CAPRAIA, Anselmo da
Nonostante la frequenza del nome Anselmo sia assai elevata nell'albero genealogico dei da Capraia, e ciò abbia dato luogo a una notevole confusione, possiamo ravvisare con buone probabilità il padre del C. nel Bertoldo che nel 1221 risulta essere vassallo della Chiesa per la signoria di Usellus in Arborea: egli sarebbe quindi nipote di Guglielmo giudice d'Arborea, i cui eredi Nicolò e Guglielmino gli sarebbero quindi cugini.
Da Bertoldo e da una sorella di Ugolino di Donoratico sarebbero nati: il C. Guelfo, che in un documento (1256) è detto conte di Pontormo e curatore di Fiandina figlia di Uguccione della Gherardesca, e che troviamo nel 1282 insieme col fratello Anselmo a San Miniato al Tedesco, presso il vicario imperiale; Gilla, andata sposa a Lotto di Ugolino di Donoratico. Nel quadro della politica di penetrazione in Sardegna da parte delle maggiori famiglie pisane e della loro pacificazione dopo il lodo del 1237 fra Comune e della Gherardesca da un lato, Visconti e da Capraia dall'altro, il C. andò sposo a Teccia figlia del conte Gherardo di Donoratico, che intendeva stabilire mediante una serrata politica matrimoniale l'egemonia della nobiltà pisana in Sardegna sotto il segno dell'Impero.
Ma la tragica morte di Gherardo a Napoli insieme con Corradino (1268) e la restaurazione de facto dei di Bas nel giudicato di Arborea scossero sul nascere la posizione politica del Capraia. Egli rivendicò, con l'appoggio del Comune, i suoi diritti sardi, e questo riconobbe in lui uno dei domini Sardiniae e ne accettò il giuramento di fedeltà come tale. Mariano di Bas, per non mettersi in urto col Comune e con i Donoratico che sostenevano il C., non poté fare a meno di riconoscergli a sua volta i titoli alla signoria del terzo del Cagliaritano, che era stato tenuto dal '57 in poi da Guglielmo da Capraia.
Tuttavia il C. non riuscì a tradurre in pratica le sue pretese e i suoi diritti isolani perché fu preso nel vortice della situazione interna pisana. Ugolino di Donoratico, rompendo con la tradizione ghibellina della famiglia e col ramo di suo fratello Gherardo, si era avvicinato a Giovanni Visconti; la pace tra Pisa da un lato, Carlo d'Angiò e poi i Comuni guelfi toscani dall'altro (aprile-maggio 1270) aveva dato l'avvio alle più aspre lotte civili in Pisa e nel contado. Nella sommossa del 1º maggio il C., insieme con i suoi cugini Guelfo e Lotto (quest'ultimo anche suo cognato) di Ugolino di Donoratico, si distinse al fianco dei Visconti e con gli stessi fu inviato in esilio a Montopoli; fu un esilio assai breve, ma ormai la pace cittadina era irrimediabilmente compromessa.
Era evidente che il C. intendeva cattivarsi la fiducia dei guelfi e di Carlo d'Angiò, cui si rivolse nel 1273 attraverso tre giudici fiorentini per ottenere la conferma della signoria su certe terre dei possessi aviti dei da Capraia - quali Montevettolini sul Montalbano - che non erano più disposte a riconoscergliela. Egli si teneva aderente ai Donoratico guelfi e quando, appunto nel '73, Giovanni Visconti, di nuovo esule da Pisa, si ritirò in Sardegna rompendo anche con Ugolino, il C. si schierò col secondo e - poiché Giovanni si era rifugiato nella parte del Cagliaritano spettante ai da Capraia - fu inviato dal Comune a domarlo, cosa che gli riuscì agevole anche grazie all'aiuto di Mariano d'Arborea. Al Visconti, cacciato dall'isola, non restò che rifugiarsi presso i conti di Santafiora nella Maremma senese.
Tuttavia l'accordo tra il C., Ugolino e il Comune non poteva durare. Di lì a poco essi rifiutarono di pagare i tributi dovuti a Pisa per i possessi sardi, furono dichiarati decaduti da questi e Ugolino fu imprigionato mentre Anselmo dovette allontanarsi dalla città (agosto 1274). La rappacificazione con Giovanni Visconti, che allora con Lucchesi e Fiorentini combatteva contro Pisa, era inevitabile. Il C. partecipò con lui alle operazioni che dovevano condurre alla caduta del castello di Montopoli (novembre del 1274) e dopo la sua morte (1275) continuò la guerra fino alla battaglia di Rinonico e alla conseguente capitolazione di Pisa (giugno del 1276). Il C., Ugolino di Donoratico e Nino di Giovanni Visconti furono così riammessi in città e reintegrati nei loro beni sardi dietro pagamento dei relativi tributi.
Seguirono anni relativamente tranquilli, nel corso dei quali il C. poté accudire ai suoi beni in Sardegna e nel continente; lo troviamo nell'82 presso il vicario imperiale in San Miniato; neppure dopo la Meloria, anche grazie ai suoi buoni rapporti con Firenze e alla sua fama di guelfo, la sua posizione fu scossa. Ma le sue terre del Cagliaritano interessavano troppo Mariano di Bas; e d'altro canto nell'urto fra il podestà Ugolino di Donoratico e il capitano del popolo Nino Visconti, durante la "dittatura" guelfa su Pisa succeduta alla sconfitta dell'84, il C. si era avvicinato ai Visconti anche perché la politica sarda di Ugolino e di suo figlio Guelfo, mirante al controllo di Cagliari e all'egemonia sull'isola, era tale da allarmare gli altri domini Sardiniae. Risultato di questa situazione fu l'alleanza fra Mariano di Bas e Ugolino: nel 1287 Giovanni, figlio del primo, sposò a Bolgheri Giacomina figlia del secondo. Poco prima di tale evento Mariano aveva occupato le residue terre dei da Capraia in Sardegna, e poco dopo di esso il C. morì: si disse che fosse stato avvelenato durante il banchetto nuziale per soddisfare a una richiesta di Mariano. Naturalmente una tale voce è sospetta di essere una calunnia ghibellina contro il conte Ugolino, e parecchi storici anche recenti hanno rifiutato di prestarvi fede. Resta innegabile che la sua morte sia stata di grande utilità per Mariano di Bas e non scomoda per Ugolino.
Alla morte del C. la tutela di sua moglie Teccia fu affidata nel 1289 al conte Tommaso da Capraia, cugino del marito. Teccia si ritirò nei suoi possessi del Valdarno, e i documenti che abbiamo di lei la segnalano nel castello di Pontormo. Anche il loro figlio Anselmuccio rimase nelle vecchie terre di famiglia, dimenticando gli orizzonti cagliaritani. Altri epigoni della famiglia reclamarono più volte la restituzione dei beni sardi confiscati dal Comune di Pisa e questo, nel 1318, giunse a prometterla: ma niente di simile accadde in effetti.
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