GATTI, Annibale
Figlio di Damiano, nacque a Forlì il 16 sett. 1827. Il padre, decoratore e freschista, intorno agli anni Trenta si trasferì a Firenze con la famiglia nella speranza di ricevere nuove commesse.
Come il G. stesso ricorda nell'autobiografia pubblicata postuma (1928), da bambino fu inviato a studiare prima da "un certo Lega" (p. 8), poi presso la scuola di S. Jesi, riportando però solo biasimi e delusioni. Affiancò alla difficoltà dello studio la pratica presso l'operosa bottega del padre "facendo in fresco ornati, linee, testine, mezze figurine, animali e tutte quelle particelle che compongono gli ornati figurativi" (p. 10).
Nel 1843 si iscrisse all'Accademia di belle arti di Firenze, frequentando i corsi di disegno tenuti da B. Servolini. Questi confermò al padre l'inettitudine del figlio, consigliando di indirizzarlo ad altro mestiere. Con T. Gazzarrini, titolare della cattedra di disegno presso l'Accademia fiorentina, finalmente il G. trovò un maestro che, grazie all'assiduo esercizio, seppe condurlo ai primi successi scolastici. Nel 1847 il giovane fu ammesso alla scuola di pittura tenuta da G. Bezzuoli dove ebbe come compagni di studi G. Bellucci, C. Conti e G. Fattori. Nel 1849 ricevette il premio minore del disegno, nel 1850 e 1851 quello per il bozzetto a olio. Nel 1856 affrontò il canonico viaggio di studio a Roma.
Dell'anno seguente è il quadro Molière che leggealla serva, prima di una lunga serie di versioni tra le quali è da ricordare la replica realizzata nel 1864 per la contessa Fiorella Favard: di entrambi i dipinti, come della maggior parte delle tele del G., si sono perse le tracce; tuttavia, le opere sono note grazie a bozzetti o a disegni conservati, per lo più, in collezioni private menzionate nel volume della Zappia (1985).
In questi anni il G. realizzò i suoi primi ritratti, fra i quali si ricorda quello del marchese Cesare Giovannelli (ante 1855), padre di Ida che diverrà in seguito moglie del pittore.
Nel 1858 gli fu commissionato un quadro per la chiesa di S. Verdiana a Castelfiorentino; il dipinto, raffigurante la Gloria di s. Verdiana, fu terminato nel 1861. In questi tre anni il G. edificò la sua fama eseguendo gli affreschi, raffiguranti una serie di putti, in palazzo degli Antinori di Brindisi a Firenze (1857-60), dipingendo l'Assunzione della Vergine e quattro Arcangeli per la cupola del presbiterio della cattedrale di San Miniato (1859) e il quadro con Michelangelo in gloria per palazzo Toscanelli a Pisa (1860). Al 1861 sono ascrivibili le decorazioni per palazzo Giuntini, poi Bastogi, raffiguranti l'Allegoria delle arti e l'Allegoria delle stagioni, e, sempre a Firenze, la decorazione della galleria della meridiana di palazzo Pitti con l'Allegoria della Pace, mentre, nella sala del trono, realizzò il Genio di casa Savoia presenta l'Italia al consesso delle altre nazioni. In questi stessi anni il G. mise a punto la decorazioni di palazzo Favard sul lungarno Vespucci, terminato dall'architetto G. Poggi nel 1858, affrescando tre sale, rispettivamente con la Gloria del Tasso, Storie di Psiche e Concerto campestre.
Il G. fu anche autore di piccoli quadri da cavalletto, destinati a mercanti e gallerie, che raffigurano episodi della vita dei maestri antichi: ad esempio i tre dedicati al Buonarroti, conservati in collezione privata (Zappia, 1985), con Michelangelo presenta il Mosè… (1855), Luisa Strozzi nello studio di Michelangelo (1857) e Carlo V che raccoglie il pennello a Tiziano (1858).
Il G. affrontò il settimo decennio come l'artista di punta in ambito fiorentino.
Con il trasferimento della capitale, Firenze era oggetto di un'intesa campagna edilizia. In questo contesto G. Poggi fu l'architetto più attivo e il G., al suo pari, il pittore più richiesto. La sua pittura appagava in pieno il bisogno di décor della nuova borghesia e della piccola nobiltà. Il classicismo suadente e civettuolo (decorazione di villa Favard a Rovezzano, 1865), unito al costante riferimento al teatro, in particolar modo alla lirica (decorazione palazzo Morrocchi a Firenze, 1868-70), danno un sapore neosettecentesco alle sue opere (soffitto villa di Larione, 1870).
