Vedi ANTEFISSA dell'anno: 1958 - 1994
ANTEFISSA (v. vol. I, p. 404)
Il termine latino generalmente usato era antefixum; quello greco, καλυτττήρ άνθεμωτός (embrice fiorito), della famosa iscrizione della skeuothèke di Philon (IG, II2, 1627, 306), si riferisce solo alla tipica a. della madrepatria greca, ornata di forme vegetali stilizzate (palmetta, fior di loto, acanto). Rimane però sconosciuto il termine greco per indicare l'a. in generale: con testa umana, maschera o scena figurata, comune in Magna Grecia, Sicilia e Italia centrale.
Anticamente si riteneva che la coroplastica fosse stata inventata a Corinto dal vasaio Boutades (Plin., Nat. hist., XXXV, 151-152; Athenag., Leg. pro christ., 17, 2, pp. 53-54 Marcovich; v. vol. II, pp. 156-157)· Plinio precisa espressamente che Boutades era in realtà nativo di Sidone; tuttavia né a Corinto né negli immediati dintorni, come Isthmia e Perachora, sono stati fino a oggi trovati embrici di gronda ornati di maschere umane. Nei semplici tetti protocorinzi del VI sec. a.C. poggianti su resistenti cornicioni o gèisa di pietra (uno si è conservato a Isthmia), gli embrici di gronda cominciano a distinguersi dagli altri (semicircolari) per la loro forma triangolare. Ma soltanto quelli a forma di casa dei primi tetti corinzi e quelli argivo-eginetici a loro molto simili, potevano essere chiusi sulla gronda da lastre esagonali o pentagonali decorate con una piccola palmetta che si sviluppa dall'incontro di due steli vegetali simmetrici disposti a S.
Nei templi della Grecia nord-occidentale (Thermos, Kalydon, Corfù), i cui cornicioni lignei richiedevano protezione, le lastre antefisse si prolungano oltre il bordo inferiore degli embrici e a Thermos e Corfù, in corrispondenza degli strotères, sono collegate l'una all'altra da lastre forate per agevolare il defluire dell'acqua. Le a. venivano decorate con teste di divinità femminili evidenziate come tali dai lunghi steli, terminanti in volute e dipinti ai due lati, e i fori nelle lastre venivano mascherati da teste leonine o da gorgòneia, formando così interi «fregi figurati con volti» (Gesichterfriese). Argilla, stile e iscrizioni indicano che furono prodotte in officine locali. Le poche a. semicircolari dei kalyptères semicilindrici dei primi tetti laconici, ritrovate soprattutto nel Peloponneso, sono decorate con rosette e girandole dipinte oppure con teste di gorgone o coppie di sfingi contrapposte.
Tornando alle a. corinzie e argivo-eginetiche, l'iniziale semplicità del loro ornamento si arricchisce, dopo breve tempo, di altre volute e foglioline, mentre nella seconda metà del VI sec. a.C. le palmette si sviluppano al punto da superare i limiti dell'a., diventandone l'elemento predominante. Il rilievo basso è dipinto in nero e rosso su fondo chiaro. I motivi ornamentali, assurti quasi a canone nelle grandi officine, subiscono lo stesso evolversi dello stile degli antemi delle sime dei tetti (c.d. megarici) e all'inizio del V sec. vengono eseguiti con tecnica a figure rosse. Il rigido fior di loto è sostituito da tralci morbidamente flessi a forma di lira (Lesche degli Cnidî a Delfi) e nello stile severo attico i tralci e le palmette si sviluppano ramificandosi a formare quasi un albero a volute. Interessante notare che, mentre le a. marmoree del Partenone - probabilmente sotto l'influsso dei coronamenti delle stele ioniche sono semplicemente ornate da una pesante doppia voluta che sostiene l'aprirsi a ventaglio della palmetta, le a. fittili attiche ostentano un ricco «stile fiorito» in cui la palmetta, arrivando ad avere sino a undici foglie talvolta flesse a fiamma, fuoriesce da un calice d'acanto modellato e dipinto in senso prospettico (Olimpia, officina di Fidia). In alcune a. più piccole (Atene, Ceramico, Brauron) i motivi ornamentali sono tracciati a mano libera e dipinti in giallo su fondo arancione o viceversa e i calici d'acanto, neri o addirittura naturalisticamente verdi, sbocciano in rosso.
