ANTA
Prende questo nome nel tempio greco la parte terminale dei muri della cella che appunto nel tipo detto in antis si prolungano fino alla linea delle colonne del pronao e le inquadrano; la stessa disposizione si ripete, del resto, su una linea più arretrata, anche nei templi peripteri. Lo spessore dei muri della cella si trasforma così in un pilastro, largo in genere quanto il diametro medio della colonna, ma sfornito di base, ed avente di regola un capitello diverso dalle colonne, con profilature che spesso ripetono quelle dell'architrave o con fogliame. I risvolti sono di regola meno larghi. Esempi antichissimi dovevano essere quelli che offrivano i mègara nella loro forma completa ed un termine ideale di passaggio può considerarsi il tempio di Priniàs a Creta che ha al centro fra le due a. un pilastro intermedio. Assai belle per proporzioni sono quelle dei tesori dei Sifni e degli Ateniesi a Delfi, del tempio di Temide a Ramnunte, ecc. Dalla rappresentazione della casa di Tetide nel vaso François si può desumere l'uso della a. anche nella casa greca. Da essa dovette passare ad essere elemento fondamentale nelle incorniciature architettoniche delle stele attiche del sec. IV.
Il tipo del tempio in antis, descritto da Vitruvio, passa dall'architettura greca in quella italica e romana senza particolari varianti, per cui le a., accolte anche in urne etrusche o in facciate di tombe scavate nella roccia, non mutano sostanzialmente (tempio di Cori, di Ancyra, ecc.), ed assimilandosi alla parasta o al pilastro decorativo poco aggettante, furono accolte anche per ornare facciate di case o di tombe del periodo imperiale.
Una interessante ripresa dell'a. si ha nei narteci romanici a colonne limitati lateralmente dal muro trasformato in pilastro con capitello distinto, come a Roma a S. Giorgio in Velabro o in S. Lorenzo fuori le mura.
Bibl: C. Thierry, in Dict. Ant., I, 1877, cc. 780-782; O. Puchstein, in Pauly-Wissowa, I, 1894, c. 2337, s. v. Antae.