BUFFERIO, Ansaldo
Figlio di Simone maior, nacque a Genova, con ogni probabilità nel secondo ventennio del sec. XII, da illustre e facoltosa famiglia di mercanti (il nonno paterno, Guglielmo, era stato console nel 1110). Ricordato per la prima volta in un documento del 1174 (nel quale si fa però riferimento a fatti avvenuti in un'epoca precedente), il B. iniziò il suo apprendistato nel grande commercio internazionale esercitando la mercatura in Oriente, e soprattutto a Costantinopoli, con capitali avuti in prestito dal padre e da uno zio, Simone. Ma appunto a Costantinopoli il giovane mercante perdette tutti i suoi beni nel corso dei disordini che, scoppiati nel giugno del 1162, erano culminati nel saccheggio e nell'incendio dell'"embolo" genovese. I danni subiti dal B. in questa occasione ammontarono a 148 iperperi; e il suo nome comparve anche nella lunga lista di cittadini della Repubblica ligure, privati dei loro averi nel 1170., per i quali l'ambasciatore genovese Grimaldo chiese riparazioni all'imperatore Manuele I Comneno. Rientrato in patria, il B., pur non esercitando più di persona - come invece aveva fatto per l'addietro - la mercatura, continuò negli anni seguenti a occuparsi attivamente del grande commercio internazionale. Le esperienze sin'allora maturate, la sua indubbia abilità unita a una sicura conoscenza delle varie piazze mediterranee e ad una buona introduzione negli ambienti commerciali gli permisero infatti di smettere di praticare direttamente gli affari, e lo misero in grado di svolgere il ruolo di grande finanziatore. Così nel 1190, insieme con un fratello, Simone minor, e con Oglerio da Capo di Pagana, costituì una "società" per l'esportazione e l'importazione di merci dalla e per la Sardegna; così si legò, in genere con contratti di commenda, a intraprendenti mercanti che agivano nel bacino centrale del Mediterraneo, come Matteo di Piazzalunga e Ogerio di San Lorenzo, attivi soprattutto in Sicilia (1192), 0 come Oberto Macer di Castello e Giacomo Corso (1201 e 1210). L'attività del B. come uomo d'affari è inoltre attestata dai registri delle minute notarfli negli armi 1201, 1201 1206, 1210.
Eppure, sebbene il ruolo da lui ricoperto nella storia economica genovese nel Medioevo sia tutt'altro che secondario, il B. è soprattutto noto per la sua attività di uomo politico.
Gravi momenti stava attraversando in quegli anni Genova. La città ligure, in una posizione delicata e difficile tra le contrastanti forze del Sacro Romano Impero, del Regno normanno, dell'Impero bizantino, e in pericolo di compromettere i suoi cospicui interessi in Sicilia, aveva assunto in un primo momento una posizione di stretta neutralità, ma aveva finito poi con l'accostarsi decisamente a Federico I. Il trattato del 9 giugno 1162, che consacrò il capovolgimento dell'antica politica d'alleanza con i Normanni e che ebbe un immediato contraccolpo negativo sul commercio genovese, valse alla Repubblica ligure il riconoscimento imperiale della sua autonomia. Ma i vantaggi che potevano derivare dal nuovo indirizzo della politica estera genovese furono irrimediabilmente compromessi dal fallimento della progettata spedizione nel Regno e dalla ripresa della guerra contro Pisa, guerra complicata dalle vicende di Sardegna, dove Genova si proponeva di insediare re il giudice Barisone d'Arborea. Lo sforzo economico e militare compiuto da Genova dopo il 1162 determinò un enorme spreco di energie e un confuso conflitto esterno, complicato da violenti contrasti interni, che indussero il governo della Repubblica a una condotta incerta e titubante. Costretta a tener conto di interessi diversi e in scacchieri diversi, Genova non osò contrapporsi alla potente forza rappresentata dalle città della Lega lombarda, pur non avendo con esse in comune l'esigenza della lotta per il riconoscimento dell'autonomia; mentre le sue aspirazioni in Sicilia, la necessità di sorvegliare Pisa e di sostituirla nel ruolo di potenza marittima egemone nel Mediterraneo le impedirono di mettersi decisamente contro Federico I. Né la pace, imposta da Federico 1 a Genova e a Pisa sulla base della spartizione della Sardegna (pace giurata dai rappresentanti delle città marinare e dei loro alleati in Pavia, nel 1175), indusse la Repubblica ligure a rinunziare all'atteggiamento di cauta amicizia nei confronti dell'Impero, anche se, d'altra parte, essa aveva ripreso i suoi rapporti commerciali col Regno normanno dopo che Pisa era stata messa al bando dèll'Impero e il Barbarossa duramente impegnato nell'Italia settentrionale. Così, salito al trono Enrico VI (15 apr. 1191), solo dopo molte esitazioni Genova fu al fianco del nuovo imperatore quando questi scese in Italia, deciso a rivendicare i diritti ereditari sul trono normanno che gli derivavano dall'aver sposato Costanza d'Altavilla; ma fu appunto il contegno incerto e malsicuro adottato dal Comune ligure nel corso della prima spedizione di Enrico VI in Italia meridionale (1191) a compromettere i risultati che si attendevano dall'efficace contributo dato invece dai Genovesi alla sua seconda spedizione (1194).
