FONTANA, Annibale
Nacque a Milano nel 1540 da famiglia di origine ticinese, come attesta la lapide funebre nella chiesa milanese di S. Maria dei Miracoli, redatta dall'amico Giacomo Resta (Forcella, 1889).
Tale data va ritenuta esatta nonostante parte della critica proponga di anticiparla di circa un decennio (Rizzolli, 1993, p. 441), in base al supposto periodo di esecuzione delle prime medaglie con l'effigie di Cristoforo Madruzzo (1546-1547), che invece va fatto risalire con tutta probabilità al periodo dei soggiorno milanese del presule, circa una decina d'anni più tardi.
La formazione artistica del F., nella Milano ormai spagnola marcata dal classicismo dei Campi e dal michelangiolismo, si svolse soprattutto nel campo dell'oreficeria e della lavorazione delle pietre dure, a contatto con le nascenti botteghe dei Sarachi e dei Miseroni, con le quali egli collaborò a lungo, sia come disegnatore sia come esecutore; ma proprio gli stretti contatti all'interno di questo mondo e la ripetizione dei modelli rendono spesso ardua l'identificazione della mano del F. e aleatoria la cronologia delle opere.
Punto di partenza del percorso artistico del F. è costituito dall'importante attività di medaglista, compresa all'incirca tra il sesto e il settimo decennio del Cinquecento; in tale periodo l'artista siglò le proprie opere il più delle volte con "Ann." o "Annib.". Secondo una scansione probabile che cerchi di equilibrare dati storici ed evoluzione formale, le prove più antiche dovrebbero essere rappresentate dalla tre medaglie di Cristoforo Madruzzo databili con sicurezza alla fase dell'effettivo soggiorno a Milano del Madruzzo in qualità di governatore della città (gennaio 1556 - settembre 1557).
Nel rovescio della prima medaglia si fa riferimento alla rinascita del cattolicesimo dopo l'alleanza fra Paolo III e Carlo V con l'immagine, dell'Araba fenice (per un'altra interpretazione vedi Rizzolli, 993, p. 448); nel rovescio della seconda alla vittoria imperiale di Mühlberg con l'immagine di Ercole e Vidra di Lema (derivata da un modello di L. Leoni); nel rovescio della terza alla restituzione di Piacenza ai Farnese (15 sett. 1556) con l'Allegoria del Po. L'Ercole e l'idra ricorre anche nel rovescio della medaglia di Ottavio Farnese (anonima per Pannuti, 1995), forse relativa agli eventi del 1556; analoga è una medaglia dello stesso Farnese con nel rovescio un'allegoria della Beneficentia. Di poco successive dovrebbero risultare le medaglie di Consalvo Hernández de Cordoba, che presentano nel rovescio o una scena di battaglia o, nuovamente, la raffigurazione di Ercole e l'idra. Entrambe le tipologie sono da porre in relazione con il primo governatorato milanese (luglio 1558 - gennaio 1560) di Consalvo Hemández de Cordoba, discendente omonimo dell'effigiato.
Delle tre medaglie di Giovanni Battista Castaldo, le prime due (al rovescio rispettivamente la Panoplia di Lippa e la Sottomissione della Transilvania) sono state datate dalla critica al 1558 sulla base di una precisa ricostruzione storica (Rossi, 1982, p. 361); per la terza (al rovescio la Sottomissione delle province) sono assai probabili sia la datazione al 1563, sia l'autografia del F., dati i legami strettissimi con le precedenti. La medaglia di Ferdinando Francisco d'Avalos, con al rovescio Ercole nel giardino delle Esperidi, risale con certezza al governatorato milanese (febbraio 1560 - marzo 1563) di quest'ultimo, più probabilmente al 1562 circa. La medaglia di Ottaviano Ferrari di tono arcaizzante (al rovescio, Aristotele) è stata datata intorno al 1560 (Valerio, 1977, p. 150) ma è forse un po' più antica, mentre quella di Tommaso Marino (al rovescio, Palma da dattero) si può collocare al 1557 per il legame con la fondazione del palazzo del banchiere. Infine, la medaglia di Giovanni Paolo Lomazzo, descritta da questo nelle Rime del 1587, con sul rovescio Mercurio che presenta il Lomazzo alla Fortuna; la presumibile età dell'effigiato e la vicinanza formale con la medaglia d'Avalos fanno pensare ad una datazione verso l'inizio del settimo decennio del Cinquecento.
