura, gli ossidi servono per ottenere industrialmente l'antimonio, esistono numerosi minerali che possono considerarsi come antimoniuri, solfo-antimoniuri, antimoniti, solfo-antimoniti, antimoniati, solfoantimoniati ecc. Alcuni di questi hanno una notevole importanza economica. Fra gli antimoniuri vanno ricordati quello di argento (discrasite), di nichelio (breithauptite), di rame (horsfordite); fra i solfoantimoniuri, quello di nichelio (ulmannite); fra i solfoantimoniti quelli di mercurio (livingstonite), di rame (tetraedrite, wolfsbergite, calcostibite, falkenhaynite), di piombo (zinchenite, plagionite, warrenite, jamesonite, semseyite, boulangerite, meneghinite, geocronite, Kilbrickenite), di ferro (berthierite), d'argento (pirargirite, miargirite, pirostilpnite, stefanite, poliargirite, polibasite), di piombo e argento (brongniardite, diaforite, freieslebenite), di nichelio e cobalto (willyamite), di piombo e rame (bournonite), di piombo, argento e ferro (stylotypite). Un solfoantimonbismutito di piombo è la kobellite; un solfostannato e solfoantimonito di piombo è la cilindrite. Un solfantimoniato di rame è la famatinite.
Sono antimoniati quelli di calcio (romeina o romeite), di piombo (bindeneimite), di piombo, ferro e calcio (monimolite), di ferro e manganese (magnetostibiana), di manganese (manganostibiite), di manganese e ferro (melanostibiana), antimoniato e titanato di calcio e ferro è la lewisite; un cloroantimoniato di piombo è la nadorite. La langbanite è un metasilicato e antimoniato di manganese.
Preparazione e proprietà. - L'antimonio si ottiene industrialmente dal solfuro naturale, separandolo dalla ganga per fusione, e poi rifondendolo insieme con ferro; si ottiene antimonio e solfuro di ferro. Il solfuro viene anche trasformato in ossido mediante arrostimento, e successivamente in antimonio, riducendo l'ossido con carbone. L'antimonio ottenuto con questi processi contiene ancora solfo, arsenico, rame, ferro, i quali vengono allontanati per fusione con soda. Purissimo si ottiene per elettrolisi della soluzione del solfuro in solfuro sodico.
L'antimonio è buon conduttore del calore e dell'elettricità. Punto di fusione 630°,5; punto di ebollizione 1300°.
Oltre la modificazione ordinaria dell'antimonio metallico di aspetto metallico e stabilissima, è nota una modificazione, antimonio giallo, che si ottiene per azione dell'ossigeno contenente ozono sull'idrogeno antimoniale a −90°; non ha aspetto metallico, è solubile in solfuro di carbonio; è assai instabile e tende a trasformarsi nella forma nera; in essa si trasforma rapidamente sopra −90°.
Un'altra modificazione, antimonio nero, si ottiene raffreddando rapidamente e fortemente con aria liquida i vapori di antimonio; è amorfa; ha densità 5,3; è instabile, e si trasforma nell'antimonio metallico lentamente a 100°, rapidamente a 400°.
Un'altra modificazione, antimonio esplosivo, si ottiene al catodo, elettrolizzando una soluzione di tricloruro di antimonio in acido cloridrico; ha il peso specifico 5,78; è instabilissima; per scalfittura, percussione, riscaldamento a 200°, si trasforma rapidamente nell'antimonio ordinario con sviluppo di luce e di calore.
L'antimonio infine può essere ottenuto allo stato di soluzione colloidale.
L'antimonio ordinario, metallico, è inalterabile all'aria; scaldato fortemente all'aria a 700-800°, brucia formando l'ossido; non reagisce con gli acidi cloridrico e solforico diluiti; l'acido nitrico lo trasforma in acidi metantimonioso e metantimonico.
