DORIA, Ansaldo
Nacque a Genova agli inizi del sec. XII. Fu probabilmente figlio di Zenoaldo (o Genoaldo), anche se nei documenti pubblicati egli non compare mai indicato col patronimico. Non controllabile è anche la notizia relativa al nome della madre, Sofia di Ugo Embriaco. Questo dato biografico è contenuto in una lista di personaggi della famiglia, pubblicata dal marchese lacopo Doria nel secolo scorso; sulla attendibilità delle informazioni fornite da essa, soprattutto sugli esponenti più antichi, è lecito nutrire molti dubbi.
L'origine della famiglia e del cognome Doria (de Auria, Auria) è incerta. Secondo la tradizione (che sarebbe stata riportata dall'annalista lacopo Doria in un'opera andata perduta, ma non ricordata né da lacopo da Varagine, né dal cronista quattrocentesco Giorgio Stella), nel sec. X a Genova si stabilì un Arduino, fratello o lui stesso visconte di Narbona, dopo avervi sposato una Auria, appartenente alla famiglia Della Volta; in città egli avrebbe investito i suoi cospicui beni nell'acquisto di case e terre. La leggenda, arricchita di ulteriori particolari e nata dal bisogno di attribuire origini illustri e feudali ad una famiglia con ogni probabilità autoctona e giunta al potere politico e al possesso di signorie dal commercio, presenta come elementi attendibili il matronimico Auria e la notizia circa la vasta proprietà allodiale cittadina, che sembra contraddistinguere la famiglia fin dalla sua prima comparsa nei documenti. Secondo una notizia più interessante, ma a lungo ignorata o sottovalutata (attribuita dall'erudito settecentesco Pietro Paolo M. Oliva sempre all'annalista Iacopo Doria, che visse nella seconda metà del Duecento, ma che poté utilizzare i documenti sulla famiglia raccolti dal nonno Oberto agli inizi del secolo), un Ansaldo, vivente nel 1044, avrebbe sposato Auria, figlia di Morino, segnalata, negli atti letti dal Doria, ancora nel 1085. Questi dati, non controllabili, riportano, tuttavia, l'origine della famiglia ad una realtà storica più accettabile: Ansaldo dovette appartenere a quella generazione di "cives et habitatores" di Genova che, non legati alla curia vescovile e neppure al potere marchionale, si arricchirono col grande commercio mediterraneo, già vivo in città nel secolo XI, ed investirono i loro guadagni in acquisti fondiari. Questo ceto emergente (elemento dinamico nella vita cittadina anche prima della spedizione crociata in Terrasanta) è finora poco conosciuto, perché la documentazione genovese al riguardo è assai limitata. È probabile che i figli di Ansaldo abbiano accettato il matronimico Auria (Ansaldo dovette premorire alla moglie) in un periodo, da identificare con gli inizi del sec. XII, in cui si avvertì il bisogno di definire meglio i vari rami delle famiglie detentrici del potere in città, in rapida crescita economica e demografica. Non si dimentichi, inoltre, che tradizionalmente ai Doria è attribuita la fondazione nel 1102 di Alghero, che fu a lungo caposaldo della famiglia in Sardegna, indice della potenza economica e delle dimensioni dei traffici che i Doria dovettero raggiungere già in questo periodo. Il primo documento in cui compare il nome "Auria" (documento perduto, ma riportato da numerosi eruditi genovesi) risale al 1109-1110, quando una convenzione tra la chiesa di S. Maria delle Vigne e alcuni acquirenti di terre avvenne "in presencia Martini et Genoaldi filii Aurie" (Lecarte di S. Maria delle Vigne, doc. 3, p. 4). Dall'atto non risultano chiari né il legame familiare tra Martino e Genoaldo né il rapporto tra i due ed il D. (nato intorno a quegli anni); si può supporre, tuttavia, un errore nel documento o nella trascrizione, che permetterebbe di considerare entrambi come figli dell'Auria ricordata dall'annalista lacopo Doria e forse ancora viva. Un terzo fratello, Oberto, è segnalato dall'Oliva come benefattore della abbazia di Lerins nel 1132.
