BENTIVOGLIO, Annibale
Figlio naturale di Antonio, nacque a Bologna nel 1413. Secondo il Ghirardacci, Antonio e Gaspare Malvezzi si sarebbero "piacevolmente" contesi, oltre alla madre, anche il diritto di legittimarlo come figlio: i dadi avrebbero favorito il Bentivoglio, che divenne così legalmente il padre di Annibale.
Appena decenne, quando già dimostrava buona indole e pronta intelligenza, il B. dovette seguire il padre quando questi, costretto ad abbandonare Bologna (di cui aveva cercato di farsi signore) per i suoi contrasti con Martirio V, cercò rifugio in Firenze. Più tardi, per i buoni uffici di Rinaldo degli Albizzi e di Cosimo de' Medici, Antonio poté riconciliarsi col papa e passare al suo servizio: per quanto giovanissimo, anche il B. seguì l'esempio del padre mettendosi al servizio della Chiesa, nel cui esercito militò a capo di 20 lance (1426). Qualche tempo dopo lo troviamo agli ordini di Micheletto Attendolo nelle guerre combattute nel Regno di Napoli contro Alfonso d'Aragona; in queste operazioni egli si procacciò la fama di prode uomo d'arme e quella esperienza di cose militari che avrebbe in seguito messo a frutto per difendere la sua città.
La tragica morte del padre (23 dic. 1435), intanto, aveva fatto convergere verso di lui l'attenzione e le speranze dei Bolognesi, che mal sopportavano il governo tirannico degli ufficiali pontifici, ma il B. preferì procrastinare il suo ritorno in patria, volendo attendere tempi a lui più favorevoli. Questi gli sembrarono giunti finalmente quando i Bolognesi, il 20maggio 1438, si ribellarono alla Sede apostolica e cacciarono i rappresentanti e le guarnigioni pontificie con l'aiuto di Niccolò Piccinino, condottiero dei duca di Milano; ma allorché il B. giunse a Bologna (8 sett. 1438) questa era in procinto di perdere nuovamente la sua libertà per opera del Piccinino che, giunto da amico nella città alla testa di una numerosa soldatesca, ormai vi spadroneggiava, dopo aver occupato i castelli di Galliera ed essersi insediato nel palazzo del Comune.
Era evidente che il duca di Milano, il quale agiva alle spalle del suo condottiero, voleva assicurarsi il dominio su Bologna dopo esserselo preparato con una pesante occupazione militare ed una signoria puramente nominale del Piccinino. Quest'ultimo, infatti, nella sua veste di governatore, imponeva al Comune sempre più apertamente non tanto la propria, quanto la volontà del duca, e nel contempo veniva prendendo nella città tutte quelle rnisure che riteneva più adatte a raggiungere il suo scopo; tra queste è da ricordare il richiamo dei Canetoli, i quali, nel frattempo, si erano riaccostati al Visconti. Il condottiero sperava di poter così controbilanciare. quell'ascendente che il B. si era guadagnato tra i suoi concittadini.
Il B., per aver maggiore facilità d'azione, aveva intanto cominciato col far togliere di, mezzo l'unica persona che, in seno alla stessa fazione bentivogliesca, gli poteva dar ombra in Bologna, Raffaele Foscherari che, divenuto assai influente durante l'esilio del B., venne assassinato per suo ordine il 4 febbr. 1440. Il duca di Milano, contemporaneamente, cercò di attrarre a sé il B., acconsentendo al suo matrimonio con Donnina Visconti, matrimonio che venne celebrato con il massimo fasto in Bologna il 7 maggio del 1441.
Tale matrimonio, che nelle intenzioni del B. avrebbe dovuto servire ad assicurargli il favore del duca di Milano e a permettergli un ulteriore passo verso la signoria, rimase senza effetto alcuno, così come rimasero senza conseguenze anche tutti gli accorgimenti impiegati dal Visconti per legare alla sua politica il Bentivoglio.
Nonostante la parentela, il B. si vide ancora osteggiato e sospettato dal duca, e anch'egli, da parte sua, continuò quasi sicuramente a lavorare per liberare Bologna dalla dominazione viscontea. Forse il duca ebbe sentore di questi maneggi del B.; forse reputò giunto il momento di sbarazzarsi dei principali cittadini di Bologna per poter poi impadronirsi senz'altri ostacoli della città; si disse che il duca avesse fatto capire al Piccinino che lo avrebbe coperto con la sua autorità qualora si fosse impadronito del B. e di Gaspare ed Achille Malvezzi. Certo è che il 17 ott. 1442 Francesco Piccinino arrestò il B. e i due Malvezzi, e fece poi rinchiudere il B. nella rocca di Varano (Parma).
