Anonimo Fiorentino
. Con questo titolo (proposto dal suo primo e per ora unico editore, il Fanfani) si suole comunemente designare un commento in volgare trasmesso, da almeno quattro manoscritti (due dei quali contengono il solo Inferno, un terzo Inferno-Purgatorio e l'ultimo parte del Purgatorio e il Paradiso). Ignoto, nonostante le ricerche, l'autore (ma sicurissima, d'altra parte, e non solo per ragioni di lingua, la sua fiorentinità); accertata solo a grandi linee la cronologia dell'opera, per alcuni (dal Del Lungo al Barbi) da collocare sullo scorcio del secolo XIV per altri (dallo Hegel al Guerri) da situare piuttosto nel primo decennio del secolo XV (tutti d'accordo, comunque, nel respingere la data 1343 apposta da mano tarda su uno dei manoscritti); ma ben chiaro, anche a un lettore frettoloso purché pratico dell'antica tradizione esegetica, il carattere di centone indubbiamente proprio dell'opera, anche se la definizione, stante i metodi di commento e la consueta tecnica compilatoria dell'età di mezzo, non implica a priori un giudizio di valore. Il quale, semmai, emerge dallo studio delle fonti e del materiale usufruito dal chiosatore, nonché dall'accertamento dei suoi interessi oggettivi e dei concreti risultati cui giunge. Si tratta di un commento complessivamente modesto, per quanto appare dalle sue parti originali (si tenga oltretutto presente che dal canto XI del Purgatorio la chiosa si attiene sempre più strettamente alla redazione toscaneggiata di Iacopo della Lana, fino ad esserne nel Paradiso pura e semplice copia letterale); il cui maggior pregio riposa nel tentativo di sistemazione del materiale precedente, nell'interesse per cose e memorie fiorentine, nel valore di testimonianza sincronica quanto all'uso e al senso dell'antica lingua.
Già Andrea Lancia - l'Ottimo commentatore - aveva sentito il bisogno, nel terzo decennio del secolo, di fare summaticamente il punto della tradizione esegetica; solo che ciò fece con acume e capacità critica, duttilmente affinatasi e adeguatasi, attraverso le successive redazioni, a una sempre più larga problematica, sia in sede ermeneutica che di commento puntuale. Il lavoro dell'A., pur nella indubbia unità delle sue strutture portanti, è invece più disorganico, spesso offre l'impressione di una casualità che talora neppure sottopone a critica le diverse opinioni dei commentatori precedenti, ma si limita a registrarle (pur nella loro contraddittorietà d'informazione) anche se indubbiamente lo spiegamento degli autori si rivela, a cinquant'anni da Andrea, più massiccio e impegnativo. Oltre a Iacopo Alighieri, al Lana, all'Ottimo, l'A. conosce infatti Pietro Alighieri, Guido da Pisa, le Esposizioni del Boccaccio (uno dei testi maggiormente messi a frutto: cfr. D. Guerri, pp. 33-34), il commento di Benvenuto (fatto in precedenza non sempre ben valutato, e che pone per l'opera, quale terminus post quem, il 1380, anno in cui l'imolese si pose a rielaborare e completare la sua lettura per dedicarla a Niccolò III d'Este) talora stranamente fraintendendolo (si cfr. almeno la chiosa di Benvenuto a If III 55-57 [ed. Lacata, Firenze 1887, 1116] con quella dell'A. [I 68] il quale viene ad attribuire a D. una curiosa impressione avignonese narrata da Benvenuto in prima persona).
Ma l'A. non si limita a giovarsi dell'esegesi precedente; una delle sue peculiarità, che ce lo rendono interessante, è il ricorso in piena sincronia a testi letterari oggi per noi illustri; si veda la presenza di ampie, gustose quanto esplicite citazioni dal Decameron (si modifichi cosí quanto nota il Guerri, p. 133); il Saladino, I 121 (Decam. X 9); Lizio da Valbona, II 227 (ibid. V 4); gli Anastagi, II 229 (ibid. V 8); o da varie opere del Petrarca (alcune Epistole, I 618; 11 14, 47,73, 116; il De Vita solitaria, II 161,322; la canzone Italia mia, II 104; altre citazioni dai Rerum vulgarium fragmenta, II 139, 157); mentre sono altrettanti punti di forza per le chiose storiche, sia la Cronica di Dino Compagni che quella di Giovanni Villani.
