CALDERONI, Anselmo (messer Anselmo)
Di origine popolana (suo padre Giovacchino era un approvatore del Comune), nacque a Firenze nel 1393. Dalla notizia pervenutaci di una curiosa disavventura occorsagli una notte sulla strada per Firenze (l'arresto per detenzione abusiva di armi) veniamo a sapere che nel 1422egli si trovava al servizio del conte di Urbino Guidantonio da Montefeltro, in qualità di cavaliere di corte ("miles curialis"). Piuttosto tardi, scrivendo rime su commissione del conte, il C. poté compiere il suo apprendistato di rimatore dalla penna facile e dalla memoria pronta. Nel 1427 si ammogliò, ma la sua situazione economica era ancora precaria, perché, stando alle lamentele del padre, egli si giocava a Firenze i soldi guadagnati fuori. Per gli stretti legami politici intercorrenti, in questo periodo, fra Urbino e Firenze, la vita del C. si svolgeva continuamente fra queste due città.
Due canzoni politiche scritte nel periodo cruciale della guerra antiviscontea, una di elogio e conforto ai Fiorentini e un'altra indirizzata al duca di Milano Filippo Maria Visconti per spiegare le ragioni dell'ostilità dei Fiorentini ("perché la libertà non sia oppressata") mostrano quanto il C. si sentisse vicino ai suoi concittadini; a Firenze del resto erano i suoi migliori amici, come R. Roselli e Leonardo Dati, insieme ai quali il C. frequentava, in via di Calimala, la bottega di barbiere del Burchiello, ben noto luogo di ritrovo e di discussioni. Questi incontri durarono fino al 1434, quando il Burchiello, ardente fautore degli Albizzi, fu costretto all'esilio.
Il C. andò sempre più accostandosi ai Medici, come prova un ternario in loro lode del 1437 e l'intervento in difesa del Roselli, intimo dei Medici, in polemica tenzone col Burchiello, nel 1439. Raggiunta una certa notorietà, il 22ottobre 1441 il C. partecipò al certame coronario con una canzone sul tema dell'amicizia; nel 1442, al culmine della carriera, divenne araldo della Signoria di Firenze, succedendo ad Antonio di Meglio.
Nel maggio del 1445, trovandosi a Roma al seguito degli ambasciatori fiorentini, il C. ebbe un ultimo incontro, poco cordiale, col Burchiello; morì l'anno dopo, il 14 maggio 1446.
Nel piccolo ma vario canzoniere del C. le rime di carattere burlesco e giocoso si distinguono, per vivacità e per originalità, da quelle di carattere politico, scritte su cotrmissione. Queste ultime infatti non si discostano quasi mai dai limiti di un onesto mestiere, esercitato per di più, a differenza di altri araldi, come Antonio di Meglio, senza eccessivi entusiasmi. Le uniche eccezioni sono rappresentate dalle due canzoni ai Fiorentini e al Visconti: la prima per la commossa partecipazione alle ansie dei concittadini e la seconda per l'abilità con cui il C. cerca di giustificare l'entrata in guerra dei Fiorentini contro il Visconti. Nella canzone sull'amicizia la non spregevole fattura dei versi non riesce a far dimenticare la farraginosa cultura e l'esilità della trama, condotta per via di agevoli riflessioni accompagnate da esempi tratti dalle fonti più disparate (dagli autori classici e dal Vecchio e Nuovo Testamento). Maggior considerazione meritano i sonetti di carattere satirico delle tenzoni col Burchiello. Sembra che inizialmente il sonetto "Senza trombetta e senza tamburino" venisse inviato dal Burchiello al C., il quale, in tono deferente, gli indirizzò il famoso sonetto "Parmi risuscitato quell'Orcagna". In un secondo tempo la tenzone divenne polemica quando il C., per difendere il Roselli, attaccò il Burchiello, schernito per i processi subiti a Siena, col sonetto "Ben se' gagliardo fante in sul garrire", cui il Burchiello rispose violentemente (sonetto "Buffon, non di Comun né d'alcun Sire"). Dopo il certame coronario fu il Burchiello che rinnovò la tenzone con il sonetto "Questi c'hanno studiato il Pecorone", in cui immaginava un'incoronazione da burla tra gli studiosi del Pecorone (azzeccato nomignolo per indicare le autorità accademiche) mettendone a capo il C.; questi replicò fiaccamente ("Io ti rispondo Burchiel tartaglione") vantando la propria carica di araldo della Signoria.
La canzone al duca di Milano si trova nel cod. Isoldiano 1739 della Biblioteca universitaria di Bologna, ff. 208v-209v, e fu pubblicata tra Le Rime del cod. Isoldiano, a cura di L. Frati, Bologna 1913, pp. 73-75; la canzone ai Fiorentini fu parzialmente pubblicata dal Flamini (pp. 73-75) dal cod. laurenziano Segniano 4, c. 104v; il ternario in lode dei Medici compare adespoto nel cod. II, IV, 250, f. 54r, della Bibl. naz. di Firenze; altre rime si trovano nei cod. Magliab.II.II, 40, e Magliab.VII, 1168, della stessa Biblioteca; codice 1939 della Biblioteca Riccardiana; Vat. lat.3212, Vat. Ottob. lat.2151, e Vat. Barberin. lat.3917 della Biblioteca Apost. Vaticana; 11. 6. 9 della Biblioteca civica Berio di Genova. I sonetti delle tenzoni col Burchiello furono editi tra i Sonetti del Burchiello, del Bellincioni e d'altri poeti fiorentini alla burchiellesca, Londra (ma Firenze) 1757, pp. 227 (anepigrafo), 232, 235 s., 237 s.; altre rime si trovano in L. B. Alberti, Opere volgari, a cura di A. Bonucci, I, Firenze 1843, pp. CCXXIX-CCXXXIII; e in U. Congedo, Canzoni storiche del sec. XV, Lecce 1895; un'ampia bibliografia delle poesie del C. è infine nella Lirica toscana dei Flamini, a pp. 658 s.
Bibl.: C. M.Crescimbeni, Storia della volgare poesia, Venezia 1731, IV, 1, p. 30; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia1753, p. 834; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Pisa1891, pp.73-77, 210-23, 658 s.;V. Rossi, Noterelle d'erudizione spicciola, in Miscellanea Scherillo-Negri, Milano1904; V. Cian, La satira, Milano 1945, I, pp. 319, 337 s.; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1964, pp. 110; Diz. enc. della lett. it., Bari1966, sub voce;D. De Robertis, L'esperienza poetica del Quattrocento, inE. Cecchi-N. Sapegno, Storia della letter. ital., Milano1966, III, pp. 374-76, 403.