antifrasi
. Viene definita da Isidoro (I XXXVII 24) " sermo e contrario intellegendus ", accostata quindi all'ironia, con la quale ha in comune la caratteristica di designare una cosa o una persona usando l'espressione contraria a quella che si vuole intendere.
L'a. si distingue dall'ironia, secondo Isidoro, perché quest'ultima non si svela se non nel tono con cui si pronuncia l'espressione, mentre la prima risulta dalla radice stessa del vocabolo usato. Beda, riprendendo questa definizione, precisa che l'a. è l'ironia limitata a una sola parola. Tale definizione ricompare nell'Ars poetica di Gervasio di Melkley (le arti poetiche medievali contemplano generalmente solo l'ironia), il quale ne fa cenno nella terza sezione riguardante la " contrarietas ". La difficoltà di distinguere sempre, in questo caso, la figura di pensiero (ironia) dalla figura di parola (antifrasi) consiglia di limitare l'esame dell'a. in D. agli esempi più perspicui.
Nella Vita Nuova è il poeta stesso che nel commento sottolinea l'a. usata in un sonetto per rimproverare alla Pietà la crudeltà nei confronti del poeta: convenemi chiamar la mia nemica, / madonna la Pietà, che mi difenda (XIII 9 13-14). L'epiteto di ‛ madonna ' assunto nel senso affettivo, si contrappone infatti alla ‛ inimicizia ' di lei (cfr. XIII 10 e dico ‛ madonna ' quasi per disdegnoso modo di parlare).
Nella Commedia l'a. ricorre soprattutto nei luoghi in cui predomina l'atteggiamento sdegnoso del poeta nei confronti dei peccatori, o allorché esplode la satira. La famosa apostrofe a Firenze di If XXVI 1 (Godi ecc.), che si sviluppa in una scoperta ironia, può considerarsi un'a. perché equivale a un improperio. Lo stesso modulo ritorna in Pg VI 136 (Or ti fa lieta, per ‛ rattristati '), cui segue ancora un discorso ironico, nel quale possono individuarsi alcune a., lì dove pace e senno stanno per ‛ guerra ' e ‛ stoltezza '. In If XXI 41 (ogn'uom v'è barattier, fuor che Bonturo) e XXIX 125 (Tra'mene Stricca) il rilievo con cui s'intende presentare un peccatore è tradotto in un'espressione che pare invece scagionarlo: siamo al limite della vera e propria ironia, come nell'espressione corrispondente di Pg VI 128 ( questa digression che non ti tocca). A dar vigore alla riprovazione morale e politica concorre l'a. in If XXIX 126 (le temperate spese), in Pg VI 111 e 115 (e vedrai Santafior com'è sicura [var. di oscura]; Vieni a veder la gente quanto s'ama!). Al limite fra l'a. e l'antonomasia è l'appellativo dato a Firenze, la ben guidata (Pg XII 102). Nell'ambito del linguaggio ‛ comico ' si spiega l'a. di Pg IV 114 (Or va tu sù, che se' valente!), che col suo tono polemico concorre a caratterizzare Belacqua.