La notizia di questa azione di forza mise in orgasmo i Bolognesi che vedevano ora seriamente minacciata la loro libertà: furono immediatamente inviate ambascerie per richiedere il rilascio dei tre prigionieri, ma non fu possibile ottenere nulla. Trascorsero alcuni mesi e finalmente alcuni audaci, Galeazzo e Tideo Marescotti, con altri tre compagni, riuscivano a penetrare furtivamente nella rocca di Varano e a liberare il Bentivoglio. Compiuta in mezzo a mille difficoltà l'avventurosa impresa (che noi conosciamo fin nei particolari per la narrazione fattane da Galeazzo Marescotti) e riacquistata la libertà, nella notte tra il 5 ed il 6 giugno 1443 il B. riusciva a scalare le mura di Bologna e a penetrare nella città; quindi, riuniti i suoi partigiani che lo attendevano in armi, assalì i soldati viscontei e, dopo una lotta accanita - cui prese parte anche il popolo al grido di "Viva il Popolo e le Arti!" -, parte li cacciò e parte li fece prigionieri. Tra questi vi era lo stesso Piccinino.
Ricuperata alla patria la libertà, spettò al B. un duplice, difficile compito: riorganizzare lo Stato all'interno e preparare i mezzi per scongiurare definitivamente la minaccia viscontea. Si trattava cioè di assoldare genti d'arme da contrapporre alle sperimentate milizie del duca e, insieme, bisognava cercare di rompere l'isolamento diplomatico in cui si trovava Bologna, cercando l'alleanza di Firenze e di Venezia. Di fronte a tali difficoltà egli dimostrò subito di possedere le qualità di un vero uomo di Stato. Se non riuscì a procurarsi un buon numero di armati, perché le casse del Comune erano quasi vuiote, riuscì ad ottenere immediatamente da Cosimo de' Medici aiuti militari e l'assicurazione della sua amicizia, e già ai primi del mese succe'ssivo (il 12 luglio 1443) il Comune di Bologna poteva stringere con Firenze e con Venezia una lega militare anti-viscontea. La lotta continuava, intanto, al di fuori delle mura, finché, il 14 agosto, il B., a capo delle milizie cittadine e dei contingenti inviati dagli alleati fiorentini e veneti., annientò in battaglia campale, tra Castel San Giorgio e San Pietro in Casale, l'esercito visconteo condotto da Luigi Dal Verme. In seguito a questo fatto d'arme si arrese dopo pochi giorni anche la guarnigione viscontea del castello di Galliera.
Allontanato il pericolo esterno, vennero ristabilite nella loro integrità (almeno in apparenza) anche le istituzioni comunali; la preminenza del B., tuttavia, si andò di fatto affermando quasi giorno per giorno, né avrebbe potuto essere altrimenti, tanto vivo era il ricordo della parte da lui avuta nelle recenti lotte contro il Visconti.
Il sentimento di riconoscenza che un po' tutta la cittadinanza nutriva nei suoi confronti indusse anzi il Consiglio dei Seicento, abilmente sollecitato, del resto, dai partigiani del B., a concedergli per cinque anni la riscossione del dazio delle "carteselle", riscossione che gli avrebbe procurato profitti assai cospicui: circa 25.000 lire. Qualcuno tuttavia - tra cui era lo stesso Ludovico Bentivoglio - vide in questa concessione, che dava al B. la possibilità di riaffermare ulteriormente la sua preminenza politica, un grande pericolo per le libere istituzioni della città, se non fosse stata controbilanciata dal richiamo dei Canetoli. Il B. comprese questo stato d'animo dei suoi concittadini e, sia per stornare da sé il sospetto di aspirare alla signoria (per la quale del resto vedeva non ancora disposta Bologna), sia per dimostrare la sua generosità, permise che i suoi avversari tornassero in patria. Anzi, egli stesso andò incontro, con volto cordiale, al capo della famiglia nemica, Gaspare Canetoli, perché meglio apparisse agli occhi di tutti che costui, dopo aver vanamente sperato nell'aiuto del papa prima, e nella protezione del duca di Milano poi, poteva finalmente rientrare in Bologna solo grazie alla clemenza dei Bentivoglio.