Appartiene al 5° gruppo del sistema periodico, alla famiglia dell'azoto, fosforo, arsenico, antimonio e bismuto; ha valenza massima 5 rispetto all'ossigeno, 3 rispetto all'idrogeno. Come elemento ha soprattutto aspetto e carattere metallico, tranne nella modificazione gialla, solubile in solfuro di carbonio. Nei suoi derivati ha soprattutto carattere metalloidico; i cloruri sono solubili in solfuro di carbonio, e i suoi ossidi sono essenzialmente acidi; sono noti però anche veri derivati salini (solfati, nitrati, cloruri) che per idrolisi formano sali basici, e solo per forte diluizione e a caldo formano gli ossidi.
L'antimonio è usato in lega metallica con il piombo per formare il piombo indurito (85 parti di Pb e 15 di Sb), che ha una notevole durezza e solidifica con aumento di volume in modo da riempire uniformemente tutti gli spazî dello stampo; serve per ciò a formare i caratteri da stampa. In lega con stagno, piombo, rame costituisce i metalli bianchi usati come materiale per antifrizione, per guarniture, per caratteri da stampa, per utensili di poco prezzo e di aspetto simile all'argento.
Idrogeno antimoniale, SbH3. Si forma per azione dell'idrogeno nascente su molti composti di antimonio. Gas incoloro, di odore che ricorda l'idrogeno solforato. È velenosissimo e produce, anche in piccola quantità, nausea, vertigini e dolori di testa. Facilmente decomponibile in antimonio e idrogeno.
Tricloruro d'antimonio, SbCl3. Si ottiene trattando il solfuro naturale con acido cloridrico concentrato; evaporando e distillando il liquido otte- nuto, il tricloruro distilla per ultimo. Massa bianca, cristallina, molle, detta burro d'antimonio, fonde a 73°,2, bolle a 223°; solubile in solfuro di carbonio e in etere. Forma sali doppî con i cloruri alcalini, ad es. SbCl4K. Si scioglie in poca acqua; con maggior quantità di acqua s'idrolizza, precipitando l'ossicloruro, SbOCl, detto anche cloruro di antimonile (SbO è il radicale antimonile, monovalente). A caldo e con molta acqua l'idrolisi si completa e si ottiene l'ossido idrato. La polvere di Algarotti è una miscela di SbOCl e Sb2O3, già usata in terapia come purgante ed emetico.
Pentacloruro di antimonio, SbCl3. Si ottiene facendo agire il cloro a caldo sul tricloruro o sull'antimonio. Liquido incoloro o leggermente giallo; solidifica a −6°; bolle a 140°. Forma sali doppi con i cloruri alcalini, ad es. SbCl6K.
I derivati SbX3 e SbX5 corrispondono agli altri alogeni, bromo, iodio, iodio, fluoro; solo il pentaioduro SbI5 non è noto.
Triossido di antimonio, Sb2O3. Si trova in natura come minerale. Si forma bruciando l'antimonio, oppure precipitandolo idrato dal cloruro con soda e arroventando leggermente il precipitato. Polvere bianca, in cristalli monometrici; riscaldata, si trasforma in rombica, poi diviene gialla, infine fonde al rosso scuro, e si evapora al rosso chiaro. A 1560° la molecola corrisponde a Sb4O6.
L'idrato, Sb(OH)3, ha comportamento acido (acido antimonioso), formando con le basi gli antimoniti; più comunemente però si formano i metantimoniti che derivano dall'idrato SbO(OH) (acido metantimonioso). L'idrato Sb(OH)3 si comporta anche come base formando dei veri sali (a differenza degl'idrati del fosforo e dell'arsenico) che si possono ottenere in soluzione e separare per cristallizzazione. Così il solfato, che si ottiene sciogliendo il metallo o l'ossido in acido solforico concentrato bollente e si separa poi per raffreddamento; esso forma sali doppî con i solfati alcalini. Sono pure noti il nitrato, l'acetato, gli ossalati doppî. Derivati salini corrispondono pure all'idrato SbO(OH) (idrato di antimonile); questi sali di antimonile, SbO.X, hanno carattere di sali basici, e si ottengono per idrolisi dai sali neutri, scomposizione che avviene facilmente in relazione con il debole carattere basico di questo ossido; tra questi derivati è da ricordare l'ossicloruro e il tartaro emetico.
