ALBANI, Annibale
Nacque in Urbino il 15 ag. 1682, da Orazio, fratello di Clemente XI, e da Maria Bernardina Ondedei-Zonghi. Per volontà dello zio pontefice compì gli studi presso i gesuiti del Collegio Romano, dove conseguì il dottorato in filosofia e teologia; successivamente, il 29 ott. 1703, Si laureò in utroque iure all'università di Urbino. Nello stesso anno venne nominato canonico di S. Pietro, e nel 1704, insignito della carica di maestro di camera, fu inviato a Loreto per incontrarvi F. Pignatelli, arcivescovo di Napoli, reduce dalla nunziatura in Germania, e consegnarli il cappello cardinalizio. Nel 1707 divenne presidente della Camera apostolica.
L'attività diplomatica dell'A. si iniziò durante la guerra di successione spagnola, quando, nel 1709, fu inviato a Vienna come nunzio apostolico, con il compito di difendere i diritti feudali della Santa Sede sul Ducato di Parma e Piacenza e sul Regno di Napoli, nonché di ottenere la restituzione allo Stato pontificio del territorio di Comacchio, occupato l'anno prima dalle truppe imperiali. Il diritto del pontefice a tale restituzione venne formalmente riconosciuto dopo lunghe, laboriose trattative; ma invano Clemente XI ne chiese la esecuzione: le discussioni diplomatiche continuarono ancora e, quando ormai sembravano avviate a conclusione, furono interrotte dalla morte dell'imperatore Giuseppe I.
Nel 1710 l'A. fu a Dresda, dove, tra l'altro, regolò alcune questioni riguardanti la condizione dei cattolici nell'elettorato di Sassonia e la Chiesa polacca e, con l'aiuto del suo teologo e confessore, il gesuita G. B. Salerno, si adoperò per ottenere dal principe ereditario di Sassonia, Federico Augusto (il futuro Augusto III di Polonia), l'abiura dal luteranesimo (che avvenne poi pubblicamente a Bologna nel 1712).
Pur elevato al rango di nunzio straordinario a Colonia, non poté partecipare nel 1711 alla dieta imperiale di Francoforte, per l'ostilità di alcuni principi elettori, che gli procurò più di una umiliazione. Ciò nonostante, l'A. si adoperò per favorire l'elezione dell'arciduca Carlo (Carlo VI): il quale gli dimostrò poi la propria personale gratitudine, ma rinviò ancora la soluzione del problema di Comacchio (il cui territorio non venne abbandonato dalle truppe imperiali che nel 1725).
Tornato a Roma, malgrado l'insuccesso della sua missione diplomatica l'A. venne nominato cardinale diacono del titolo di S. Eustachio (2 marzo 1712), dal quale passò in seguito a quelli di S. Maria in Cosmedin (1716) e, come cardinale prete, di S. Clemente (1722). L'anno stesso della sua elezione al cardinalato fu nominato segretario dei memoriali.
Intorno al 1718 l'A. entrò nel complesso lavorio diplomatico che si svolgeva in quegli anni tra la Santa Sede e la Francia, nell'intento di risolvere il contrasto religioso-politico provocato dalla bolla Unigenitus, mediante una serie di concessioni agli "appellanti", sollecitate dal reggente Filippo d'Orléans e dal suo consigliere e poi ministro G. Dubois.
In tale occasione l'A. ebbe una parte di notevole importanza: nel 1718 accogliendo il gesuita p. Lafiteau, inviato a Roma dalla corte di Francia nell'intento di attenuare i decisi propositi antigiansenisti di Clemente XI, e da allora esplicando un'incessante opera di mediazione in favore della corte francese. In particolare si adoperò, secondando una richiesta del reggente, appoggiata anche da lord Stanhope, per ottenere dallo zio pontefice l'elezione al cardinalato del Dubois. Ma Clemente XI non accedette alle sue pressanti richieste, incerto forse anche per i dubbi che gravavano sulla moralità del Dubois (al quale la porpora cardinalizia venne concessa soltanto nel 1721 dal successore di Clemente, Innocenzo XIII).
Non è facile determinare con esattezza i motivi ispiratori di quest'attività dell'A., d'altronde assai poco nota. È probabile che egli appoggiasse le richieste del ministro francese sperando così di guadagnarlo decisamente alla causa antigiansenista. Il Dubois era inoltre, nella politica internazionale di quegli anni, l'unico sostegno della Santa Sede: e da Vienna il fratello dell'A., Alessandro, sollecitava anch'egli lo zio, nel 1720, a concedere la porpora al ministro francese, in cambio dell'appoggio di questi al congresso di Cambrai. Pare tuttavia accertato che il Dubois pagasse all'A. i suoi servigi: il che non contrasterebbe con l'opinione che dell'A. ebbero molti contemporanei, tra cui il de Brosses, che dette dell'A. un tagliente giudizio.
