DROSTE-HÜLSHOFF, Annette (Anna Elisabeth) baronessa von
Poetessa tedesca, nata nel castello di Hülshoff il 10 gennaio 1797, morta il 24 maggio 1848. Fra il castello avito presso Münster e, dal 1826, il Rüschaus, fattoria signorile fra Wallecken e Ackerkämpfen, e, infine, quando si manifestò la malattia che doveva condurla alla morte, il castello di Meersburg sul lago di Costanza, trascorse, assistita da pochi amici - il cognato Lassberg, germanista e bibliofilo, il filosofo Schlüter, il poeta Junkman - un'esistenza solitaria e meditativa, nella quale alcuni viaggi a Colonia e a Bonn, una giovanile vicenda d'amore, e, più tardi, l'attaccamento, fra l'innamorato e il materno, per L. Schücking, tristemente conchiuso in una rottura dopo che lo Schücking si sposò, furono i grandi avvenimenti. Ma di rado il fascino della natura e della solitudine ha saturato di sé un'anima e riempito così un'esistenza, come avvenne alla D. davanti alla deserta landa rossa d'eriche e alle paludi acquitrinose della sua Vestfalia.
La poesia dei suoi Heidebilder, morbida e ricca di colore, netta nel segno e minuta, è al tempo stesso avvolta in un'atmosfera pesante e misteriosa. Vi è come un traboccamento di sensazioni immediate, percepite, pur nella loro natura composita, unitariamente. La tensione della sensibilità è tale che, attraverso le notazioni realistiche, la poesia giunge a sviluppi di visionaria, quasi allucinata potenza (Der Knabe im Moor, ecc.). Il diretto rapporto dell'individuo con Dio, che domina tanta poesia post-romantica giù fino al simbolismo della fine del secolo, è attuato in una forma ingenua e semplice, percepito senz'altro come realtà presente. E, in quella sua pienezza di abbandono, dà impressione come di una liberazione, quando si confrontino i Heidebilder con le poesie scaturite da quella che è l'altra grande sorgente dell'ispirazione della D., il sentimento religioso. Cattolica convinta, ma moralmente preoccupata, la D. trae dalle proprie inquietudini di coscienza, specialmente nel Geistliches Jahr - ciclo di poesie religiose per tutte le feste dell'anno - una poesia stranamente scarna, che ha fatto ricordare a qualche critico la sentenza di Ibsen, secondo cui "poetare è tenere giudizio sopra sé medesimi".
Talune fra le liriche - in altre la programmaticità della composizione si lascia troppo chiaramente avvertire - raggiungono, nella linearità dello sviluppo e nello squallore della visione, una medievale implacabilità da Dies irae (Der letzte Tag des Jahres). La solitudine, in cui affondò l'esistenza della D., si sente in queste poesie, nel mancato abbandono alla vita, che guidò la D. in profondità, ma verso un mondo a cui l'eco delle bellezze della terra non può più giungere. E dalla stessa considerazione si spiega anche il carattere della sua poesia narrativa, nella quale l'arte della D. trova la sua efficacia precisamente per quell'intuito semplificatore che è proprio di coloro i quali, vivendo in disparte dal mondo, conservano intatto il senso delle essenzialità della vita. Le figure dei personaggi ne risultano individuate con forza, nei tratti salienti della loro natura; e in modo inconfondibile, ma senza interni svolgimenti. Lo svolgimento è un contorno d'idillio come quello che circonda e potenzia la drammatica vicenda della Judenbuche. Oppure è uno svolgimento lirico, in cui il senso dell'unità degli uomini e delle cose nel comune indefinibile mistero esplica in sé direttamente le vicende dell'azione, come nelle tetre impressionanti ballate (Die Schlacht von Loener Bruch, Der Geierpfiff, ecc.) e nei poemetti (Des Arztes Vermächtnis, ecc.). La veemente immediatezza dell'emozione e l'intensità dell'evocazione costituiscono la loro forza.
Natura compatta, refrattaria e, per così dire, autoctona, la D. resta nella storia della poesia tedesca del secolo in una sua posizione appartata, come fu nella vita. I legami che la congiungono alla poesia che la precede e a quella che la segue esistono e sono anche numerosi, ma sono tutti parziali, collaterali: non giungono alla sostanza della sua opera. Persino il suo linguaggio è intensamente personale: fuori di ogni convenzionalità di gusto e di ogni letteratura. La sua opera, quando non giunge alla poesia, è informe, persino scorretta, sgrammaticata. Ma quando la sua ispirazione riesce a chiarirsi, la sua poesia ha una sua vergine forza, quasi di natura, che fa di lei la poetessa più grande che la Germania abbia avuto.
Opere: Dichtungen, 1838; Die Judenbuche, 1842; Gedicńte, 1844; Das Geistliches Jahr, 1852; Letzte Gaben, 1860. La maggior parte delle lettere è raccolta in Sämmtliche Briefe, ed. H. Cardauns, Lipsia 1909: da completarsi con un gruppo di lettere edite da M. Schneider, Stoccarda 1923. Del Geistliches Jahr è stata fatta da F. Jostes un'edizione critica, Berlino 1920. E un'edizione critica della Judenbuche è stata curata da K. Schulte-Kemminghausen, Berlino 1926. L'ed. delle opere, criticamente migliore, è quella curata da K. Schulte-Kemminghausen, insieme con B. Badt e K. Pinthus, Monaco 1925.
Bibl.: L. Schücking, A. v. D. H., ein Lebensbild, 2ª ed., Hannover 1871: H. Hüffer, A. v. D. H. und ihre Werke, 3ª ed., Gotha 1911; W. v. Scholz, A. v. D. H. als Westfälische Dichterin, 2ª ed., Stoccarda 1923; C. Busse, A. v. D. H., 3ª ed., Bielefeld 1923; E. Behrens, A. v. D. H., Parigi 1913; M. Schilling, A. v. D. H., Lipsia 1920. Fra le indagini particolari cfr. I. Werle, Der Gotteskampf der D., Magonza 1925; A. Weldemann, Die religiöse Lyrik d. d. Katholizismus, in der ersten Hälfte der 19. Jhs. unter besonderer Berücksichtigung der D. H., Lipsia 1911; G. P. Pfeiffer, Die Lyrik der D. H., Berlino 1914; B. Badt, A. v. D. H., ihre dichterische Entwicklung und ihre Beziehung zur engl. Literatur, Breslavia 1909; F. Heitmann, A. v. D. H. als Erzälerin, Münster 1914; L. Bianchi, Novelle und Ballade in Deutschland, 2ª ed., Lipsia 1924.