Alla figura di Martino (presente in alcuni atti pubblici tra il 1127 ed il 1130) è collegata tradizionalmente la fondazione della chiesa gentilizia dei Doria, S.Matteo, sorta nella domoculta nel 1125. Questa vasta area, non ancora compresa nella cinta muraria agli inizi del secolo XII e parte popolosa del burgus cittadino, era controllata dalla curia vescovile e dai Doria, che non appaiono tra i vassalli del vescovo. La fondazione di S.Matteo dovette avvenire col consenso dell'autorità ecclesiastica cittadina; la chiesa fu assoggettata all'abbazia di S. Fruttuoso di Capodimonte, presso Portofino, destinata ad essere controllata dalla famiglia. Martino fu consigliere del Comune nel 1127; non accettabili e nate contemporaneamente ad altre leggende sui Doria le notizie biografiche relative al personaggio (privo di figli maschi, avrebbe dato in sposa l'unica erede, Cortesina, ad un Della Volta e si sarebbe poi ritirato come monaco in S. Fruttuoso). Nessuna notizia ci è pervenuta su Zenoaldo, che solo induttivamente può essere considerato il padre del Doria.
Il D. fu console del Comune per la prima volta nel 1134; nel 1140 divenne console dei Placiti. L'anno seguente, nel novembre, assistette all'accordo tra il Comune genovese e i burgenses di Portovenere; fece poi parte della società che prese in appalto la Zecca cittadina, avendo ottenuto il Comune il diritto di battere moneta dall'imperatore Corrado il Salico due anni prima.
Sulla potenza economica e sulle dimensioni dei traffici commerciali intessuti dal D. possediamo poche notizie, perché la documentazione notarile inizia a Genova solo alla metà del secolo; se il suo nome non compare negli atti di Giovanni Scriba (il primo notaio di cui ci sia pervenuto il cartulare) con l'intensità e nelle proporzioni di membri di altre famiglie genovesi, da altre fonti appare chiara l'importanza del ruolo economico svolto dal Doria. L'ingente disponibilità di capitali (come dimostrano il prezzo delle terre da lui acquistate in domoculta nel 1160 e la somma di cui il figlio Simone, vivente il D., fu creditore nei confronti di Barisone d'Arborea), i suoi stretti rapporti con alcuni tra i più intraprendenti mercanti di origine non genovese, ma attivi su questa piazza (Rubaldo di Serafia e Blancardo, che forse fu suo intermediario) e soprattutto il ruolo da lui svolto quando si aprì ai traffici genovesi il mercato bizantino con il permesso di costruire un quartiere a Costantinopoli alla metà del secolo, tutto ciò evidenzia nel D. un potere economico non inferiore a quello delle altre famiglie di origine viscontile al governo in città. Altri dati sono forniti dal cartolare di Giovanni Scriba: nel 1157 prestò una somma ad Amico "de Murto" (12 agosto); nel 1160 ricevette io lire di genovini da Martino De Mari e si impegnò a trafficarle in Sardegna, dove egli era diretto (primo accenno ad interessi commerciali della famiglia nell'isola, destinata a diventare sua terra 81 eleiione), trasportandovi vino di sua proprietà (20 febbraio); nel 1161 era in società d'affari con un mercante diretto ad Alessandria d'Egitto (12 luglio); nel 1164 un altro mercante, diretto anch'egli in Egitto, dichiarava di essere in società con Blancardo, il quale a sua volta si presentava come nuncius del D., finanziatore dello stesso mercante (13 agosto); sempre nello stesso anno, altri due uomini d'affari dichiaravano di essere stati finanziati per il loro viaggio in Sicilia dal D. e dallo stesso Blancardo (7 agosto). Da questi elementi risulta che il D. dovette svolgere un ruolo fondamentale (come dimostreranno le sue iniziative politiche) negli scambi coi Mediterraneo orientale, di cui le due isole maggiori non erano semplici scali intermedi.