Nel corso degli anni Settanta si fecero più stretti i rapporti con la committenza anglo-americana, per la quale realizzò piccoli quadri di soggetto storico (Visitadi Lafayette a Washington, Franklin incoronato a Parigi, oltre all'Incontro di Milton e Galileo, soggetto replicato in più versioni). Nel 1872 per il palazzo di F. Wilson il G. affrescò il Trionfo dell'amore, forse l'opera più felice, mentre più tardo di un decennio è il Fregio con putti per la villa di F. Stibbert nei pressi di Firenze.
Con la Gloria di s. Verdiana, il G. aveva aggiornato la pittura religiosa ottocentesca, assestata ancora su canoni "puristi", attraverso il recupero della pittura emiliana del Seicento e gli insegnamenti del suo maestro G. Bezzuoli. La pittura diventa così sontuosa, ricca di impasto coloristico e di effetti chiaroscurali, attenta agli affetti naturalistici. Il G. non mantenne sempre questa cifra stilistica, ma la cambiò a seconda del contesto per il quale era destinata l'opera. Adottò un registro neoquattrocentesco nell'Incoronazione della Vergine, affresco realizzato nel 1868 nel santuario della Vergine a Camoscio (Città di Castello), edificio neorinascimentale appena terminato da E. De Fabris. Nel 1873 il G. eseguì IlParadiso, affresco per la cappella funeraria di villa Favard a Rovezzano, in piena armonia con l'architettura di G. Poggi e la scultura di G. Dupré. Infine omaggiò il giovane Michelangelo con l'affresco La Pietà (1891) per la cappella funebre dei conti della Porta nel cimitero di Città di Castello.
La parabola discendente del suo successo la si può percorrere proprio con i quadri preparati su commissione per la chiesa di S. Verdiana. La Gloria della santa fu premiato all'Esposizione nazionale di Firenze del 1861, nel 1870 Il Trasporto di s. Verdiana vinse il concorso Casamorata e ricevette la medaglia d'oro dal ministero della Pubblica Istruzione, mentre nel 1883 Papa Clemente VII in preghiera fu presentato a Roma all'Esposizione di belle arti, passando quasi inosservato.
Il G. morì a Firenze il 13 ag. 1909; un esiguo necrologio sulla Nazione lo ricordò come cavaliere e professore residente del collegio accademico di belle arti di Firenze.
L'artista dipinse con successo anche sipari teatrali. Si ricordano quello per il nuovo teatro di Pisa (1867-68), con Goldoni che recita un sonetto, e quello per il teatro di Carrara (1882) con Il maestro Guglielmi portato in trionfo; sono andati invece distrutti i sipari del teatro dell'Opera del Cairo (1869) e del teatro di Santa Fè di Bogotà (1885).
Fonti e Bibl.: G.E. Saltini, Sopra un dipinto di A. G. nella villa di Larione presso Firenze, Firenze 1871; Mostra retrospettiva di A. G., Firenze 1928; C. Zappia, A. G. ritrattista, in Labyrinthos, 1983, nn. 3-4, pp. 70-90; Id., A. G. pittore di Firenze capitale, Roma 1985 (con bibl.); L. Zangheri, Ville della provincia di Firenze., Milano 1989, pp. 172, 188, 273, 391, 441; La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, ad indicem; C. Zappia, ibid., II, p. 845; G. Trotta, Gli interni di villa Favard a Rovezzano. Architettura e décor nella Firenze postunitaria, in Bollettino architetti, 1992, n. 44, pp. 8-16, Id., Ville fiorentine dell'Ottocento, Firenze 1994, pp. 10, 38-40; C. Morandi, Pittura della Restaurazione a Firenze: gli affreschi della Meridiana a palazzo Pitti, in Prospettiva, 1994, nn. 73-74, pp. 180, 186 s., 189; C. Morandi, Palazzo Pitti, la decorazione pittorica dell'Ottocento, Livorno 1995, p. 28; R. Carapelli, Precisazioni e aggiunte al catalogo di A. G., in Antichità viva, XXXV (1996), 5-6, pp. 36-49.