ANSELMO da Rho
Nulla sappiamo circa la sua data di nascita. Forse parente di Arnaldo da Rho uccisore del patarino Erlembaldo, A. può essere considerato esponente di quelle famiglie capitaneali milanesi, che, opponendosi al partito riformatore in nome della tradizione ambrosiana, lottavano per i propri privilegi.
Eletto da Enrico IV arcivescovo di Milano, il 10 luglio 1086 prese possesso della sede episcopale milanese, vacante da più di un anno dopo la morte dello scismatico Tedaldo (25 maggio 1085), mentre a Roma il pontefice Vittore III si vedeva contesa la tiara dall'antipapa Clemente III. Con l'avvento al pontificato di Urbano II (12 marzo 1088) e la ripresa del programma riformatore già di Gregorio VII, la posizione dell'arcivescovo milanese si fece sempre meno ostile alla Curia romana, sia che A. dovesse tener conto di forti tendenze cittadine contrarie ad ogni ingerenza imperiale, sia che fosse particolarmente efficace l'azione diretta del pontefice, che lavorava per attirare nella sua orbita la metropoli lombarda.
Non sappiamo con precisione quando avvenne la conciliazione tra Urbano II e A., che si era ritirato in un monastero nel tempo in cui la sua conversione andava maturando. Tuttavia, fin dal luglio 1088, il pontefice comunicava all'arcivescovo milanese di esser disposto a restituirgli nella sua integrità la dignità episcopale e, come privilegio, gli inviava in sede il pallio per mezzo del suo legato Armanno cardinale dei Santi Quattro Coronati. In altre lettere dello stesso anno e dell'anno successivo Urbano II ricordava l'elezione non legittima di A., la successiva riconciliazione e la assunzione del pallio, assicurava all'arcivescovo che la sua benevolenza verso di lui non era diminuita e lo consigliava circa il modo di ricondurre alla Chiesa di Roma i vescovi scismatici ordinati da Tedaldo. Dal momento della sua conversione il metropolita lombardo non si staccò più dal pontefice, onde si può dire che dall'episcopato di A. si accentuò, nello svolgimento della riforma milanese, quel carattere romano che questa era venuta assumendo da quando il papato si era preoccupato di valorizzare col suo appoggio le energie accentrate nella pataria.
In particolare A. favorì apertamente il monachesimo cluniacense, la cui organizzazione era strettamente vincolata all'autorità centrale della Chiesa. Nel 1086 era stato fondato in diocesi di Milano il monastero femminile di Cantù. Qualche anno dopo, allorché alcuni signori di Melegnano donarono all'Ordine cluniacense la chiesa di S. Maria di Calvenzano che essi tenevano dalla mensa vescovile, lo stesso arcivescovo rinunciò ai suoi diritti di giurisdizione su di essa. L'atto di donazione non ha data, ma deve essere stato scritto prima del 1093 (Recueil des chartes de l'Abbaye de Cluny, a cura di A. Bernard e A. Bruel, V, Paris 1876, n. 3793, p. 144).
In questo stesso anno, quando Corrado figlio di Enrico IV, sostenuto da Matilde e Guelfo di Toscana, si ribellò al padre, a Milano non si fece più sentire la voce di quel partito imperiale che aveva accettato da Enrico la nomina di A. La metropoli lombarda si unì a Cremona e Piacenza in ventennale alleanza e l'arcivescovo A., con l'appoggio di coloro che erano favorevoli al pontefice, coronò Corrado come re d'Italia. La cerimonia ebbe luogo prima a Monza, poi a Milano nella basilica di S. Ambrogio, secondo la testimonianza di Landolfo Iuniore (p. 4; cfr. anche Giulini, p. 599; Barni, p. 224).
II Bosisio (p. 150), invece, dopo aver affermato che Corrado ricevette la corona soltanto a Monza, sostiene che non fu possibile compiere una seconda coronazione nella metropoli, travagliata dalle lotte intestine dei due partiti ormai tradizionali, che neppure la prospettiva di un sovrano grato al pontefice aveva potuto conciliare. Questa ipotesi non pare del tutto accettabile; se infatti le simpatie per l'imperatore, pur non scomparendo completamente, si erano attenuate fino a permettere ad A., nel corso del suo episcopato, piena libertà di azione e di rapporti col pontefice, non ci sembra che esistano prove sufficienti per ammettere, nel 1093, da parte del partito enriciano una presa di posizione così decisamente ostile a Corrado e tale da non permetterne la coronazione in Milano. Anche Bernoldo (p. 456), che, senza specificare, dice Corrado coronato in Lombardia, non reca alcun accenno di difficoltà o di opposizioni.
L'accordo tra l'arcivescovo "in causa sancti Petri studiosissimus" (Bernoldo, p. 457) e la maggior parte della cittadinanza dovette essere costante.
A. morì il 4 dic. 1093, poco dopo la coronazione di Corrado, e fu sepolto solennemente nella chiesa di S. Nazaro in Brolo.
Fonti e Bibl.: Bernoldi Chronicon, in Mon. Germ. historica. Scriptores, V, Hannoverae 1844, pp. 456, 457. 472; Chronicon extravagans et chronicon maius auctore Galvaneo Flamma, a cura di A. Ceruti, in Miscell. di storia ital., VII (1869), pp. 631 s.; Ph. Jaffé, Regesta pontificum Romanorumn, I, Lipsiae 1885, nn. 5359. 5360, 5378, 5386; P. F. Kehr, Italia Pontifida, VI, 1,Berolini 1913, p. 52, 53. 126; Landulphi iunioris Historia Mediolanensis, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., V. 3, a cura di C. Castiglioni, pp. XXVIII, 4, 10; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo e alla descrizione della città e campagna di Milano, II, Milano 1854. pp. 570 as.; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300, II, 2, Firenze 1913, pp. 446-449; A. Bosisio, Le origini del Comune di Milano, Milano-Messina 1933, p. 150; P. Zerbi, Monasteri e riforma a Milano (dalla fine del secolo X all'inizio dei secolo XII), in Aevum, XXIV(1950). p. 54, n. 1; G. L. Barni, Dal governo del vescovo a quello dei cittadini, in Storia di Milano, III, Milano 1954, pp. 217-222, 224.