In parallelo all'attività di medaglista va collocata almeno in parte la produzione del F. come orafo e incisore di pietre dure. Dopo le molte polemiche dettate dalla difficoltà di distinguere le opere esaltate dal Lomazzo e dal Borghini nel mare magnum dei Sarachi e Miseroni, e in genere della prolifica produzione milanese cinquecentesca, paiono sufficientemente sicure l'autografia o almeno l'ideazione dei seguenti pezzi: il Vaso di Giasone, il Vaso di Bacco e la Cassetta Albertina, conservati nella Schatzkammer di Monaco di Baviera (l'ultima, in particolare, sicuramente anteriore al 1579, data di morte del committente Alberto V duca di Baviera); un vaso e il vetro di Ercole e Nesso, frammento della Cassetta d'Ercole, citata dal Borghini, conservati nel Künsthistorisches Museum di Vienna; la Cassetta di Savoia, conservata nel Palazzo reale di Madrid.
Sono tutte opere che alla sontuosità materica uniscono una raffinata rilettura della tradizione che congiunge L. Leoni (Cassetta Farnese) e il mondo romano al prodromi di quello imperiale di Massimiliano Il e Rodolfo Il d'Asburgo; ma la complessità di legami coi Miseroni e ancor più coi Sarachi rende difficile l'individuazione del ruolo autonomo del F., pure circondato dalla stima dei contemporanei: basti citare la puntigliosa elencazione dei lavori in "pietre" (cristalli, agate, corniole, smeraldi, zaffiri) fatta dal Borghini o la lode del Lomazzo all'amico. L'opera più riuscita è sicuramente la Cassetta Albertina, coi sette riquadri in cristallo (Creazione del mondo, Peccato originale, Arca di Noè, Consegna delle Tavole, Sacrificio di Isacco, Davide e Golia, Esilio a Babilonia), descritti dal Borghini e vicinissimi alla finezza prospettica e all'impaginazione teatrale dell'Ercole e Nesso viennese.
La qualità dei pezzi e la certezza dell'esistenza di molti altri esemplari non ancora riconosciuti rende difficile una collocazione solo fra il sesto e l'ottavo decennio del Cinquecento; è probabile che il F. abbia concentrato in quella fase le sue prime prove di medaglista e orafo, ma almeno la seconda attività dovette proseguire fino alla morte, come del resto indica l'infittirsi di temi fontaniani nel repertorio dei Sarachi fino al nono decennio.
Il 31 ag. 1570 il F. è presente a Palermo, dove è documentato con Baldassare di Massa e G. Lamani per la stima dei lavori di V. Gaggini per la porta del tesoro della cattedrale (Di Marzo, 1880, II). È probabile che il soggiorno dell'artista, definito "mediolanensis et civis panormitanus", vada posto in relazione col viceregno di Ferdinando Francisco d'Avalos (1569-1571). S'ignora il tipo d'attività e la durata del soggiorno del F. in terra siciliana, mentre appare naturale il contatto con i "lombardi" Gaggini. Un soggiorno a Roma del F., all'andata o al ritorno da Palermo, è stato a più riprese ipotizzato ed è assai probabile, sebbene non documentato.
Con il ritorno a Milano, sicuramente databile a partire dal 1574, ebbe origine la fase più intensa dei percorso artistico del F. in qualità di protostatuario nella fabbrica di S. Maria dei Miracoli presso S. Celso, punto nodale della riqualificazione della città negli anni dell'arcivescovato di Carlo Borromeo. Responsabile architettonico della fabbrica milanese era, dal 1572, M. Bassi, la cui attività si concentrò in particolare sulla facciata e sull'altare dell'effigie miracolosa, che rappresentarono anche il fulcro principale dell'attività del Fontana. Questi lavorò alla facciata della chiesa dal 1575 al 1587: eseguì le statue dei profeti Isaia e Geremia per le nicchie inferiori, le due Sibille sul portale maggiore, i rilievi con l'Adorazione dei pastori la Presentazione al Tempio e le Nozze di Cana, la statua del profeta Zaccaria nella nicchia superiore, l'Assunta sommitale oggi all'interno e sostituita dalla copia seicentesca di G. Prevosti, due Angeli del fastigio. Nel nono decennio il F. lavorò nell'area del presbiterio della chiesa. Di sua mano sono l'Assunta in marmo sull'altare della Madonna miracolosa, la statua di S. Giovanni Evangelista, posta di fronte, e i due rilievi in argento con la Nascita di Maria e la Dormitio Virginis per il paliotto dell'altare.