Abbondanti sono poi le notizie sugli investimenti terrieri che egli attuò sia in città sia nel distretto. A Genova, dove aveva ereditato una parte della vasta area della domoculta, che solo con la seconda cerchia muraria, detta "del Barbarossa", entrò a far parte della città, il D. mirò ad allargare le sue proprietà nella zona, diventata il quartiere della consorteria. Qui era stata fondata la chiesa gentilizia di S. Matteo; sulla piazza antistante vennero costruiti i palazzi di rappresentanza. Difeso da torri (nei documenti è ricordata quella di Guglielmo, figlio del D.) e nella seconda metà del secolo dalla nuova cinta muraria, il quartiere (di cui il D. può considerarsi il vero organizzatore) rappresentò forse la più compatta ed impenetrabile tra le contrade in cui da tempo le famiglie al potere si erano divise la città e ne costituì con ogni probabilità la prima di origine non viscontile. Il 17 ag. 1160, insieme con Guglielmo Malocello, il D. acquistò da Rollando Avvocato e da suo figlio Sardo, per la cospicua somma di 788 lire di genovini, ben 492 tavole di terra nella domoculta, confinanti con aree già di sua proprietà e con le mura; nove giorni dopo, il Malocello dichiarava che il D. era l'unico acquirente. Nel 1163 egli comperò da Ottone e Oberto "Gontardus" per 150 lire di genovini (un terzo in denaro, un terzo in pepe, un terzo in legno di brasile) vaste aree in alcune località cittadine, dove il D. possedeva già terre, in modo particolare nel "borghetto" presso S. Matteo (6 settembre); nel 1161 aveva comperato da Rubaldo di Serafia una casa in Soziglia, dove egli possedeva altri immobili (7 febbraio). Fuori della città il D. era proprietario di terre nella pieve di S. Cipriano, a Sampierdarena (nel 1160 vi allargò la sua proprietà), in Langasco e a Campomorone.
L'attività economica delineata per il D. contribuisce a tracciare gia in lui il profilo tipico dei membri della famiglia destinati a un ruolo di primo piano nella vita cittadina: grandi uomini d'affari, impegnati concretamente nel finanziamento del commercio e nei traffici quotidiani di un porto in cui venivano scambiate merci provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo e dall'Europa del Nord; uomini di mare, pronti a salire su una nave da carico o ad assumere il comando di flotte, composte spesso da navi di loro proprietà, per difendere gli interessi del Comune, quando collimavano con quelli della consorteria; abili e lucidi uomini di Stato, capaci di mediare, almeno fino alla fine del secolo XIII, tra interessi personali ed interessi collettivi.
Del resto, della vita politica del Comune consolare il D. fu uno dei protagonisti. Mirando Genova nella prima metà del secolo a costruire un protettorato economico nel Mediterraneo occidentale, divenne urgente l'eliminazione delle piazzeforti arabe che ostacolavano il commercio marittimo. Una prima spedizione contro Almeria, cui il D. dovette partecipare (1146), non ottenne risultati concreti, ma pose le basi per un accordo col conte di Barcell'Ona in vista di un attacco coordinato al porto arabo; l'anno seguente venne organizzata con grande cura una potente flotta, che avrebbe dovuto assalire anche l'altra cittadella araba di Tortosa, con l'appoggio del conte di Barcellona e del re di Castiglia. Proprio in quest'anno il D. fu eletto console; agli inizi dell'estate coi suoi colleghi guidò la flotta verso la Spagna, per porre l'assedio ad Almeria. L'attacco alla città fu rimandato in attesa dei rinforzi promessi da Alfonso VII; passato un mese inutilmente ed essendo chiaro che l'aiuto del re sarebbe stato modesto, si preparò un piano di battaglia, su consiglio di Oberto Torre e dello stesso D.; l'operazione, tuttavia, fallì proprio per un errore del Doria. La città fu nuovamente assediata e finalmente occupata il 17 ott. 1147. Il D. e Oberto Torre ritornarono a Genova con la notizia e con un ingente bottino.
