Antifonte
. Poeta tragico greco, fiorito alla corte di Dionisio il vecchio, tiranno di Siracusa, dal quale, caduto in disgrazia, fu fatto uccidere. D. lo conosceva attraverso Aristotele (Rhet. II 2, 1379 b 15; II 6, 1385 a 10, II 23, 1398 a 5 e dove il nome di A. è attestato solo in alcuni codici).
Di lui possediamo i titoli e i frammenti di tre tragedie (cfr. Nauck, FTG2 p. 792 ss.), di cui Andromaca e Meleagro ricordate occasionalmente dallo stesso Aristotele (rispettivamente in Eth. Eudem. VII 4, 1239 a 37 e Rhet. II 2, 1379 b 15). Plutarco, che lo ricorda tra i grandi poeti tragici, ne parla più di una volta (cfr. Adul. et am. 27, Stoic. repugn. 37), ma lo confonde poi con A. di Ramnunte, oratore, nella Vita di quest'ultimo; di lui parla anche Filostrato (Vit. soph. 115, 3).
Virgilio, rispondendo a Stazio che gli aveva chiesto se alcuni famosi poeti latini a lui cari son dannati, e in qual vico (Pg XXII 99), fa sapere, mentre i tre salgono la scala che conduce al VI girone del Purgatorio, che essi sono nel Limbo insieme con lui e con i più illustri poeti greci, dei quali ultimi ricorda A. insieme con Simonide e Agatone (anche questi ricordati spesso da Aristotele nella Retorica) ed Euripide, di cui D. aveva soltanto notizia attraverso Aristotele, Cicerone e altri (Pg XXII 106-108).
È da supporre che D. lo confondesse con A. di Ramnunte, il primo dei dieci oratori ricordati da Cicerone (per es. Brutus XII 47) e Quintiliano (III 111 " Antiphon quoque et orationem primus omnium scripsit "). Alcuni codici danno Anacreonte (il poeta lirico di Teo, fiorito intorno al 530 a.C.) al posto di Antifonte, ma è una variante tarda (accolta tuttavia dall'Ottimo, dal Landino e dal Vellutello) e si spiega come " evidente sostituzione di nome più noto ad altro meno noto ", così come " l'ipotesi di ue nosco come derivante da un primitivo v'è Mosco " è irrilevante (Petrocchi, ad l.).
Questa numerazione dev'essere considerata come un'appendice a If IV 88-90 e ha lo scopo di completare le serie di scrittori antichi ivi menzionati, come quella successiva delle figure del mito (Pg XXII 109-114) completa l'altra serie, di cui in If 121-144. Non risponde, come vuole A. Galletti (Il canto XXII del Purgatorio. Lectura Dantis, Firenze, s.d., 31), esclusivamente a un interesse erudito " proprio di gusto medioevale ", ma, come ha notato il Sapegno, " sorge con le sue coloriture di affettuoso idillio... dallo stesso atteggiamento preumanistico che ha ispirato le pagine che precedono ". Circa il criterio della scelta di questi scrittori antichi da collocare nel Limbo, ricordiamo quanto già osservato dallo Scherillo (rec. a T. Bottagisio, Il Limbo Dantesco. Studi filosofici e letterari..., in " Bull. " VIII [1900-01] 13), che D., che certo ricordava s. Paolo (Rom. X 12, I Corinth. 12, 13, Gal. III 28) " non intendeva determinare e circoscrivere le categorie dei giusti degni del Limbo " e che, d'altra parte, le " valide raccomandazioni di autorevolissimi patrocinatori " come Aristotele, potevano, come in questo caso, dare una giustificazione alla scelta. Per il complesso problema v. anche STAZIO.