Girardot, Annie
Attrice cinematografica e teatrale francese, nata a Parigi il 25 ottobre 1931. Affermatasi nel cinema con Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti, nel ruolo indimenticabile della prostituta Nadia, è poi divenuta una presenza apprezzata sia dal grande pubblico sia dai cinefili per le sue interpretazioni, ricche di profonda umanità, di donne forti e coraggiose, spesso segnate dal destino, in film di grandi autori italiani e francesi. Nel 1965 ha vinto a Venezia la Coppa Volpi come migliore attrice per Trois chambres à Manhattan (Tre camere a Manhattan) di Marcel Carné.
Entrata al Conservatoire national supérieur d'art dramatique di Parigi, fece poi parte della Comédie-française, dove recitò con successo dal 1954 al 1957. Nel cinema ottenne inizialmente parti minori di ragazza di vita (in Le rouge est mis, 1957, Il dado è tratto, di Gilles Grangier, e Le désert de Pigalle, 1958, L'inferno di Pigalle, di Léo Joannon), ma la svolta della sua carriera avvenne quando Visconti la scelse per il ruolo di Nadia che fa perdere la testa ai due fratelli lucani, impersonati da Alain Delon e Renato Salvatori (che divenne suo marito). Tornò quindi a essere diretta da Visconti in La strega bruciata viva, episodio del film collettivo Le streghe (1967), ma lavorò anche con Mario Monicelli in I compagni (1963) e con Valentino Orsini e Paolo e Vittorio Taviani in un episodio di I fuorilegge del matrimonio (1963). Per Marco Ferreri interpretò invece la tenera e disperata protagonista di La donna scimmia (1964), la cameriera coinvolta in un amplesso di sensuale vitalità in Dillinger è morto (1969) e una dei sopravvissuti dopo la catastrofe che distrugge il mondo in Il seme dell'uomo (1969), lasciandosi sempre apprezzare per la naturalezza dei suoi improvvisi cambi di registro, dalla risata alla tristezza, dalla provocazione alla dolcezza. In Francia, aveva nel frattempo recitato nell'episodio diretto da Christian-Jaque nel film collettivo La française et l'amour (1960; La francese e l'amore) e nelle parti curate dallo stesso regista nell'altro film collettivo Guerre secrète (1965; La guerra segreta); in La proie pour l'ombre di Alexandre Astruc, realizzato nel 1960 ma uscito soltanto nel 1964; in Le rendez-vous (1961; L'appuntamento) di Jean Delannoy e in Le vice et la vertu (1963; Il vizio e la virtù) di Roger Vadim. Importanti erano stati i due incontri con Carné, per Trois chambres à Manhattan, e con Claude Lelouch, che con Vivre pour vivre (1967; Vivere per vivere) le aveva regalato in patria il primo grande successo popolare. I personaggi dei due film rappresentano emblematicamente i ruoli prediletti dall'attrice in quel periodo: donne infelici, con il cuore in frantumi nascosto sotto un'ostentata sicurezza, che a volte, dietro uno sguardo, un gesto abbozzato, un sorriso accennato, lasciano affiorare l'angoscia latente. In seguito la G. lavorò in film di sicuro successo commerciale imponendosi come una delle poche attrici francesi sul cui nome era possibile costruire un film. Ritornò con Lelouch per Un homme qui me plaît (1969; Un tipo che mi piace) e si affidò quindi a professionisti di qualità come édouard Molinaro, Michel Audiard, Claude Pinoteau o Philippe de Broca, passando con disinvoltura dalle commedie ai drammi, in ruoli di moglie o madre sempre determinata e coraggiosa: così, per es., in Docteur Françoise Gailland (1976; Il caso del Dr Gailland) di Jean-Louis Bertuccelli, che le valse il César come migliore attrice, o in à chacun son enfer (1977; Autopsia di un mostro) di André Cayatte, in cui è una madre cui rapiscono la bambina.Dopo la metà degli anni Ottanta è passata a personaggi di secondo piano, con l'amico Lelouch in Partir revenir (1985; Tornare per rivivere), Il y a des jours… et des lunes (1990; Ci sono dei giorni… e delle lune) e Les misérables (1995; I miserabili) e con Bertrand Blier in Merci la vie (1991). Nel 2001, in La pianiste (La pianista) di Michael Haneke, si è ritagliata il ruolo di una madre dispotica, reso con profonda intensità.
F. Gilles, D'Annie Girardot, Paris 1971; R. Prédal, Les téléphones blancs du cinéma e La saine sévérité d'Annie Girardot, in "Cinéma 72", 1976, 208, pp. 70-78 e 79; P. Mérigeau, Annie Girardot, Paris 1978.