Tetrossido di antimonio, Sb2O4. Si forma per riscaldamento dal triossido o dal pentossido. Polvere bianca a freddo, gialla a caldo.
Pentossido di antimonio, Sb2O5. Si forma ossidando ripetutamente l'antimonio con acido nitrico. Polvere bianca, pochissimo solubile in acqua. Nei derivati, l'ossido di antimonio pentavalente ha carattere esclusivamente acido (anidride antimonica), e sono noti i derivati degl'idrati SbO4H3, acido ortoantimonico, Sb2O7H4, acido piroantimonico, SbO3H, acido metantimonico. Il piroantimoniato potassico Sb2O7H2K2.6H2O si ottiene fondendo l'anidride con idrato potassico; è solubile in acqua, e la soluzione acquosa è usata come reattivo dei sali di sodio, poiché in presenza di questi si forma il corrispondente piroantimoniato di sodio, bianco cristallino, pochissimo solubile in acqua. Il metantimoniato di potassio, SbO3K, si forma fondendo antimonio con nitrato potassico; dopo ebollizione con acqua, esso si presenta come polvere bianca.
Trisolfuro di antimonio, Sb2S3. Si trova in natura, in cristalli grigio-nerastri di lucentezza metallica, e costituisce il principale minerale di antimonio; fonde a 555°. Si ottiene in fiocchi amorfi giallo aranciati per precipitazione dei derivati di antimonio trivalente con idrogeno solforato; per fusione di questo solfuro o di una miscela dei due elementi, si forma il solfuro grigio-nerastro cristallino. Si ottiene allo stato colloidale da una soluzione diluita di tartaro emetico con idrogeno solforato; costituisce allora un liquido di color rosso cupo, dal quale con elettroliti precipita rapidamente il solfuro amorfo aranciato. È usato nell'industria dei fiammiferi mescolato a clorato potassico.
Il kermes minerale è una miscela di solfuro di antimonio, rosso e amorfo, con piroantimoniato sodico, incoloro e cristallino, che si ottiene facendo bollire il solfuro nero con una soluzione di carbonato sodico; dopo filtrazione dal liquido, si separa per raffreddamento il kermes; è una polvere rosso-bruna insipida, usata come espettorante; un tempo ebbe fama come panacea universale; attualmente è alquanto in disuso.
Pentasolfuro di antimonio, o solfodorato di antimonio, Sb2S5. Si ottiene dal sale di Schlippe, SbS4Na3.9H2O, per precipitazione dalla sua soluzione acquosa con acido solforico, oppure dalla soluzione cloridrica dell'acido metantimonico con idrogeno solforato. È una sostanza amorfa rosso-aranciato scuro, facilmente decomponibile in solfo e trisolfuro per azione del calore e della luce. Usato per vulcanizzare il caucciù, che colora in rosso. È pure usato in miscela con clorato potassico nella industria dei fiammiferi.
Il tri- e il penta-solfuro hanno comportamento di solfoanidridi, Sb2S3 e Sb2S5; si sciolgono nelle soluzioni dei solfuri alcalini unendosi con le solfobasi K2S, Na2S, formando i solfosali, cioè i solfoantimoniti, p. es. SbS3K3 e SbS2K, e i solfoantimoniati SbS4K3. Da questi solfosali con acidi minerali si liberano i solfoacidi SbS3H3 e SbS4H3 che subito si scompongono rispettivamente in Sb2S3, Sb2S5 e in H2S. Tra questi composti è da ricordare il sale di Schlippe, SbS4Na3.9H2O, in grandi cristalli incolori o gialli, che si ottiene bollendo il solfuro di antimonio grigio con fiori di zolfo e idrato sodico. Molti solfuri doppi di antimonio e di metalli pesanti che si trovano in natura come minerali, o si ottengono artificialmente, si possono considerare come sali di questi solfoacidi.