L'anno seguente, la conquista di Tortosa (dicembre 1148), cui prese parte Simone, figlio del D., si rivelò, invece, un affare disastroso per il Comune, oberato di debiti e ben presto privato dei vantaggi derivatigli dalle due spedizioni. Per far fronte ai pesanti oneri finanziari contratti in modo particolare con banche piacentine, il Comune fu costretto ad appaltare le sue entrate fiscali ad alcune società private, di cui fecero parte proprio i promotori della disastrosa operazione militare. Già nel febbraio 1149 i consoli cedettero per 15 anni ad un gruppo di uomini d'affari, tra cui era il D., l'introito sui pesi e le misure; nel gennaio 1150 il D. ed altri soci ottennero per ventinove anni l'introito sui banchi di cambio; due anni dopo il monopolio del sale fu ceduto per venti anni ad un'altra società, di cui il D. era membro. Intanto, si avviò una intensa trattativa con le banche piacentine, per ottenere uno sconto sulla somma di cui Genova era debitrice. Nel 1154 i consoli (il D., non a caso, fu rieletto proprio in quest'anno) giunsero ad un accordo: delle 8.600 lire di genovini a cui ammontava il debito originario le banche piacentine si accontentarono di riaverne 6.000; nel gennaio 1155 (ultimo mese di carica per i consoli) il debito venne estinto.
Questa grave situazione finanziaria ebbe pesanti ripercussioni politiche, mettendo in crisi lo stesso istituto consolare: solo dopo l'intervento dell'arcivescovo e obbligati dal "populus", come narrano gli Annali, i consolieletti in quel difficile anno accettarono la carica. In realtà, l'inconsueta prassi seguita per la nomina fu dettata dalla necessità di assicurare un consenso di massa alla decisa politica programmata dai consoli e risultata di indubbia efficacia: attraverso l'estinzione del debito con Piacenza e degli altri debiti contratti con privati cittadini (per un totale di ben 15.000 lire di genovini) ed attraverso un intenso programma di costruzioni navali, allo scopo di fornire una flotta al Comune che ne era privo, i consoli riuscirono a porre le basi per superare la crisi in cui Genova era caduta.Nel frattempo, il Comune fu chiamato ad affrontare un altro delicato problema: i rapporti con Federico Barbarossa, il cui programma di espansione nel Sud d'Italia urtava coi tradizionali rapporti di amicizia tra Genova e la dinastia normanna. Nel novembre 1156 in Sicilia vennero inviati il D. e Guglielmo Vento: in cambio del mantenimento dell'alleanza Guglielmo I riconfermò a Genova tutti i privilegi commerciali nel Regno, proibendone l'accesso alle navi provenzali. L'anno seguente, nel gennaio, l'accordo fu solennemente giurato in città. Tale scelta di campo spinse il Comune ad affrettare i lavori di ampliamento della cinta muraria, la quale finì col proteggere anche il quartiere dei Doria, abili a sfruttare le difficoltà politiche del Comune a proprio vantaggio.
Negli anni seguenti, il D. fu teste all'atto con cui Guido Guerra, conte di Ventimiglia, divenne vassallo di Genova (30 ag. 1157); nel 1160 per l'ultima volta il D. fu console della città, incarico che toccò in seguito ai figli; nel 1164 fu scelto dall'arcivescovo come giudice, insieme con Oberto cancelliere, e si recò a Sanremo, feudo della Chiesa genovese, per rivendicare alla curia la proprietà di alcuni territori che erano stati usurpati. Nel 1171 prese parte all'arbitrato con cui gli abitanti di Portofino furono sottratti alla giurisdizione della abbazia di S. Fruttuoso di Capodimonte e sottoposti a quella civile dei consoli di Rapallo (18 febbraio); nel 1174 risulta tra i mercanti genovesi maggiormente danneggiati nel saccheggio degli emboli (fondachi) di S. Croce e di Coparia a Costantinopoli.