Nel IV sec. a.C. l'edilizia greca decora quasi tutti i templi importanti con ricche sime marmoree, riservando agli edifici minori il semplice spiovente con a. fittili prodotte da grandi officine specializzate in un unico tipo. Quello di Atene, p.es., che decorava il tetto del Pompèion dopo il primo restauro e il Tempio di Egira, imita l'Eretteo con le sue a. in cui le palmette sbocciano da due doppie spirali vegetali scanalate e fuoriuscenti dal calice di acanto. Nell'ultimo quarto del IV sec., questo tipo di a. decora i palazzi dei re macedoni a Pella e Verghina (Aigai), a dimostrazione dell'influenza del raffinato gusto attico. Dall'ellenismo fino addirittura all'età romana imperiale, tale modello, anche se di qualità sempre più scadente, si diffonderà fino a Delo, Samotracia e Pergamo. Un altro tipo, chiamato anche corinzio, che continua la tradizione dell'a. preclassica conservando il piccolo fior di loto capovolto sotto la palmetta, si diffonderà nel III sec. a.C. dalla stoà di Corinto a Delfi, Epidauro, Dodona, arrivando a essere nei secoli successivi, probabilmente, il più diffuso in tutta la Grecia; fin dal II sec. a.C., l'officina apponeva la sua firma sotto il rilievo decorativo come è dato vedere, p.es., nelle diverse serie di Apollonios. Come unica novità l'a. può presentare una piccola figura o, come ad Atene, la testa della dea della città con l'elmo e, a Olimpia, quella di Zeus. Le piccole a. ritrovate in Elide, con palmetta che sboccia direttamente dal calice d'acanto e include spesso una piccola testa umana, somigliano molto ad alcune a. prodotte a Roma.
L'Asia Minore e le isole. - Lo scultore Byzes, cui è attribuita, da Pausania, l'invenzione del tetto marmoreo, proveniva dall'isola di Nasso. Quindi possiamo assegnare proprio a lui la realizzazione del tetto dell'òikos dei Nassî a Delo del primo quarto del VI sec. a.C., decorato con a. semicircolari a testa di gorgone incise e in origine dipinte. La firma del maestro è stata riconosciuta nelle lettere CY ( = BY nell'alfabeto nassio) su una tegola simile ritrovata sull'Acropoli di Atene e attribuita all'«Urparthenon». A. marmoree con palmette poggianti su volute decoravano più tardi il Tempio di Atena dal frontone con Eracle e il Tritone e, nel periodo tardoarcaico, il Tempio di Aphaia a Egina e tanti preziosi tetti marmorei nelle Cicladi. In Asia Minore solo i grandi templi di Didyma ed Efeso ebbero a. marmoree, mentre quelle del Tempio di Hera costruito da Rhoikos a Samo erano fittili.
Le terrecotte architettoniche dell'Asia Minore sono state pubblicate in modo esauriente da Å. Åkerström, che ne ha anche stabilito una cronologia convincente, concordemente con quella dei tetti della Grecia. Nel multiforme quadro generale ha grande spicco il gruppo di a. pentagonali prodotte inizialmente da un'officina di Mileto verso la metà del VI sec. a.C. con un tipo a grande fiore di loto fra volute terminanti in piccoli loti, ispirato a un modello importato da Corinto o comunque dalla madrepatria. Le successive a. tardoarcaiche, delicatamente modellate, presentano una protome leonina e un piccolo gorgòneion con tipici serpenti laterali ionici. Interessanti sono le a. della stessa forma che, vivacemente dipinte, rappresentano singole figure tratte da complesse scene mitologiche: a Thasos una riproduce Bellerofonte a cavallo di Pegaso e un'altra la Chimera, sua preda. Quella di Mitilene (Lesbo), che raffigura «l'avventura di Pholos» con Eracle arciere nascosto dietro gli alberi, deve aver avuto un pendant raffigurante il Centauro. L'a. con gorgòneion tardoarcaico è rappresentata splendidamente da quelle ritrovate a Samos, Thasos, in Eolia e addirittura a Histria sul Mar Nero. Le a. semicircolari provenienti da Pazarli nella regione oltre il fiume Halys, con i grifi in lotta sopra un cerbiatto abbattuto, dipinto a fermi tratti rossi e neri, si ispirano sicuramente a modelli greci, pur appartenendo già all'arte anatolica.
