ANSELMO
Successe ad Ansperto nella cattedra arcivescovile di Milano nel marzo 882, secondo arcivescovo di questo nome. Caratteristica essenziale dell'azione di A., sia prima sia dopo la sua elezione ad arcivescovo, per lo meno nei primi anni, fu un'assoluta fedeltà a Roma in aperto contrasto con l'atteggiamento assunto dal suo predecessore nell'ultimo, turbato periodo del suo pontificato. Sotto Ansperto, fu arcidiacono della Chiesa milanese e con lui molto probabilmente collaborò nel trasportare la salma dell'imperatore Lodovico II da Brescia a Milano (ottobre 875), atto che diede in mano all'arcivescovo di Milano la preminenza nella scelta del candidato alla corona italica; ma allorché il suo arcivescovo venne indotto dagli interessi particolari della Chiesa milanese, dopo la morte di Carlo il Calvo (ottobre 877), a scelte politiche diverse da quelle volute dal pontefice Giovanni VIII, e non esitò a rompere apertameate con Roma, subendo dapprima la scomunica (1 maggio 879) e quindi la deposizione (ottobre 879), A. assunse un atteggiamento d'intransigente opposizione al suo arcivescovo, opposizione che lo indusse ad abbandonare la propria Chiesa ed andare "per alias paroechias": questo è quanto fa sapere una lettera del papa Giovanni VIII indirizzata all'arcidiacono milanese nel febbraio 881 per esortarlo a tornare all'obbedienza verso il suo superiore, ormai riconciliatosi (probabilmente nel gennaio 880) con Roma. Alcuni studiosi hanno pensato che, proprio A., possa essere stato il candidato alla sostituzione di Ansperto quando questi venne deposto dal papa: così forse, si potrebbe spiegare la mancanza di una riappacificazione immediata di A. con Ansperto, quando quest'ultimo tornò all'obbedienza con Roma.
Eletto arcivescovo alla morte di Ansperto - e non dovette essere estranea alla sua scelta l'influenza di Giovanni VIII, se la missione che sembra aver svolto l'abate di S. Simpliciano Arderico nell'invemo 881 a Roma è da porre in relazione con l'elezione del successore di Ansperto - A. non deluse le aspettative di chi, come il papa, voleva un elemento fidato alla guida dell'importante sede milanese, uscita appena da una grave crisi: A. rimase infatti coerente al suo originario atteggiamento di fedeltà a Roma.
Vari elementi permettono questo giudizio: nell'agosto 882 Giovanni VIII confermò i beni alla Chiesa milanese ed espresse ad A. le sue pene per le angustie in cui era stretta la Chiesa romana per la malvagità dei Saraceni e dei cattivi cristiani; probabilmente A. stesso sollecitò, in questi primi anni del suo episcopato, la composizione d'una raccolta di canoni, chiamata "Anselmo dedicata" perché a lui dedicata dagli anonimi autori, raccolta che, per le sue caratteristiche, gettando viva luce sulla personalità di A., uomo colto e stimolatore di studi, e sulla sua politica, conferma quanto è stato detto finora. Caratteristiche principali infatti di questa raccolta sono la devozione profonda per la Santa Sede, di cui si sottolinea la primazia, e l'essere imbevuta di spirito romano che sdegna quanto è barbarico: non compare in essa nessun editto longobardo, accoglie solo alcuni frammenti d'un editto franco di Lotario dell'825, mentre grossa fonte per il diritto secolare è il diritto romano giustinianeo, in accordo con la politica "bizantina" degli ultimi anni del pontificato di Giovanni VIII. Non si conoscono gli autori di questa raccolta: essi dovettero tuttavia far parte forse dell'entourage lombardodi Anselmo. L'ipotesi affacciata di recente che la collezione "Anselmo dedicata" sia stata composta a Vercelli ad opera degli studenti di quella scuola capitolare, non toglie niente a quanto la lettera di dedica dice chiaramente a riguardo del nostro arcivescovo quale ispiratore diretto dell'opera. Tuttavia in un'epoca in cui il papato doveva dare così scarse prove della sua supremazia su di una società ormai priva di ideali universali, questa raccolta ebbe ben poca risonanza.