Si possono avere derivati misti, ossigenati e solforati; cioè ossisolfuri Sb2S2O, e ossisolfosali, p. es., SbSO3K3, SbOSK. In pittura è usato come cinabro di antimonio l'ossisolfuro Sb2S2O di un bel colore rosso carminio che si ottiene scaldando una soluzione di tricloruro di antimonio in iposolfito sodico.
Tra i composti organici dell'antimonio vanno ricordati i derivati dell'idrogeno antimoniale, SbH3, con sostituzione dei tre atomi d'idrogeno con radicali alchilici; si conoscono le stibine, p. es. Sb(CH3)3, e i derivati stibonici, p. es. Sb(CH3)4Cl.
Il tartrato doppio di antimonile e di potassio, o tartaro emetico, o tartaro stibiato, SbO . OOC . CHOH . CHOH . COOK . ½ H2O è il derivato più importante di antimonio; si ottiene per ebollizione del triossido di antimonio con soluzione di tartrato acido di potassio. Cristalli rombici incolori, solubili in 14 parti di acqua, con sapore metallico nauseante usato come vomitivo ed anche come mordente in tintoria in unione col tannino per fissare i colori basici.
Riconoscimento dell'antimonio. - Per il riconoscimento dei composti di antimonio si può ricorrere alla reazione di fusione sul carbone con carbonato sodico; si forma un globulo metallico friabile e un'aureola bianca di ossido di antimonio. Per le soluzioni dei suoi derivati è caratteristica la precipitazione in soluzione acida del tri- e del penta-solfuro, colorati in rosso aranciato, solubili nei solfuri alcalini e in acido cloridrico concentrato. Dalle soluzioni cloridriche dei derivati di antimonio lo zinco precipita l'antimonio in polvere nera, che non si scioglie in acido cloridrico concentrato, e si scioglie invece in acqua regia. È pure caratteristica la facile idrolisi dei derivati di antimonio in presenza di acido cloridrico con precipitazione dei sali basici bianchi. Va notato infine come sia assai sensibile la reazione di formazione dell'idrogeno antimoniale per l'azione dell'idrogeno nascente sui composti di antimonio; questa reazione viene impiegata nella ricerca chimico-legale dell'antimonio in caso di sospettato avvelenamento. Sul modo di operare sulla differenziazione dell'idrogeno antimoniale dall'idrogeno arsenicale v. arsenico.
Farmacologia. - L'introduzione in medicina dell'antimonio ha una storia interessante. Noto a Ippocrate, Dioscoride e Galeno, fu proposto per uso interno per la prima volta nel 1510 dal monaco alchimista Basilio Valentino, il quale, secondo quanto narra la leggenda, avendo veduto ingrassare alcuni maiali cui l'aveva somministrato, pensò di propinarlo, ma con poco successo, ai frati del suo convento, e da ciò deriverebbe il nome antimonium, secondo l'etimologia popolare già accennata. Il vero panegirista dell'antimonio fu Paracelso. Egli affermava che antimonium omnes morbos tollit, e lo diceva dotato di qualità eteree e celesti. I medici seguaci di Galeno, ostili ai nuovi medicamenti chimici non adoperati dagli antichi, si opposero con energia all'uso dell'antimonio, e nel 1566 il decano della facoltà medica di Parigi, Simon Pietre, dichiarava l'antimonio deleterium et inter simplicia venenata adnumerandum; mentre da altre parti piovevano lodi a questo nuovo medicamento: il Gessner lo diceva migliore dell'oro, il Mattioli lo chiamava mano di Dio, e il Rupescissa lo definiva il miglior tesoro del mondo. Ma non molto dopo il celebre Guido Patin, che odiava i partigiani dell'antimonio, definiva méchant charlatan il Turquet de Mayerne, che aveva scritto un opuscolo in favore del rimedio, e otteneva ch'egli fosse bandito per sempre dalla Facoltà medica. In Italia il Bovio e il Solombrino furono fra i più caldi difensori dell'antimonio, che venne definitivamente accolto in terapia quando, con questo farmaco, Luigi XIV malato a Calais ottenne la guarigione. L'antimonio e il suo preparato principale, il tartaro emetico, caduti in dimenticanza, furono fatti rivivere sul principio del sec. XIX dal Rasori e dai suoi seguaci.