Magna Grecia e Sicilia. - Nel passo citato, Plinio narra che il Bacchiade Demarato, venuto in Italia dopo il 657 a.C., fu raggiunto dai tre leggendari fictores di nome Eucheir (per il modellato), Eugrammos (per la pittura) e Diopos (per la messa in opera con il traguardo) che insieme diffusero in Italia l'arte della plastikè. Che l'Italia meridionale in quell'epoca ospitasse tale genere di produzione è confermato dal ritrovamento a Taranto di una a. semicircolare a testa maschile (con barba originariamente dipinta) di stile dedalico laconico, che risale probabilmente ancora al terzo quarto del VII sec. a.C., seguita poi a Metaponto da un'a. a testa femminile con simili ciocche lunghe a perle, mentre l'a. ornata dalla mano maldestra di un artigiano indigeno, ritrovata in una tomba della metà del VI sec. a.C. a Camarina con l'epigrafe ΔΙΟΠΟΣ, è una tarda testimonianza dell'attività dei maestri greci in Sicilia.
In Magna Grecia e Sicilia, nelle tante città abitate da coloni provenienti da diverse parti della Grecia e della Ionia, non si sviluppò mai una produzione a livello di quelle corinzie o attiche. Il quadro generale delle a. quasi tutte semicircolari e appartenenti a tetti «misti» o «ibridi» - presenta, dunque, una grandissima varietà; le a. arcaiche pubblicate fino al 1982 sono raccolte nello studio di V. Kästner, che propone comunque una cronologia assai bassa. Va tenuto però presente che le a. fino a oggi conosciute non offrono un quadro esauriente, in quanto non tutti i centri di produzione sono stati ugualmente esplorati. Il rivestimento fittile del primo Tempio di Marasā a Locri, riferibile probabilmente alla fine del VII sec. a.C., includeva già a. semicircolari decorate con girandole. Nel primo quarto del VI sec. a.C. a Siracusa e a Megara Hyblea troviamo delle a. dipinte con palmette o «mezze rosette» poggianti su due larghi steli terminanti a volute, che trovano uno stretto confronto in un'a. metapontina o tarantina eseguita però in rilievo. Una singolare a. pentagonale con palmetta a rilievo sopra steli terminanti in boccioli, proveniente dall'acropoli sulla Motta presso Francavilla (Calabria), attesta come, nell'entroterra di Sibari, fosse conosciuto anche il tetto corinzio. Lo stesso sistema di copertura presuppongono le a. cosiddette a corna, che, create forse a Crotone, si diffusero a Caulonia, a Ciro, a Paestum e perfino nei grandi santuari greci. Le a. semicircolari provenienti dalle più antiche città greche di Pithecusa (Ischia) e Cuma, con le loro palmette dipinte e i bordi a foglie larghe e corte, sembrano aver influenzato decisamente la produzione di Capua, dove troviamo anche un'antichissima palmetta «fenicia». In questo stesso centro e inoltre a Minturno, sono state riprese per la prima volta le a. a testa umana, qui però a tutto tondo e con forme che riflettono lo stile postdedalico di tanta grande scultura per noi andata perduta. Imitano invece modelli delle arti minori dedaliche e postdedaliche le a. semiellittiche con pòtnia theròn o sfinge bisoma, e quelle con piccola testa femminile al centro di una palmetta bordata di foglie. Ancora al primo quarto del VI sec. a.C. risalgono il feroce gorgòneion di Metaponto con grandi zanne e l'enorme maschera leonina pendente per metà dal bordo inferiore dell'a. semicircolare del Santuario di Hera Lacinia a Crotone, ambedue purtroppo frammentarie.
Quando nei templi importanti in Sicilia e in tante città della Magna Grecia si affermano i grandi rivestimenti fittili di tipo siceliota, che con le loro sime laterali non consentono l'uso delle tegole di gronda decorate, le a. vengono relegate agli edifici minori, in cui però artisti e artigiani sviluppano, con fantasia quasi illimitata, uno svariatissimo mondo figurativo. Alla riorganizzazione di Morgantina da parte dei Greci intorno alla metà del VI sec. a.C., risalgono un'a. decorata con gorgòneion con serpenti laterali e due con testa femminile - ninfa o menade - dai tratti robusti e vivacemente dipinti, ormai del tutto sganciati dalle forme dedaliche greche, cui seguiranno, a Reggio, teste di carattere altrettanto rustico. Nell'ultimo venticinquennio del secolo, invece, le teste femminili di Siracusa, Adrano, Caltagirone, Megara Hyblaea e Akrai, che sono probabilmente quelle di ninfe, metteranno in risalto con le loro forme sempre più raffinate il crescente influsso ionico.
