ANOVELO da Imbonate
Vissuto verso la fine dei sec. XIV, originario probabilmente del territorio di Como, fu tra gli artisti lombardi meglio noti alla storiografia dell'800, avendo lasciato la sua firma (c. 153 v.) nel Messale dell'Incoronazione di Gian Galeazzo Visconti per la basilica di S. Ambrogio, in cui, fra le altre illustrazioni, cercò di rappresentare con infantile realismo la cerimonia che aveva avuto luogo il 9 sett. 1395. Il messale era stato scritto fino dal 1370 da Fazio de' Castoldi, sacerdote di S. Eufemia, e completato dopo l'incoronazione. È da pensare che l'opera di A. per questo manoscritto si sia svolta intorno al 1395, malgrado le discriminazioni che E. Tea ha voluto fare in base alla qualità stilistica dei mini, in realtà assai unitaria anche se il tipo dei fregi è alternativamente desunto da quello esemplato dall'ignoto miniatore del Messale Nardini della Capitolare (e poi da Giovanni di Benedetto da Como) come dai nuovi esempi d'oltralpe, ripresi nello stesso periodo in Lombardia anche da Pietro da Pavia, caratterizzati da un tentativo più ardito di riproduzione del dato naturale accostato a decorazioni decisamente geometriche, rinunciando alla stilizzazione tradizionale.
Dopo l'entusiasmo suscitato dal rinvenimento di un nome nell'oscura storia dell'arte lombarda, dopo aver definito maldestramente giottesco lo stile di A., si notarono le scorrettezze del disegno e le goffaggini della sua composizione, ponendo quasi in dimenticanza il pregio della colorazione freschissima, veramente rivelatrice di una personalità non grande, ma indicativa di un gusto che andava cristallizzandosi nella ricerca di sofisticata eleganza tipica del tardogotico quattrocentesco. Persino il Toesca (1907), che rivelò la sopravvivenza della seconda opera documentata di A., il Messale di Santa Tecla eseguito nel 1402 e donato alla capitolare dal cardinal Nardini nel 1462, gli negò in questo le parti migliori, quale il ritratto del frate eremitano Marcolino, che in realtà non par trascendere le possibilità di Anovelo. Del resto, i documenti di pagamento sembrano comprovare che l'opera fu interamente eseguita dall'A. In essa si manifesta più liberamente e coerentemente l'ideale di sdolcinata eleganza che A. coltivava, il suo volger i temi più tragici in fiaba di pupazzi. Questo gli riesce nel modo migliore nelle vaghissime illustrazioni della Leggenda di S. Aimone e Vermondo (Milano, Bibl. Trivulziana, ms. 509) che, riferita generalmente a scuola lombarda, pare riveli senza dubbio la sua mano e sia da collocarsi in un tempo prossimo al Messale del 1402.
Anteriore è da ritenersi il Lucano della Biblioteca Nazionale di Parigi, (ms. lat. 8043), che pure si può riferire allo stile di Anovelo. Benché questi abbia certamente collaborato alla stesura dei Tacuina Sanitatis (e particolarmente alla Historia Plantarum, Roma, Bibl. Casanatense, ms. 459), accanto a Giovannino de' Grassi, sembra restare fedele, per quanto è di lui noto, alla tradizione di Giovanni di Benedetto da Como, riducendo il tentativo di dare evidenza corposa alle figure ad una lumeggiatura di maniera, che fa svaporare nel bianco la tinta base. La sua inabilità prospettica, l'allineamento gerarchico delle grandezze dei personaggi, la meticolosa descrizione del particolare che sovrasta ogni possibilità realistica dell'insieme, servono in modo positivo a render l'incanto della sua visione ingenua e primitiva e danno un fascino peculiare alle sue opere, realizzate in un tempo in cui il sovvertimento della visione ottica era ormai praticato deliberatamente per ottenere una espressione fiabesca. Scade il suo livello artistico, quando si prova nella pittura su tavola, come nella Crocefissione di S. Giorgio al Palazzo, restituitagli dal Toesca (1913, p. 329). È difficilmente identificabile con l'architetto citato dallo Zaffi, attivo nel 1430.
Bibl.: P. Zani, Encicl. metodica... delle belle arti, XI, Parma 1819, p. 12; G. Ferrario, Monumenti sacri e profani della I. R. Basilica di S. Ambrogio in Milano, Milano 1824, p. 40; G. Mongeri, L'Arte in Milano, Milano 1872, p. 38; P. Rotta Sant'Ambrogio, Milano 1881, p. 34; G. Ottino: Del costo di un Messale nel 1402, Firenze 1884 (v. anche la recensione in Il Bibliofilo, V[1884], p. 170); G. D'Adda e G. Mongeri, L'arte del minio nel Ducato di Milano, in Arch. stor. lombardo, XII(1885), pp. 532-38; J. von Schlosser, Ein veronesisches Bilderbuch..., in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses, III (1885), p. 179; L. Beltrami, L'arte negli arredi sacri della Lombardia, Milano 1897, pp. 14, 28 s., tavv. 7-11; G. Romussi, Sant'Ambrogio, Milano 1897, pp. 194 s.; P. Toesca, Di alcuni miniatori lombardi della fine del '300, in L'Arte, X (1907), pp. 194-196; A. Venturi, Storia dell'Arte Italiana, V, Milano 1911, p. 271; P. Toesca, La pittura e la miniatura in Lombardia, Milano 1912, pp. 327-31, 355, 360, 369; F. Malaguzzi Valeri, La Corte di Lodovico il Moro, III, Milano 1917, p. 113; P. D'Ancona, La miniature italienne, Paris 1925, pp. 23 s.; R. Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, VII, The Hague 1926, p. 102; Kunstschätze der Lombardei, Zürich 1948, pp. 123 s.; E. Aeschlimann-P. D'Ancona, Dict. des Miniaturistes, Milano 1949, p. 9; E. Tea, Arti minori nelle Chiese di Milano, Milano 1950, pp. 75-77; Trésors des Bibliothèques d'Italie, secc. IV-XVI, (catalogo), Paris 1950, n. 88; P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, pp. 856, 859; C. Baroni-S. Samek Ludovici, La pittura lombarda del Quattrocento (catalogo), Messina-Firenze 1952, p. 39; G. Muzioli, Mostra storica nazionale della miniatura Firenze 1954, p. 178; M. Salmi, La pittura e la miniatura gotica, in Storia di Milano, V, Milano 1955, p. 777; Id., La miniatura italiana, Milano 1956, p. 42; Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, (catalogo), Milano 1958, pp. XXVII, 41-43; D. Diringer, The Illuminated Book, London 1958, p. 314; C. Santoro, I codici miniati della Trivulziana, Milano 1958, n. 5, p. 10 s.; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, I, p.534; Enc. Ital., III, p.422.