Del resto, nel quadro della politica antispagnola del Dubois può, forse, considerarsi l'atteggiamento dell'A., negli stessi anni, in occasione della crisi alberoniana: egli prese parte attiva, difatti, nell'istruttoria del processo all'Alberoni e, nell'intento di mostrarne la colpevolezza, intrattenne una fitta corrispondenza con il gesuita p. Daubenton, confessore di Filippo V.
Morto Clemente XI nel 1721, nel successivo conclave l'A., con l'aiuto dei cardinali francesi, fu autore di un tentativo di rapidissima elezione al pontificato del cardinale Paolucci, già segretario di Stato di suo zio. Ma, fallito quel tentativo per il veto opposto dal cardinale Althan, rappresentante austriaco, contribuì notevolmente all'elezione del cardinale Conti, poi Innocenzo XIII. Così pure, forte della sua riconosciuta abilità diplomatica e del prestigio che gli derivava dalla sua carica di carnerlengo (ottenuta nel 1719), ebbe gran parte nei conclavi successivi. In quello del 1730 capeggiò il gruppo dei cardinali "clementini", creati da suo zio, avversi, come gli "zelanti", a una eccessiva acquiescenza della Santa Sede alle pretese giurisdizionaliste dei sovrani, e in particolare ai privilegi che il concordato del 1727 aveva concesso ai Savoia. Questo, probabilmente, determinò il suo dissidio con il fratello Alessandro, che si era invece adoperato per la conclusione di quel concordato. Il dissidio si era tuttavia già sanato al momento del conclave del 1740, nel quale i cardinali fedeli ai Savoia, capeggiati da Alessandro Albani, fecero causa comune con i "vecchi", guidati dall'A. e avversi al gruppo dei cardinali "giovani", raccolti intorno al cardinale Neri Corsini.
Nel 1736 l'A. favorì il riconoscimento da parte della Santa Sede di Augusto III quale re di Polonia, regno di cui egli era protettore. Ma, in tale occasione, si alienò le simpatie di Luigi XV, che si riconciliò con lui, per iniziativa di Benedetto XIV, soltanto nel 1743.
Nel febbraio del 1747 l'A. si dimise dalla carica di camerlengo e di arcicancelliere della Sapienza dopo che venne dato l'annuncio di una riforma, preparata senza la sua partecipazione, dell'organizzazione degli studi all'Archiginnasio romano, volta a limitare i poteri del camerlengo a vantaggio di quelli del rettore. Tale riforma venne poi promulgata da Benedetto XIV con chirografo del 14 ott. 1748.
Cardinale vescovo dal 1730, l'A. resse la diocesi di Sabina fino al 1743, e quella di Porto e S. Rufina, dal 1743 alla morte. Fece parte di numerose Congregazioni, tra le quali, nel 1741, la nuova Congregazione di sorveglianza, istituita nell'ambito di Propaganda Fide per vigilare sull'attività di seminari, collegi e istituti missionari. Nel 1745 iniziò la visita pastorale alla diocesi di Roma. Fu anche protettore degli Ordini dei minimi, certosini e premostratensi.
Mecenate intelligente, abbellì la sua città natale di nuovi monumenti e ne promosse lo sviluppo economico, sforzandosi di riattivare l'industria del vetro. Nel 1725 fondò a Urbino la ricca stamperia della Cappella, dotata anche di caratteri greci; istitui a proprie spese nell'università cittadina una cattedra di lingua greca. Amico di Alessandro Scarlatti, ne fece assumere il figlio Pietro come maestro di cappella nella cattedrale di Urbino.
L'A. morì a Roma il 21 ott. 1751 e fu sepolto a S. Pietro.
Di lui si conosce una Orazione.., detta in Campidoglio per l'Accademia dell'Arti Liberali (Roma 1704). Nel 1724 curò una ristampa delle Omelie di suo zio, e, più tardi, una raccolta delle Constitutiones synodales Sabinae dioecesis... (Urbini 1737), nonché una Collectio Bullarum Sacrosanctae Basilicae Vaticanae, in tre volumi (Romae 1747-52). Sotto il suo nome l'editore Giuseppe Assemani pubblicò il testo greco e la secentesca versione latina dell'Arcudio del Menologium Graecorum iussu Basilii imperatoris Graece olim editum etc... (Urbini 1727).
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