Del tutto normale, rispetto al carattere degli altri commenti danteschi (cioè a dire senza novità, ma anche, per il vero, di tono medio e non troppo impegnata) la cultura di base dell'A.; sia per quel che riguarda l'informazione teologica, filosofica, scolastica, largamente presente ma non ostentata (e che spazia consuetudinariamente dalla Bibbia ai Vangeli agli Atti degli Apostoli ai Santi Padri ai teologi classici di quell'età, Agostino, Ambrogio, Boezio, Cassiodoro ecc., alle opere aristoteliche - anche con aperture verso il filone arabo - averroista - e poi ad Alberto Magno, Tommaso ecc.) che per quanto concerne il bagaglio storico letterario (sono citati Giuseppe Flavio, Orosio, Martin Polono, i Fatti di Cesare, il Libro de' Sette Savi, la Storia Troiana di Guido delle Colonne, il Tesoro volgarizzato, la Fiorita) e la conoscenza, al di là della consueta romantizzazione dell'antico, del mondo classico attraverso citazioni dirette da autori, che sono frequenti anche se non copiose come in altri commenti (come ad es. in Pietro o in Guido da Pisa): Sallustio, Ovidio (Metamorfosi, anche volgarizzate, Ars Amandi), Tito Livio (nel volgarizzamento), Valerio Massimo, e poi ancora l'ovvio Virgilio (Eneide, ma anche le Georgiche), Orazio, Seneca (morale e tragico), Lucano e Stazio, Svetonio, Plinio, Vegezio. Da notare infine, anche se le citazioni esplicite non sono frequenti, la conoscenza di altre opere di D. (dalle Rime si cita Amor da che convien, I 51; Così nel mio parlar, come la precedente definita " canzona morale ", I 491, II 36; Doglia mi reca, II 20; Ben ti faranno il nodo Salamone, II 379; Voi che intendendo, II 492; sono espressamente citati Vita Nuova e Convivio). Dal punto di vista più puntuale dell'interpretazione concreta converrà piuttosto notare in sintesi alcune linee maestre del commento, a più compiutamente caratterizzarne la fisionomia. La Commedia è per l'A. (il quale si attiene per questo punto alle precedenti definizioni di alcuni commentatori, in particolare Iacopo, il Lana e Pietro) una " finzione poetica ", elaborata nell'ambito di una deliberata quanto studiata imitazione virgiliana; tale fictio è suscettibile di una interpretazione sia storico-letterale che allegorica (anche se nel commento la prima prevale nettamente sulla seconda). D'altra parte gli interessi concreti dell'A. lo conducono a insistere più sulla dichiarazione puntuale che su questioni di interpretazione generale; e la chiosa è condotta con attenzione assai vivace, oltre che per i richiami biblici e più genericamente scolastici, anche per la mitologia, che offre spunto a frequenti e amplissime divagazioni. Traspaiono anche nozioni di cultura retorico-grammaticale, ed è spesso presente (e non potrebbe non esserlo, trattandosi di un testo quale il poema) un atteggiamento che potremo definire latamente enciclopedico-dottrinale. Ma, come abbiamo già accennato, prevale su tutto l'interesse per la storia, anzi per la cronaca cittadinesca: sia esso documentato attraverso il ricorso a testi romanzescamente popolari, ovvero più saldamentefondato sulle testimonianze e ricostruzioni di scrittori quali Dino Compagni e Giovanni Villani: quest'ultimo nettamente prevalente, se intere pagine della sua Cronaca sono assunte a commento di ben 42 luoghi dell'Inferno e di 22 del Purgatorio, mentre, pur se limitato, l'uso che l'A. fa del Compagni è in ogni caso degno di nota, in quanto rappresenta l'unica testimonianza del passaggio della Cronica diniana fra Tre-Quattrocento, offrendo elementi di rilievo agli studiosi di quel problema. Se è dunque certamente da respingere il giudizio dato dell'A. dal De Batines (Bibliografia, II 348-350), il quale ebbe a considerarne l'opera come " del tutto originale ", entro il lavoro di centonatura pazientemente compiuto l'A. seppe imprimere alla propria chiosa una fisionomia particolare; sicché il Del Lungo poté definirlo " tra i Trecentisti il più diligente studiatore della parte storica del poema dantesco ", come quello che " più di proposito attese ad illustrarne quella che è pur tanta parte del sentimento intimo del poema ", cioè la storia. Precoce archeologia di patria, che ancor oggi può risultare di una qualche utilità, nonostante che l'A. poco abbia influito e influisca, nel complesso, sulla secolare tradizione di commento, soverchiato com'è dalle figure del Boccaccio, di Benvenuto da Imola, di Francesco da Buti, suoi più illustri predecessori.
Bibl. - Edizione: Commento alla D.C., d'Anonimo fiorentino del secolo XIV ora per la prima volta stampato a cura di P. Fanfani, Bologna 1866-1874 (" Collezione di opere inedite o rare "). Il Fanfani segue il codice Riccardiano 1016.
Studi: C. Hegel, Ueber den historischen Werth der älteren Dante-Commentare. Mit einem Anhang zur Dino-Frage, Lipsia 1878, 57-64; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, Firenze 1879-1887, I II 311-312; 703-720; 835-844; II 610-611, 615; F.P. Luiso, Per la varia fortuna di D. nel secolo XIV. Secondo saggio. I concetti generici dell'ermeneutica dantesca nel secolo XIV e l'Epistola a Cangrande, in " Giorn. d. " XI (1903) 60-62; E. Cavallari, La fortuna di D. nel Trecento, Firenze 1921, 223-225; D. Guerri, Il Commento del Boccaccio a D. - Limiti della sua autenticità e questioni critiche che n'emergono, Bari 1926, 31-35; ID., La corrente popolare nel Rinascimento. Berte, burle e baie nella Firenze del Brunellesco e del Burchiello, Firenze 1931, 113 ss.; M. Barbi, Ancora della tenzone di D. con Forese, in " Studi d. " XVI (1932) 87-89, poi in Problemi II 200-201; N. Sapegno, Storia letteraria del Trecento, Milano-Napoli 1963, 179, 180.