Scarsissime le notizie precise sull'attività di A. nel campo degli avvenimenti politici contemporanei: eppure A. governò la diocesi milanese, cuore del "Regnum, italicum", nella cui vita gli arcivescovi milanesi avevano raggiunto una posizione di eminenza, in un momento che vide la fine ufficiale dell'impero carolingio con la deposizione di Carlo il Grosso (novembre 887) ed il sorgere anche in Italia, oltreché in Germania e in Francia, di un regno nazionale legato solo per affinità lontanissime alla vecchia dinastia carolingia. A. assistette agli avvenimenti che si succedettero: dapprima l'elezione a re di Berengario marchese del Friuli abiatico di Lodovico il Pio (30 dic. 887 o 6 genn. 888), quindi la riscossa di Guido di Spoleto, incoronato a sua volta re di Pavia il 16 febbr. 889; l'alternarsi delle vicende tra Berengario e Guido e, dopo la morte di questo (894), tra Berengario e Lamberto figlio di Guido che si divisero di fatto l'influenza rispettivamente nella parte nord-orientale e nord-occidentale dell'Italia settentrionale; il barcamenarsi del papato che, costretto da circostanze particolari ad incoronare il 21 febbr. 891 imperatore il rappresentante della casa spoletina, cercò poi sempre di liberarsi della troppo solida protezione spoletina e delle influenze locali, invocando a più riprese, da Stefano V a Formoso, l'intervento del più legittimo erede dei carolingi, Arnolfo di Carinzia, figlio naturale di Carlomanno.
Si può pensare che A. abbia partecipato all'assemblea dei grandi del regno che elessero re Berengario a Pavia e che abbia incoronato il marchese del Friuli, in quel momento unico candidato alla corona italica, con un atto senza precedenti. Non è molto chiara la posizione che assunse A. quando si fece avanti un altro pretendente nella persona di Guido di Spoleto, che, fallita l'impresa d'impadronirsi della corona di Francia (già avuta a Langres, nel febbraio 888), si presentò ai confini d'Italia nell'autunno 888 vincendo Berengario nella battaglia della Trebbia (seconda metà del gennaio 889).
Alcuni studiosi ritengono di poter affermare, senza attestazione precisa, che A. abbia partecipato, anzi abbia convocato e presieduto l'assemblea dei "proceres" italici che a Pavia elesse Guido di Spoleto re il 16 febbr. 889, riprendendo la suggestione dei re venuti di Francia che aveva spinto Giovanni VIII a sostenere la candidatura di Carlo il Calvo dopo la morte di Lodovico II e quella di Lodovico il Balbo e Bosone dopo la morte di Carlo il Calvo. Alcuni elementi possono concorrere a confermare quest'ipotesi: la numerosa partecipazione del ceto ecclesiastico alla dieta pavese e le speciali condizioni che esso esigette ed ottenne a compenso dell'appoggio dato, condizioni che posero il clero in condizioni di superiorità rispetto all'elemento laico e agli ufficiali regi; il fatto che poteva essere conveniente per A. appoggiare e quindi essere appoggiato da chi, come Guido di Spoleto, più difficilmente poteva serrare Milano da vicino con la sua autorità avendo, a differenza di Berengario, i suoi interessi e la base dei suoi possessi nell'Italia centrale; le garanzie infine date da Guido in occasione della sua elezione, alla Chiesa romana, a cui confermò i privilegi precedenti, e l'impegno della difesa del pontefice. Conferma di quanto detto è un privilegio che il re Guido concesse il 20 dic. 890, da Marmirolo nel Reggiano, ad Aupaldo arciprete della Chiesa milanese, grazie alla preghiera di A. "tantus vir", di cui viene sottolineata la "devotio" "in nostrum servitium".
Difficile precisare l'atteggiamento che A. assunse dopo che il papato, premuto a nord ed anche a sud, per l'occupazione di Benevento da parte del cugino del re, Guido IV di Spoleto (aprile 895), dalla casa spoletina, si dovette rivolgere a più riprese ad Arnolfo re di Germania per tutelare la propria autonomia. Appare probabile che se il conte guidesco di Milano, Maginfredo, e con lui la città, si sottomise al re germanico, insieme con le altre città del Regno spaventate dal feroce trattamento riservato a Bergamo durante la sua prima discesa (primi mesi 894-primavera 894), anche Arnolfo dovette scartare, sulla via del ritorno, non solo i valichi orientali, poco sicuri per la presenza di Berengario, ma anche i valichi retici, in relazione appunto ad un atteggiamento ostile di Milano. È certo che anche nella seconda discesa di Arnolfo (ottobre 895-inizi 896), che fruttò al re tedesco la corona imperiale (15-22 febbr. 896), il conte milanese Maginfredo si sottomise nuovamente ad Arnolfo e resistette all'assedio che Lamberto gli portò, finendo punito con la morte per la sua fellonia (primavera 896).
Nonostante l'assoluta mancanza di notizie, gli studiosi sono inclini a pensare che A. rimanesse fedele a Guido ed al figlio Lamberto, cui avrebbe facilitato la espugnazione della città, raffreddando quindi per necessità di cose i suoi rapporti col papato. A. morì il 27 sett. 896.
L'unico atto di A. giuntoci, un diploma dell'893, a favore del monastero di S. Ambrogio, è con ogni probabilità un falso compilato tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, in relazione alle controversie tra i canonici e i monaci di S. Ambrogio.
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