E questa l'ultima notizia posseduta sul Doria. Egli avrebbe sposato Anna, figlia di Niccolò Grimaldi, ma la notizia non è confermata dai documenti pubblicati. Ebbe tre figli: Enrico, Guglielmo e Simone.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. Franzoniana, Mss. Urbani, 126: F. Federici, Alberi genealogici delle famiglie di Genova (ms. sec. XVII), I, sub voce; Ibid., Bibl. d. Società ligure di storia patria, P. P. M. Oliva, Ascendenza paterna e materna di Francesco Maria Doria (ms. sec. XVIII), c. 130; Liber iurium Reipublicae Genuensis, in Monum. historiae patriae, a cura di E. Ricotti, VII, Augustae Taurin. 1854, docc. LXXIIcol. 76, LXXIVcol. 78, LXXIX col. 82, CXXIV coll. 119, 121, CXXX col. 128, CXXXI col. 129, CXXXIII/V coll. 130 s., CXLVI col. 139, CLIV coll. 144 s., CLXXVIII coll. 159 s., CC col. 175, CCV col. 178, CCVII/X coll. 179/181, CCXVII col. 198, CCXXXII col. 204, CCXLIII/IV col. 218; IX, ibid. 1857, doc. X col. 14; Registrum curiae archiepiscopalisIanue, a cura di L. T. Belgrano, in Atti della Soc. ligure di storia patria, II (1862), ad Indicem; Documenti genovesi di Novi e Valle Scrivia (946-1260), a cura di A. Ferretto, in Bibl. della Soc. stor. subalp., XXIII, Pinerolo 1906, docc. XXIX, LVII, LIX, LXVIII; Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, a cura di C. Roccatagliata Ceccardi -G. Monleone, I, Genova 1923, ad Indicem; Il cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano-M. Moresco, Torino 1935, ad Indicem; Codice diplom. della Repubblica di Genova, II, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, Roma 1938, in Fonti per la storia d'Italia, LXXIX, ad Indicem; Le carte di S. Maria delle Vigne di Genova (1103-1392), a cura di G. Airaldi, Genova 1969, p. 21; Le carte del monastero di S. Siro di Genova (952-1224), a cura di A. Basili-L. Pozza, Genova 1974, p. 128; I. Doria, La chiesa di S. Matteo in Genova, Genova 1860, p. 195; C. Imperiale di Sant'Angelo, Caffaro e i suoi tempi, Torino-Roma 1894, pp. 208, 210, 212 ss., 220 s., 256, 309, 332 ss., 336 s., 342, 344 s., 347, 353, 355, 361 ss., 407 s., 415; C.Manfroni, Le relaz. fra Genova, l'Impero bizantino e iTurchi, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXVIII (1898), ad Indicem; Id., Storia della marina italiana dalle invasioni barbariche al trattato di Ninfeo, I, Livorno 1899, pp. 210, 212 s., 219; F. Podestà, Il colle di S. Andrea a Genova e le regioni circostanti, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXII (1901), pp. 129 s.; V. Vitale, Le relazioni commerciali di Genova col regno normanno-svevo; l'età normanna, in Giorn. stor.-letter. della Liguria, III (1927), p. 10; P. F. Casaretto, La moneta genovese in confronto con le altre valute mediterranee, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LV (1928), pp. 22 s.; A. R. Scarsella, Il Comune dei consoli, in Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, III, Milano 1942, pp. 93, 95, 98, 103, 119, 138; N. Calvini, Relazioni medievali tra Genova e la Liguria occidentale (secc. X-XIII), Bordighera 1950, p. 31; E. Bach, La cité de Gênes au XIIe, siècle, Kobenhavn 1955, p. 62; P. Perelli, L'abbazia di S. Fruttuoso e le tombe dei Doria, Genova s. d., p. 63; V. Slessarev, Icosiddetti orientali nella Genova del Medioevo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n. s., VII (1967), p. 56; C. Fusero, I Doria, Milano 1973, pp. 38 s., 41, 45, 47 ss., 53, 57 s., 61; D. Abulafia, The two Italies..., Cambridge 1977, pp. 90, 101; L. Grossi Bianchi-E. Poleggi, Una città portuale del Medioevo: Genova nei sec. X-XVI, Genova 1980, p. 60; G. Pistarino, Genova e la Sardegna nel secolo XII, in La Sardegna nel mondo mediterraneo. Atti del Primo Convegno intern. di studi geografico-storici, II, Sassari 1981, pp. 67, 73; Id., Genova e la Sardegna: due mondi a confronto, in La storia dei Genovesi. Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, IV, Genova 1984, p. 206; L. L. Brook-R. Pavoni, I Doria (genealogie), in Genealogie medievali di Sardegna, Cagliari-Sassari 1984, ad Indicem; F. Dioli-T. Leali Rizzi, S. Fruttuoso di Capodimonte, Recco 1985, pp. 34, 75; H. C. Krueger, Navi e proprietà navale a Genova (seconda metà del sec. XII), in Atti della Società ligure di storia patria, n. s., XXV (1985), ad Indicem.