Inoltre, per dimostrare che, per parte sua, intendeva dimenticare le vecchie discordie che avevano per tanto tempo insanguinato e diviso la città, come già aveva dato in moglie a Romeo Pepoli sua sorella Isabella, così promise a Gaspare Canetoli l'altra sua sorella, Costanza. Fu, questa, una serie di mosse politicamente assai accorte, che contribuì non poco a rinsaldare il suo potere su Bologna; tali mosse, che il popolo mostrò di apprezzare moltissimo, tendevano a far risaltare la magnanimità e l'amor di patria che animavano il B., e furono certamente la causa prima della reazione popolare che si scatenò contro i Canetoli subito dopo la sua uccisione.
Difatti, nonostante la presenza dei Canetoli in Bologna, la preminenza del B. nella direzione del Comune aumentò non solo per l'accrescersi dell'influenza della sua fazione sugli organi di governo e sulla vita interna della città, o per la carica di gonfaloniere di giustizia, che il B. ricoprì nel 1444; ma anche per i riconoscimenti, gli attestati di stima ed i segni di ossequio che i governi esteri, in virtù della particolare situazione interna di Bologna, tributavano, quasi come al signore della città, al Bentivoglio. Perché proprio in seguito a come si era svolta la lotta contro il tentativo di dominazione viscontea (lotta di cui il B. era stato il protagonista principale), e soprattutto grazie all'abilità diplomatica del B., Bologna si era potuta inserire come fattore determinante nella grande lotta tra Milano, Firenze e Venezia e, quindi, nel quadro della grande politica italiana.
Da questo stato di cose, tuttavia, derivavano anche l'insofferenza, l'invidia e la gelosia di quanti, come i Canetoli e i loro partigiani, si vedevano messi in disparte o in ombra dalla figura del loro grande concittadino. Una rissa tra i Marescotti ed i Canetoli rinfocolò gli odi e fece nascere il pensiero della congiura, che fu subito ordita d'accordo col duca di Milano, cui venne offerta di nuovo, in cambio dei necessari aiuti militari, la signoria sulla città di Bologna. Capi della congiura furono due Canetoli, Ludovico e Bettozzo, ed un Ghislieri, Francesco.
Il 24 giugno 1445, mentre la città era in festa per la solennità di s. Giovanni Battista, il B., che - sempre guidato dal suo desiderio di pacificazione - aveva accettato di tenere a battesimo un figlio di Francesco Ghislieri, venne assalito da Bettozzo Carietoli e da un gruppo di suoi partigiani e trucidato in mezzo alla strada quando, terminato il sacro rito, al fianco del suo compare riaccompagnava a casa il figlioccio.
Dopo l'assassinio i congiurati si sparsero per la città per giustiziare i loro nemici politici. La strage continuò finché il popolo non insorse contro di loro sotto la guida dell'audace e valoroso Galeazzo Marescotti: ne nacque una feroce e cruenta lotta, combattuta convulsamente per le strade e le piazze della città, che terminò con il massacro dei congiurati e dei loro fautori. Nulla poterono in loro favore le milizie viscontee, accorse per aiutare i congiurati sotto il comando di Bartolomeo Colleoni: i pochi che riuscirono a scampare al massacro vennero costretti a fuggire da Bologna.
Dal matrimonio con Donnina Visconti il B. aveva avuto un solo figlio, Giovanni (II), nato nel 1443, che era quindi ancora un infante quando suo padre venne così barbaramente ucciso.
Fonti e Bibl.: Galeazzo Marescotto di Calvi, Cronica come Anniballe Bentivoglij fu preso et menato de pregione et poi morto et vendicato, a cura di F. Guidicini, Bologna 1869; Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononie edita a fr. Hyeronimo de Bursellis…, in Rer. ital. Script., 2 ediz., XXIII, 2, a cura di A. Sorbelli, ad Indicem; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte terza, ibid., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, ad Indicem; Corpus chronicorum Bononiensium, ibid., XVIII, 1, vol. IV, a cura di A. Sorbelli, pp. 105-129; C. Albicini, Il governo visconteo in Bologna (1438-1443), in Atti e Mem. d. R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, II (1884), pp. 328-331, 335, 337 s., 340, 342-344; M. Longhi, Niccolò Piccinino in Bologna, ibid., XXIV (1906), pp. 177, 221; XXV (1907), pp. 115-119, 123-128, 138-149, 153 s., 157, 159-162, 273 s., 280 s., 283, 362 s., 364-368, 371-375; C. M. Ady, The Bentivoglio of Bologna. A study in despotism, London 1937, ad Indicem; P. Litta, Famiglie cel. ital., Bentivoglio, tav. III.