A fianco del F. spicca il ruolo del toscano Stoldo Lorenzi, attivo per la fabbrica dal 1572 al 1583, e sarebbe suggestivo anticipare la conoscenza dei due ad un passaggio a Firenze del F. di ritorno da Palermo, il che spiegherebbe la conoscenza del Bandinelli palese nelle sculture di ottavo e nono decennio. Nel 1576 il F. e il Lorenzi, a riprova della considerazione raggiunta in città, furono coinvolti nella stima degli Angeli del retrocoro del duomo, eseguiti da P. Tibaldi e F. Brambilla.
Nel 1582 il F. venne coinvolto con il Tibaldi e L. Buzzi in un'oscura storia di incuria e furto di marmi dal cantiere della cattedrale; ma nello stesso, anno stimò 4 scudi d'oro ognuno dei cinque modelletti del Brambilla.
La fama del F. è del resto attestata dal concentrarsi intorno al suo nome di attribuzioni per analogia; è il caso della croce e candelieri per l'altar maggiore del duomo e dei candelieri per S. Maria dei Miracoli e per S. Fedele a Milano, per la certosa a Pavia, per il duomo a Bratislava. Più difficili da attribuire i due Angeli in bronzo, attualmente non esaminabili, già nella collezione von Auspitz a Vienna (Kris, 1930), il primo dei quali potrebbe anche risultare autografo del Fontana. Nell'ambito dell'artista, ma non autografo, risulta il busto di Ottavio Farnese nelle Civiche Raccolte d'arte di Milano, la cui attribuzione si spiega con le analogie con la medaglia del giovane duca; molto problematica è la terracotta con l'Adorazione dei pastori nella National Gallery of art di Washington, ritenuta dal Seymour (1949) bozzetto preparatorio del rilievo in S. Maria dei Miracoli, ma espunto, come copia più tarda. Perduto è il Cristo risorto nell'abside di S. Barnaba a Milano, pure oggetto di una tradizione confusa (Houghton Brown, 1965).
Degno di interesse è un nucleo di bozzetti e disegni preparatori dei F., in massima parte relativi alla fabbrica dei Miracoli. Per quanto riguarda il primo gruppo, si ricordano l'Angelo in cera del County Museum of art di Los Angeles (Fusco, 1984), preparatorio per quello adorante nel fastigio della facciata, e il bozzetto, sempre in cera, comparso sul mercato antiquario londinese relativo all'Angelo tibicine all'estremo del medesimo fastigio, probabilmente del Lorenzi su disegno del Fontana.
Tra i disegni (conservati a Milano nel cod. F 245 inf. della Biblioteca Ambrosiana) si trovano sia schizzi autonomi, sia schizzi relativi all'attività del F. per la chiesa di S. Maria dei Miracoli. Nel primo nucleo sono Presenti due Figure sedute, l'Adorazione dei Magi, una figura di Apostolo, una Sacra Famiglia; inoltre, a dimostrazione dell'interesse del F. per le arti "applicate", un disegno per piatto ovale e uno per una bottiglia. Il secondo nucleo, databile all'incirca al periodo d'inizio dei lavori delle opere raffigurate, è costituito dall'Assunta per la facciata, dal S. Giovanni Evangelista e dalla Dormitio Virginis per l'area del presbiterio, dall'Assunta per l'altare dell'effigie miracolosa.
Per un altro ciclo di disegni, di carattere anatomico, compreso nello stesso codice, è stata ipotizzata l'autografia del F.; così come per un nucleo con immagini di angeli entro il cod. F 152 inf. della stessa biblioteca (Valerio, 1973).
Il F. morì a Milano nel 1587.