A Gela, uno dei primi centri di produzione di terrecotte architettoniche, e nei suoi dintorni, i tetti dei piccoli edifici erano ornati a partire dalla metà del VI sec. a.C. da a. decorate con palmette, oppure con gorgòneion o, più raramente, con teste di sileno a rilievo, ma soprattutto con originalissimi dipinti che prendevano spunto dall'ambiente dionisiaco o demoniaco: sirene, sfingi, sileni e menadi, scene erotiche. Sia lo stile delle figure che la tecnica di questi dipinti rivelano la conoscenza della pittura ionica. A Naxos ebbe inizio, forse ancora nel terzo quarto del VI sec. a.C. e su modello samio, un'importante produzione di a. sileniche che, oltre ai piccoli edifici dei santuarî, potevano decorare anche gli spioventi dei tetti a cappuccina delle sepolture. I volti, inizialmente piatti e tutt'uno con la lastra, nei tipi del V sec. a.C. si staccano dal fondo con una decisa inclinazione della testa, mentre l'espressione irrequieta del dàimon, che si esprime nel corruccio della fronte e nel movimento della barba e dei capelli, viene sostituita da una calma pensierosa. Tra il 470-460 sarà però l'arte geloa a esaltare la rappresentazione di questo soggetto con il mirabile gruppo di a. da Via Apollo: modellato con eccezionale sensibilità e liberamente rifinito anche sui lati, presenta con la semicalvizie dei capelli ondulati la stessa tipologia dei sileni della pittura vascolare attica dell'epoca. Il tetto di un sacello a Morgantina era decorato da a. con gorgòneion e con maschere leonine create con ogni probabilità da un coroplasta venuto dall'Asia Minore, forse Mileto, nei primi anni del V sec. a.C. Di ottima qualità sono anche le a. a basso rilievo decorate con mezzibusti di divinità di profilo: Apollo, Hermes ed Eracle, rinvenute a Siracusa e Agrigento e ambedue riferibili alla metà del V sec. a.C.
Nella Magna Grecia le officine di Metaponto, Caulonia e Paestum creano, nel terzo quarto del VI sec. a.C. originalissime maschere gorgoniche ancora senza protomi di serpenti, a Hipponion si plasma la bella maschera di pantera ionizzante tardoantica e a Medma il villoso sileno con rhytón e una bella protome femminile. A partire dalla metà del VI sec. a.C. fino al periodo romano la produzione di a. sarà una specialità tarantina. Anche qui soggetto largamente preferito è il gorgòneion: dapprima presenti le tradizionali ciocche di perle e poi i serpenti fuoriuscenti dai lati della maschera che, alla fine del secolo, formano un'intera corona intorno al volto ora più umanizzato e vivacissimo. Questo modello ebbe tanto successo che, fino alla metà del V sec. a.C., le matrici - di volta in volta con piccole variazioni - vennero rifatte anche per cinque generazioni e si diffusero in tutta la Magna Grecia. Dopo un periodo di stagnante inventiva, la produzione tarantina riprende nel IV sec. a.C. con un ampio campionario di a. decorate con le teste di tante divinità ed eroi locali, oltre a un sileno sempre più umanizzato cui si associano Pan e una selvatica ninfa-menade. Alla prediletta maschera gorgonica apotropaica subentra la testa della Medusa con capelli svolazzanti coperti dal pètasos, dal copricapo frigio o dalla pelle ferina, tutti elementi che rinviano a Perseo vittorioso. Così caratterizzata come rappresentante dell'Ade, la testa di Medusa dava profondo senso alla decorazione dei monumenti funerari. Lo stile delle a. tarantine riflette tutto l'andamento stilistico della grande scultura, passando dal fermo modellato di tradizione classica e dall'impostazione frontale delle teste, a una loro violenta torsione e a un più ricco riempimento dello spazio con le linee irrequiete dei capelli e degli attributi. Queste a., ritrovate, oltre che a Taranto, in quasi tutti i centri della Magna Grecia, lasciavano ben poco spazio ad altre produzioni tranne forse che a quelle delle officine locresi, da cui ci arriva una bella testa silenica di stile severo forse ispirata alle a. di Naxos e l'a. pentagonale classica con eroe a cavallo di un delfino ritrovata a Caulonia, e, nella prima metà del IV sec. a.C., due belle teste di ninfe o menadi con capelli sciolti modellate quasi a tuttotondo e un gruppo di a. sileniche con carattere di maschere teatrali, attribuito all'edificio scenico del teatro della città.