Console una prima volta nel 1183, e poi di nuovo ancora nel 1187, il B. dovette sostenere una parte di primo piano nei ripetuti tentativi compiuti dalle magistrature cittadine per pacificare Genova, sconvolta dalle incessanti lotte intestine e divisa fra le potenti consorterie nobiliari, che se ne contendevano con le armi il dominio. Appunto al Collegio dei sei consoli "per il Comune", i quali "fecero vendetta delle offese e scelleratezze commesse, e con ingente sforzo e angustie grandi la città ressero e governarono fermamente", attribuiscono infatti le fonti il merito di aver cercato di restaurare, a tutti costi, la legalità repubblicana. Nel 1183 l'antico antagonismo esistente tra i Vento e i da Castello da una parte, i della Curia e i Bulbunoso dall'altra, era sfociato in conflitto armato: gli avversari si erano affrontati in campo aperto sulle rive del Bisagno, "e ne fu grandissima battaglia", come ci riferisce Ottobono Scriba (Annali).In questa occasione il B. contribuì a sedare - sia pure in modo precario - il contrasto tra quelle potenti consorterie. Quattro anni più tardi, in un periodo di analoga tensione interna, poté cooperare con fermezza a ristabilire l'ordine pubblico sconvolto dalla spirale di violenze esplose in seguito alla tragica morte di uno degli stessi consoli, Anglerio de Mari, ucciso a tradimento da Lanfranco di Iacopo della Turca (17 febbr. 1187), e all'assassinio di due nobiluomini, Rubaldo Porcello e Opizzone Lecavelo, trucidati "nel capitolo, la vigilia di Santo Iacopo; onde fu rumore e tumulto grandissimo e sedizione nella città" (24 luglio 1187).
La punizione dei colpevoli fu pronta e esemplare: i consoli, "adunati i nobili della città e il popolo, si incamminarono con le armi alla mano per prendere coloro che avevano perpetrata tanta scelleratezza; e le case e la torre e tutti i beni loro distrussero dalle radici, e gli uccisori cacciarono del tutto dalla città" (Ottobono Scriba, in Annali).
Sedati i movimenti sediziosi e ristabilita la sicurezza all'interno della città, il B. dovette affrontare, sempre come console, una nuova crisi esterna apertasi pel 1187: "In quest'anno i Pisani - riferisce Ottobono (ibid.) - lasciato indietro il giuramento di pace assalirono in forza la Sardegna, e tutti i mercanti di Genova - quanti ne trovarono - spogliarono dei loro beni e li cacciarono... da tutto il giudicato di Cagliari; onde fu ricominciata la guerra tra i Genovesi e i Pisani". Tuttavia, benché fosse stato mobilitato l'esercito e approntata la flotta da guerra e benché avessero riunito a Portovenere il corpo di spedizione, i consoli dovettero desistere dalla progettata impresa contro Pisa a causa delle pesanti pressioni diplomatiche esercitate dal re dei Romani, il futuro imperatore Enrico VI. Solo una squadra di dieci galee, condotta da Fulcone di Castello, poté compiere una rappresaglia contro le terre di dominio pisano in Sardegna, attaccando e radendo al suolo all'estremità meridionale della Corsica, sulle Bocche omonime, la rocca di Bonifacio. Le ostilità si protrassero senza altri eventi di particolare rilievo sino all'anno successivo, quando, grazie alla mediazione del pontefice, Clemente III, Genova e Pisa si acconciarono - benché riluttanti - a stipulare un nuovo trattato di pace; ed il B. fu tra i mille genovesi scelti dai Pisani a giurare la fedele osservanza delle clausole del nuovo trattato. Nel 1189, bandita dal papa la terza crociata, il B. venne nominato, insieme con Enrico Diotisalve, ambasciatore della Repubblica presso il re di Francia, Filippo II Augusto, e presso il re d'Inghilterra, Riccardo I Cuor di Leone, con l'incarico di offrire a quei sovrani, che avevano aderito alla grande impresa promossa dal pontefice, il contributo dell'eccezionale competenza tecnica della gente di mare genovese e la collaborazione della loro potente flotta; per discutere, inoltre, e concordare - nel caso si fosse giunti ad un'intesa - le condizioni finanziarie e la misura dell'apporto genovese. Partito, nella seconda metà del 1189, per la Francia in compagnia del suo collega, il B. cadde nelle mani degli armati di Donexella, vedova del marchese Alberto di Incisa, che lo trattenne come suo prigioniero fino a quando non venne inviato contro il territorio del marchesato un corpo d'esercito composto da contingenti genovesi, astensi e alessandrini. Una volta libero, il B. poté condurre rapidamente a termine la sua missione diplomatica.