Come medaglista appare inserito in un filone in larga misura derivante da L. Leoni: un ambito quindi prestigioso, direttamente legato alla committenza imperiale e della monarchia iberica, e al tempo stesso profondamente lombardizzato anche grazie ad un artista quale J. Nizzola da Trezzo; ma anche aperto ad apporti esterni, come dimostra la fortuna delle medaglie del Bandinelli e il costante rapporto col multiforme ambiente farnesiano. Palese è quindi il tono michelangiolesco, che ricorre anche nell'attività del F. come scultore. Non è un caso che il Borghini (1584) citi in termini più di dialettica che di collaborazione il rapporto col bandinelliano Lorenzi. Al riferimento al Bandinelli, e in particolare al suo ruolo nel ciclo degli Apostoli nella cattedrale fiorentina, premessa importante del S. Giovanni di S. Maria dei Miracoli, si può accostare quello ad Ammannati: la padovana Tomba Benavides è un antecedente nodale per le statue della facciata dei Miracoli. A Milano queste istanze del michelangiolismo si concretizzavano nella personalità di P. Tibaldi, a più riprese collegato col F. e come lui interprete della volontà del Borromeo di riqualificazione della città. Se l'adesione a schemi di lavoro tradizionali e il gusto tutto lombardo per l'ornamentazione avvicinano il F. a M. Bassi, il michelangiolismo solenne e depurato appare di chiara matrice tibaldiana, non esente nei Profeti dei Miracoli da una singolare commistione fra il Michelangelo del Mosè, il Leoni degli Omenoni e il Tibaldi della vetrata dei Ss. Quattro Coronati.
Fondamentale è poi il legame del F. con il Lomazzo, concretizzato dalla partecipazione di entrambi all'Accademia dei Facchini della Valle di Blenio, la celebre e ancora poco indagata unione, al tempo stesso tradizionale e anticonformista, che vedeva compresenti, fra gli altri, C. Procaccini, O. Semini, il Duchino, A. Luini e F. Brambilla. Si tratta della parte migliore del manierismo lombardo già pronto a passare dall'eclettismo ad un classicismo "senza tempo" di stampo borromaico. A più riprese nei suoi scritti (dal 1563al 1590) il Lomazzo si occupa dell'amico: degni di nota sono, oltre al giudizio del Rabisch e alla descrizione della propria medaglia, l'inserimento ripetuto ed elogiativo in una lista di scultori comprendente Donatello, Michelangelo, i Sansovino, Bandinelli, Giambologna (dove si nota l'individuazione di una precisa linea di sviluppo della scultura italiana); la sottolineatura della "facilità" esecutiva, in linea col principio manieristico di sprezzatura; la lode per l'abilità nella lavorazione dei metalli preziosi, a livello del Tortorino o del "gran Giacobo da Trezzo" (1584); infine, la poesia in morte, con i topoi vivificati dal dolore genuino.
A completare l'attività del F. bisogna includere la lavorazione di pietre e metalli preziosi. Qui egli appare da un lato l'erede di una grande tradizione ormai secolare, dall'altro l'iniziatore di una pratica che, attraverso l'attività nell'impero dei Sarachi e dei Miseroni, giungerà a contribuire al manierismo rudolfino, vivificato per altra via da un lombardo come l'Arcimboldi.
Ancora più complessa appare l'eredità del F. quale scultore; se anche i suoi colleghi come il Tibaldi e il Buzzi ne avvertono l'influenza (palese per il secondo nella facciata del santuario di Saronno), i giovani scultori come il Brambilla o il Biffi si formano sui suoi modelli, peraltro proposti ancora nel 1622-1623quali esercizi per gli allievi dell'Accademia Ambrosiana (Bora, 1992). È stato posto anche in rilievo (Spinosa, 1976, pp. 15 s.) il ruolo nodale del F. per la formazione di C. Fanzago, che nell'Immacolata del seminario napoletano rende omaggio all'Assunta milanese. Del resto la stima della critica è parallela a quella degli artisti: dopo gli elogi del Lomazzo e l'apprezzamento del Borghini (1584) e del Moriggia (1592), soprattutto per l'attività orafa, viene il De pictura sacra di F. Borromeo (1624), con l'abbozzo del tema dell'artista-modello, sobrio e devoto quanto geniale; e le lodi di C.M. Maggi alla "naturalezza" del F. contrapposta alla "fatica" di Marco da Agrate vengono citate non a caso dal Muratori (1770), antesignano del risveglio classicista scandito dalla stima del De Giorgi e del Perego e culminante nelle Riflessioni di C.M. Giudici (1775), che esaltano il F. come "modello unico per gli scultori".
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