ANTICLASSICO
Con questo termine, entrato in circolazione nella esegesi critica dell'arte antica attorno al 1925, si è voluta definire una tendenza stilistica propria a culture artistiche fortemente influenzate dall'arte greca, ma che in parte mostrano forme in evidente contrasto con i principi fondamentali di tale arte. Esso è stato usato perciò in particolare per l'arte etrusca (Bianchi Bandinelli, 1925-26; Riis, 1953) e per l'arte siceliota (P. Marconi, 1929, 1930-31). Tuttavia, mentre all'inizio esso non voleva significare più che una constatazione di fatto, cioè una non completa assimilazione e comprensione della forma classica, il termine a. venne in prosegùo di tempo usato per sottolineare e definire la presenza d'un movimento reattivo al gusto classico in seno ad alcune aree di produzione artistica dell'Occidente mediterraneo fra il sec. VI e il I a. C.
Specialmente il Marconi si sforzò di dare al termine a. un contenuto positivo e definito: "l'anticlassico appare a primo momento come visione incerta, isolata dalle espressioni dell'arte che sono greche; poi man mano si concreta, si conquista, assume proprio carattere, mostra la propria sostanza" (1930-31); "è tutta una visione diversa da quella classica, una affermazione, un sentimento di mondo, un principio opposto, che si cerca la forma sua, nuova; e alla radice vi è una esigenza che nega il classico, il voler conservare la vita con la sua vivacità brusca di contrasti, con la sua molteplicità, con la sua scissione nell'individuo e nell'atomo; voler insomma affermare con tutti i suoi caratteri la visione del reale, sacrificata all'esigenza riduttrice della forma; preporre infine l'esigenza della sostanza a quella della forma; l'inversione dei rapporti, dunque, che regolano alla radice il mondo classico e la sua espressione formale" (ibid.). In questa formulazione, però, affiora una interpretazione non appropriata del classico come prevalenza della forma (formalismo) sulla sostanza, interpretazione che deriva da un attardarsi, nella critica archeologica, dell'equivoco sorto nella cultura dell'età neoclassica, fra classicità e classicismo, che son due cose ben diverse. Inoltre va considerato più attentamente il problema, se le forme definite col termine di a. provengano da una voluta e consapevole opposizione e reazione alla forma classica greca, oppure ne rappresentino una degradazione popolaresca artigiana e, in sostanza, atemporale e priva di possibilità di sviluppo. Altri studiosi cercarono di definire le caratteristiche formali dell'antica arte italica riportandole a un diverso principio strutturale (Kaschnitz-Weinberg) connesso ad elementi antropogeografici ed etnici, elementi, cioè, non storicizzabili. Il termine a. ha giustificato la sua origine nel tentativo di superare gli schemi neoclassici della critica d'arte in campo antico (e per questo lato si riconnette alle posizioni del Riegl, v.), non senza subire, anche in questo caso, suggestioni dall'ambiente dell'arte moderna contemporanea ("espressionismo"). Ma deve riconoscersi termine non sufficientemente valido a definire una realtà storica assai più complessa, dalla cui analisi, piuttosto che dalla applicazione di astratti schemi estetici, deve scaturire la definizione di una civiltà artistica e delle opere in essa prodotte.
Bibl: R. Bianchi Bandinelli, I caratteri della scultura etrusca a Chiusi, in Dedalo, VI, 1925-26, p. 5 ss.; P. Marconi, L'efebo di Selinunte (Istituto di Archeol., Opere d'Arte, I), Roma 1929; id., L'a. nell'arte di Selinunte, in Dedalo, VIII, 1930-31, pp. 395-412; P. J. Riis, An Introduction to Etruscan Art, Copenaghen 1953; a proposito della quale opera e della questione dell'a. si veda la recensione di J. G. Szilàgyi, in Acta Antigua Acad. Scient Hungariae, III, 1955, p. 352 ss. (in inglese). G. Kaschnitz-Weinberg, Bemerkungen z. Struktur d. altitalischen Plastik, in St. Etr., VII, 1933, p. 135.