La convenzione stipulata a nome del Comune di Genova dal B. con Ugo III di Borgogna (16 febbr. 1190) prevedeva, a condizioni molto remunerative, il trasporto integrale di Filippo II e del suo esercito feudale; mentre l'esercito di Riccardo Cuor di Leone si sarebbe dovuto imbarcare a Marsiglia, e avrebbe dovuto ricongiungersi con quello francese a Genova, dove avrebbe perfezionato il proprio armamento. La crociata (cui la Repubblica intervenne anche direttamente con due spedizioni, l'una del 1189 e l'altra del iigo) si ridusse al lungo assedio di San Giovanni d'Acri, terminato il 12 luglio 1191 con la capitolazione della città, e al riassetto del dominio cristiano in Asia Minore, ridotto alle città marittime di Acri, Antiochia e Beirut. Qui Genova riacquistò i suoi quartieri e i suoi antichi privilegi; solo che, da allora, le nuove colonie vennero amministrate direttamente dalle autorità municipali, a mezzo di due "consoli e vicecomiti dei Genovesi in Siria" residenti a San Giovanni d'Acri. Per la Repubblica, dunque, l'impresa rappresentò un ottimo affare sia sotto l'aspetto strettamente economico sia sotto quello del riordinamento delle colonie nel quadro di un dominio commerciale diretto.
Nel 1195 il B. fece parte della delegazione inviata a Pavia per sollecitare dall'imperatore Enrico VI la piena osservanza dei patti stipulati con le autorità della Repubblica nel 1191, e, quindi, per ottenere la completa esecuzione degli impegni politici ed economici che quel sovrano si era allora assunto ed aveva solennemente confermato nel giugno del 1194, quando preparava la riconquista del Regno di Sicilia. Benché fosse composta da insigni e influenti uomini di Stato (vi partecipavano, oltre al B., Fulcone di Castello, Giovanni Avvocato, Picamilio), e la capeggiassero i due massimi esponenti politici della città, l'arcivescovo Bonifacio e il podestà Giacomo Manerio, la missione si risolse in un falliniento per l'irriducibile intransigenza del sovrano. Questi, che si trovava ormai in una chiara posizione di forza, dichiarò apertamente agli inviati genovesi che egli non intendeva spartire con nessuno il dominio delle terre di recente conquistate.
È questa l'ultima notizia in nostro possesso relativa alla vita pubblica del B., che sembra non abbia più rivestito in seguito incarichi ufficiali. L'epoca della sua morte deve porsi pertanto in un periodo di tempo immediatamente posteriore al 1210, anno in cui - come si è visto - è tutt'ora attestata dalle minute notarili una sua attività come uomo d'affari.
Da non confondersi col B. è quell'Ansaldo Bufferio, ricordato dagli annalisti genovesi come comandante di una galera armata dal Comune nel 1230 per dare la caccia ad un pirata che infestava il golfo ligure, Durante da Portovenere: il B. sarebbe stato allora più che ottantenne. Si tratta certo di un omonimo, appartenente forse alla sua stessa famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Not. Lanfranco 3, c. 76r; Ibid., Not. Lanfranco e Raimondo Medico 4, c. 35r; Ibid., ms. 516: Ganduccio, Mem. delle origini di alcune famiglie genovesi, c.2v; Annali genovesi del Caffaro e de' suoi continuatori, a cura di L. T. Belgrano e C. Imperiale di Sant'Angelo, II, Roma 1901, pp. 18, 23, 58; III, ibid. 1923, p. 53; Cod. dipl. della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, II, Roma 1938, in Fonti per la storia d'Italia, LXXIX, p. 207; Oberto Scriba de Mercato,1190, a cura di M. Chiaudano e R. Morozzo della Rocca, in Notai liguri del sec. XII…, I, 1, Genova 1938, docc. 103, 117, 415; Guglielmo Cassinese, a cura di M. W. Hall-Cole-H. C. Krueger-R. L. Reynolds, ibid., I-II, 2, ibid. 1938, docc. 464 s., 501, 508, 1115, 1452 s., 1498, 1719, 1721, 1723, 1755, 1782, 1814; Giovanni di Guiberto (1200-1211), a cura di M. W. Hall-Cole-H. C. Krueger-R. G. Reinert-R. L. Reynolds, ibid., I-II, 5, ibid. 1939-40, docc. 865 s., 869, 870, 872, 1625; Oberto Scriba de Mercato,1186, a cura di M. Chiaudano, ibid., IV, ibid. 1940, doc. 286.