Etruria, Lazio, Campania. - Nei templi etrusco-italici, ove gli elementi delle costruzioni lignee hanno forme molto semplici, le decorazioni fittili con a. e lastre di rivestimento assunsero maggiore importanza che in quelli greci. Nuovi elementi che hanno contribuito ad arricchire il quadro generale su di esse sono stati forniti, negli ultimi decenni, dagli straordinari ritrovamenti di Acquarossa (la Ferento arcaica) e Poggio Civitate-Murlo, presso Siena. In questi centri gli edifici più importanti erano coperti da tetti di terracotta (sistema misto o «ibrido») sin dall'ultimo quarto, se non già dalla metà, del VII sec. a.C. Mentre l'uso di questa tecnologia, che sappiamo di origine greca, raggiunse i piccoli centri etruschi probabilmente approdando alle città costiere, le forme primitive dei singoli elementi decorativi derivano direttamente dalle ultime elaborazioni ceramiche dell'Etruria meridionale. Ad Acquarossa (zona residenziale) oltre ai famosi acroteri troviamo semplici a. semicircolari a solchi concentrici, a triangoli, a traforo o dipinte con mezza rosetta bianca, tutte ritagliate da grandi lastre di argilla. Vennero invece eseguite con matrici le a. a testa umana della prima abitazione principesca di Murlo, risalente alla fine del VII sec. a.C. I tratti primitivi dei volti sono così vicini alle maschere di bronzo trovate in tombe chiusine, da indurre alla conclusione che fossero eseguite con gli stessi fini protettivi delle imagines maiorum. A vere e proprie officine itineranti specializzate nella realizzazione di terrecotte architettoniche, attive nel secondo quarto del VI sec. a.C., fanno pensare invece le a. tondeggianti con gorgòneion di tipologia autenticamente etnisca da Murlo («palazzo» grande), Vignanello e Roma (Curia arcaica e abitazione regale sotto la Regia) e le piccole a. a testa umana create sotto l'influsso della scultura dedalica da Murlo e Veio (Piazza d'Armi). Le belle teste femminili sulle a. della «regia» da Acquarossa (da cui provengono pure alcune lastre di rivestimento a stampo con scene figurate), con i tratti morbidamente smussati, gli occhi obliqui a mandorla, l'alta fronte scoperta e il sorriso arcaico ricordano i primi kouroi ionici della metà del VI sec. a.C., e sono la prima chiara testimonianza di come modelli della grande scultura greca orientale o gli artisti stessi fossero giunti sin qui dal porto di Cerveteri. Il gruppo di a. a testa femminile dai volti severi, incorniciati da ciocche nere, lunghe e pesanti, ritrovate a Roma (Regia), Cerveteri, Pyrgi e Punta della Vipera-S. Marinella, provengono, probabilmente, da una comune officina di origine ceretana. Il loro stile «greco-etruschizzato» è caratterizzato da forme plastiche molto sostenute e del tutto prive di dettagli, dipinte con le forti pennellate lunghe e armoniose tipiche anche delle figure dei vasi c.d. pontici e di alcune pitture murali delle tombe di Tarquinia. Alla stessa tradizione artistica ceretana sono state attribuite recentemente le a. a testa femminile più antiche fra quelle del Santuario della Mater Matuta a Satricum che, in un rimodernamento della metà del VI sec. a.C., ne decoravano forse il vecchio «sacello».