L'azione dell'antimonio si può rassomigliare a quella dell'arsenico. Somministrato per bocca sotto forma di tartaro emetico (tartrato doppio di antimonile e potassio) provoca il vomito per la sua azione irritante locale dovuta anche al fatto che esso si elimina in parte per la mucosa gastrica. Negli animali da esperimento, sostituendo allo stomaco una vescica (Magendie) e iniettando soluzioni di tartaro emetico, si provoca il vomito per eccitazione diretta del centro bulbare. A piccole dosi sovente ripetute può produrre un'intossicazione subacuta che ricorda quella da arsenico e che si verifica nei lavoratori di certe industrie. Si sono sperimentati varî composti d'antimonio, e si è visto essere più tossici quelli in cui l'antimonio è trivalente in confronto di quelli in cui è pentavalente. Il Rowntree e l'Abel hanno proposto un composto organo-metallico, il bioglicocolato d'antimonio, e altri ora se ne studiano come tripanicidi e disinfettanti, anche per iniezioni endovenose. Hügel, Uhlenhuth e Mutlzer hanno dimostrato che i composti corrispondenti all'atossile e al salvarsan sono terapeuticamente inattivi. Invece il sale sodico dell'acido acetilaminofenilantimonico, corrispondente all'arsacetina e il triossido di antimonio [Sb2O3] in soluzione oleosa (trixidina) hanno dimostrato una certa attività nella sifilide sperimentale degli animali e in alcune tripanosomiasi. Il tartaro emetico si usa, come dice la parola, per provocare il vomito; come espettorante, si preferiscono l'ossido bianco di antimonio e l'ossisolfuro o kermes minerale. Oggi questi rimedî sono poco usati, ma un ritorno all'uso dell'antimonio è forse da consigliarsi. Broden e Rodhain hanno ottenuto buoni risultati dalle iniezioni endovenose di tartaro emetico nelle tripanosomiasi; Vianna e Machado nella leishmaniosi esterna cutanea e mucosa; Di Cristina e Caronia nella leishmaniosi interna o kala-azar.
Avvelenamento da antimonio. - Ormai assai raro, comunissimo nei secoli scorsi, quando ne era largo il consumo terapeutico. La dose tossica mortale è difficile a stabilire: in genere dosi superiori ai gr. 0,20 sono causa di disturbi pericolosi. Nell'avvelenamento acuto, raro, per lo più consecutivo a somministrazione di tartaro stibiato a scopo emetizzante in soggetti idiosincrasici, i sintomi compaiono in pochi minuti con nausea, scialorrea, vomiti violenti, biliari, cui segue presto diarrea profusa. L'ammalato è cosparso di sudor freddo, il polso è piccolo, filiforme: succedono crampi, vertigini; il collasso circolatorio è causa della morte. Di solito però con il vomito viene espulsa la quasi totalità del sale di antimonio, e l'avvelenamento stesso dà al malato il primo soccorso. Gli avvelenamenti cronici, professionali, si palesano con esantemi papulo-pustolosi, vaioliformi; lesioni catarrali dell'intestino con diarrea, coliche, deperimento, astenia. La degenerazione grassa del fegato si manifesta con dolori all'ipocondrio e conseguente ittero, prurito e prostrazione generale: la degenerazione grassa del rene è a tipo di nefrosi, con albuminuria. Si aggiunge depressione cardiovascolare. Le piccole dosi di antimonio non esercitano quindi la benefica azione anabolizzante che ha sul ricambio l'arsenico, tanto affine chimicamente. La cura per l'avvelenamento da tartaro emetico consiste nella somministrazione di tannino in soluzione acquosa, formandosi un tannato d'antimonio insolubile, e nell'uso di stimolanti diffusibili (etere), e cardiocinetici per via ipodermica.