L'importante fase caratterizzata dai tanti volti femminili ionizzanti ha inizio però solo una generazione dopo. Infatti, la deliziosa a. a testa femminile proveniente dall'Arce Capitolina presenta una stretta somiglianza con alcune piccole teste votive samie datate attorno al 530, e la testa di una decorazione veiente anteriore al Tempio di Apollo è stata attribuita a un'officina che era attiva anche a Roma e Velletri tra il 540 e il 520, e utilizzava diversi prototipi greco-orientali. Dal santuario della necropoli del fondo Patturelli a Capua provengono cinque tipi di a. databili fra la metà del VI sec. a.C. e il primo quarto del V, diverse per dimensioni, forma di lastra e stile, che rappresentano un busto femminile con le mani alzate ai lati della testa o delle spalle. Nei pezzi meglio conservati la testa è circondata da un grande diadema coronato di foglie con ai lati steli adorni di piccole palmette o terminanti in volute. Gli attributi suggeriscono che si tratta di una dea madre, probabilmente la grande Afrodite mediterranea che ritroviamo a Lemno e Cipro. Sin dalla metà del VI sec. a.C., i bordi di foglie larghe e corte delle a. semicircolari capuane sopracitate, ispirandosi a queste importanti corone, si sviluppano fino a diventare vasti nimbi retti da steli terminanti in volute e circondanti non solo teste femminili, ma anche il gorgòneion, la maschera di pantera e la palmetta. A eccezione di quelle della dea con le mani alzate, le a. di tipo campano si diffonderanno nei centri costieri del Tirreno e nel loro entroterra anche in città greche come Velia e fino a Lipari, Imera e addirittura a Roma, attestando un vasto movimento di gruppi di artigiani con proprie matrici, reso possibile dalle rotte marittime calcidesi. Mentre le famose a, di Satricum sono di origine capuana (come viene confermato anche dalle analisi dell'argilla), altre botteghe nel Lazio e in Etruria, pur adottando l'uso di circondare le teste con un nimbo, seguono il proprio gusto. Il frammento di a. senza nimbo proveniente dal Comitium di Roma è realizzato con la stessa matrice della testa femminile ritrovata sull'acropoli di Lanuvio, che ha però un ampio nimbo con zona interna a traforo, sostenuto da due steli lunghi spuntati dall'apice del diadema. Il volto della dea (la Iuno Lanuvina?) ha riscontro nell'arte milesia del 530. Nelle belle a. del Tempio di Minerva o Menerva di Veio, create nella stessa bottega delle famose figure acroteriali, il nimbo di foglie campano assume la forma di una conchiglia baccellata, mentre in quelle del tempio Β di Pyrgi è un nastro serpeggiante a raggiera sostenuto da un cordone avvolto a volute.
Ai diversi tipi di a. a testa umana della prima metà del VI sec. a.C. non era stato finora possibile attribuire nomi e significati esatti se non quelli di generiche entità protettrici degli edifici, fossero essi templi o abitazioni. Improvvisamente, sin dall'ultimo terzo del secolo, appaiono soggetti diversi e originali a espressione di nuovi sviluppi religioso-culturali. A Satricum (tempio di seconda fase), Lanuvio (santuario orientale), Segni, Roma (Tempio dei Castori), Civita Castellana e Vignale (grande tempio) alcuni tetti erano decorati con le a. della Iuno Sospita, con il tipico attributo della pelle caprina sul capo e il sileno coronato di edera e grappoli d'uva. Lo stretto legame esistente tra la capra e la Giunone italica (attestato dal ruolo dell'animale nei culti della Lucina, dalla pelle caprina della Sospita e dall'epiteto di «Caprotina») spiega come nelle a. il sileno capripede divenisse seguace di questa divinità. Mentre possiamo identificare come menadi le teste femminili che così spesso si alternano sulle a. con nimbo a quelle dei sileni-satiri, loro compagni nel thìasos dionisiaco, riconosciamo come ninfe quelle associate alla maschera di Acheloo, divinità delle acque dolci e della fecondità dei campi (Vulci, Populonia e piccolo tetto votivo ora a Karlsruhe). Possiamo pensare che le teste femminili del tempio Β di Pyrgi (prima e seconda fase) accompagnate dal sileno greco e da quello «etiope», siano le ierodule se non la dea stessa del tempio, Afrodite-Astarte. Fra le a. con nimbo a conchiglia da Veio, la splendida testa con diadema non può essere altro che una ninfa, cui si associano Acheloo, suo padre, Sileno, suo compagno e il gorgòneion della Minerva del santuario. Mentre il significato di essere soprannaturale che allontana il male, già appurato per il gorgòneion, può essere esteso all'a. di sileno in virtù degli occhi apotropaici dipinti tra barba e zoccolo di quella di Segni, l'aspetto benefico delle divinità Uni-Hera, Acheloo e le ninfe suggerisce di vedere in essi forze protettrici residenti nell'ambiente piuttosto che meri demoni apotropaici.
La singolare serie di a. a figura intera di Pyrgi, ultimamente attribuita alla «casa della prostituzione sacra» nel lato S del témenos, ne decorava il lungo tetto ripetendo forse anche per venti volte la propria serie di soggetti. Fra i diversi tentativi di spiegazione, è stata avanzata l'ipotesi di riconosere nella figura avvolta da lingue di fuoco Eracle-Melqart, la divinità maschile venerata nel santuario; nel personaggio danzante mascherato da uccello, un interprete della rituale «danza della gru» (gèranos), accertata anche per il culto dell'Afrodite di Cipro e di Creta e nella figura femminile con due «rosette» (o astri), alata e ricoperta da un grande mantello, la dea del santuario stesso, Afrodite-Astarte (Verzár, Coarelli).
La recente scoperta del Lapis Satricanus, datato intorno al 500, nelle fondamenta del secondo tempio della Mater Matuta a Satricum fornisce un sicuro terminus post quem per la datazione delle decorazioni fittili di seconda fase del santuario anche se risulta ancora problematica la distribuzione dei singoli elementi fra tempio ed edifici minori. Le ormai quasi cento a. ritrovate si diversificano in più serie, fra cui due con testa di Iuno Sospita e di sileno, e tre a figura intera (Tifone e Arpia - la di lui figlia - o sirena) e altre con coppie di menade e sileno in varie posizioni di danza. Poiché alla luce dei nostri criteri stilistici l'a. più antica tra quelle decorate con quest'ultimo soggetto (Lanuvio, Faleri, Roma, Velletri, Civita Castellana) risulta essere quella della menade danzante del deposito votivo di Campetti a Veio, risalente perciò alla fine del VI sec. a.C., si stabilisce come etnisca l'idea di tale decorazione.
Nel secondo quarto del V sec. a.C. ha inizio un sensibile declino dell'artigianato delle terrecotte architettoniche, dovuto soprattutto alla scarsità di nuovi edifici da decorare col conseguente ristagno dell'inventiva e della qualità del prodotto. Spesso ci si rifà a vecchi modelli aggiornati attraverso nuovi dettagli, o ripetuti da matrici stanche. La Iuno Sospita dell'a. da Civita Castellana conserva il tipico attributo della pelle caprina sul capo, ma i tratti del viso testimoniano la conoscenza di sculture classiche. Provenienti da Vulci, due belle teste con i connotati dello stile severo furono dotate di una capigliatura tardoarcaica nel corso di una ripresa della matrice, e una delle cinque testine femminili di stile severo di a. a coppia danzante dal tempio dei «Sassi Caduti» di Civita Castellana ha sulle guance i ricciolini e sulla fronte le pesanti ciocche spartite di gusto sicuramente posteriore, che sottolineano come tutte siano copie di originali andati perduti.
È largamente condivisa ormai la datazione all'ultimo quarto del V sec. a.C. della più bella e omogenea delle decorazioni classiche orvietane con a. a testa di sileno e menade, quella di Via S. Leonardo, cui seguirà quella del Belvedere e più tardi, nel IV sec. a.C., quella dell'edificio nella vicina necropoli La Cannicella. Una testa femminile quasi priva di nimbo, dal Belvedere, evidenzia con i tratti armoniosi e morbidamente plasmati il modello di un artigiano formatosi nell'ambito della tradizione coroplastica dell'Italia meridionale della metà del V sec. a.C., mentre quella ritrovata nella necropoli dimostra con la difettosa fattura delle palpebre, delle labbra e dei capelli, di essere un ricalco di quella del Belvedere. A. simili a quelle di Via S. Leonardo, ma eseguite con matrici stanche, decoravano nella prima fase il tempio detto Ara della Regina a Tarquinia e un edificio a Blera (loc. Selvasecca). Alla stessa corrente artistica potrebbe essere dovuta l'eccezionale testa maschile di tipo ceretano cinta di rosette, pampini e grappoli ora nel Museo Nazionale Romano che, con la fronte calva, i capelli in parte bianchi e i nobili tratti arcaizzanti, corrisponde all'iconografia del Papposileno greco.
Per le ricorrenti coppie di a. a testa di sileno e menade con nimbo di Pyrgi è stato possibile stabilire una serie (VII) anteriore all'incursione di Dionigi con conseguente saccheggio del santuario nel 384 a.C., e una a essa posteriore (VIII). Le matrici di queste sono servite anche nel rifacimento della decorazione del vicino tempio di Punta della Vipera, distrutto probabilmente dalla stessa incursione dionigiana. Questa osservazione ci fornisce anche un indizio per datare ancora nella prima metà del IV sec. a.C. le a. di Vignale-Civita Castellana che hanno nimbi uguali e volti molto simili. Un soggetto del tutto nuovo, legato all'iconografia romana medio repubblicana, ma ancora bordato dal nimbo baccellaio, si trova finalmente nelle a. con teste di Minerva ed Ercole, figli di Giove, che nella seconda metà del III sec. a.C. decoravano - nei tre santuarî litorali - il Tempio di Giove a Cosa nella prima fase, il Tempio di Tinia-Zeus (?) di Talamone nella seconda e quello di Minerva di Punta della Vipera nella terza, oltre a un edificio ancora ignoto a Tarquinia. Di tipo finora unico, creato forse in una delle botteghe delle urne volterrane, sono le a. con grandi busti di Bacco giovane e Arianna ancora circondati dal vecchio nimbo, appartenenti al corredo ornamentale del tempio di Talamone con il grande rilievo dei Sette contro Tebe, del secondo venticinquennio del II sec. a.C.
In un discorso del 184 a.C. riportato da Livio (XXXIV, 4, 4) Catone il Censore dice: «Già troppi Romani sento ammirare gli ornamenti ateniesi e corinzî, mentre deridono le antefisse fittili dei templi degli dei Romani». Infatti, con la fase finale delle decorazioni fittili del tempio ligneo di tradizione etrusca, cui segue quello di pietra e di marmo, e il concentrarsi delle officine di terrecotte architettoniche a Roma, la grande a. a testa di divinità nimbata sparisce definitivamente. Mentre i templi più importanti vennero ornati da sime laterali marmoree, per quelli piccoli come anche per abitazioni, ville, colombari e perfino sepolcri, furono creati nuovi tipi di piccole a. fittili, moltissime delle quali furono ritrovate nell'ultimo venticinquennio del secolo scorso negli sterri sul Viminale, Quirinale ed Esquilino e nei lavori di costruzione degli argini del Tevere, e recentemente pubblicate. Al III sec. a.C. risalgono le diverse teste di satiri o satirischi e di menadi, coronate con fogliame di vite e grappoli o di edera e corimbi che, con la loro appartenenza all'allegro mondo dionisiaco, illustravano il lato idillico della natura in cui il Romano poteva trovare ozio e serenità. Nella prima metà del II sec. a.C., probabilmente in conseguenza dell'arrivo a Roma di artisti e artigiani greci dopo le vittorie romane in Asia Minore e in Etolia, ha inizio la produzione in grande scala delle piccole a. a palmetta, che, nuove per l'ambiente italico, somigliano tanto alle a. ellenistiche attiche e corinzie sopra nominate.
Prodotte probabilmente nelle officine delle lastre Campana che per due secoli costituiranno la decorazione fittile preferita, le a. presentano simili elementi ornamentali di stile neoattico e figure tratte dallo stesso ambiente iconografico. L'originario bocciolo centrale sotto la palmetta, spesso bordato da due doppie spirali vegetali, è sostituito da piccole teste di Medusa, di Artemide, di Giove Ammone e di menadi fra protomi di pantera, da grifi, delfini e capri che si affrontano. Alludono probabilmente alla vittoria di Azio le a. che sotto la palmetta presentano una Vittoria alata che regge un tropàion e poggia su una prua di nave o sulla costellazione del Capricorno (segno zodiacale di Augusto). Evidente relazione con i culti ufficiali presentano anche le a. con il busto della Diana Nemorense con arco e faretra e quelle con Venere e Marte, finemente modellate secondo schemi classicistici. Data la gran richiesta, vennero fabbricate grandi serie per molti di questi tipi, con inevitabile forte dislivello qualitativo. A. da matrici create a Roma, furono utilizzate perfino a Verona, Aquileia e Trieste e la romanizzazione indusse a fabbricare a. molto simili, ma di qualità spesso scadente, anche in territori dove la tradizione coroplastica era in precedenza virtualmente assente, come la Venetia, il Sannio, il Piceno, la Sabina e la parte interna dell'Umbria.
Pare che questa produzione come quella delle lastre Campana, si sia esaurita attorno alla metà del II sec. d.C. per mancanza di nuovi impulsi e generale declino artigianale. Le a. marmoree dei pochi tetti senza sima laterale dell'età imperiale, ripetendo con lo stesso gusto classicistico delle altre decorazioni le a. a palmette del IV sec. a.C. e dell'ellenismo greco, possono solò dare indicazioni sulla datazione degli edifici e sulle ambizioni culturali di chi li volle costruiti, ma, non offrendo novità di significato, sono di per sé poco interessanti.
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