MORMILE, Annecchino e Francesco
– Nobili napoletani vissuti negli ultimi decenni del Trecento e nei primi del secolo seguente.
La famiglia era ascritta al sedile cittadino di Portanova – possedeva le sue case, infatti, nei pressi della Loggia di Genova – e il padre Andrillo, morto verosimilmente nel 1393, fu nominato castellano di Tramonti nel 1382 e di Castelnuovo nel 1388. Oltre ad Annecchino e Francesco, ebbe altri tre figli: Leonardo, Enrico e Maddalena.
Annecchino ereditò dal padre il feudo di Frignano in Terra di Lavoro e, tra il 1416 e il 1417, venne in possesso anche del casale di Giffoni e di quello di Marigliano, ottenuto per acquisto dalla corte regia. Su di lui si trova una serie di attestazioni nella documentazione dell’epoca: nel 1389 ricevette in dono dal re Ladislao le entrate della gabella della piazza di San Giovanni in Napoli; nel 1392 risulta capitano di una galea regia e l'anno successivo responsabile della vendita del sale negli Abruzzi. Fu capitano della città dell'Aquila per il 1402 e nel 1417 ottenne dalla regina Giovanna II d'Angiò l'incarico di maggior rilievo di rettore dell'ufficio del gran camerario del Regno di Sicilia. Ebbe due figli, Giacomo legittimo e Antonio naturale.
Svolse un ruolo di spicco nella vita politica del Regno allorché, il 13 settembre 1416, insieme con il nobile concittadino Ottino Caracciolo e con il favore del popolo, liberò la regina dalle mani del marito Giacomo della Marca e la condusse al sicuro nel palazzo arcivescovile. Nel 1417, tuttavia, fu imprigionato da Sergianni Caracciolo, favorito di Giovanna, e sottoposto a tortura. Fu liberato solo alcuni mesi dopo, grazie all'interessamento di Muzio Attendolo Sforza, alleato di suo fratello Francesco. Nel 1420 la regina gli impose di lasciare per sempre la capitale, quale manifesto ribelle. Dopo questa data non si hanno più attestazioni che lo riguardino.
Il fratello minore Francesco nel 1409 fu nominato dal re Ladislao di Durazzo capitano per dieci anni di Castellabate nella provincia di Principato citra, a seguito di un prestito fatto alla corte di 6000 ducati d'oro; quindi nel 1414 acquistò dallo stesso re la terra di Eboli in Cilento per 14.000 ducati e l'anno seguente quella confinante di Campagna da Giovanna II, per 5000 ducati. Nel 1417 subì la confisca dei beni quale ribelle, essendosi opposto a Sergianni Caracciolo. Si rifugiò nel castello di Eboli e resistette all'assedio delle truppe inviate contro di lui. Ottenuto l'indulto nel 1418, si accordò poi nello stesso anno, ad Acerra, con Muzio Attendolo Sforza e tentò insieme con lui di liberare la capitale. Sembrò in un primo momento avere successo, giacché entrò in città dalla porta del Carmine e occupò la piazza del Mercato, mentre gli sforzeschi giungevano fino a Castelnuovo; ma alla fine prevalsero le forze angioine. Mormile dovette affrontare un secondo assedio di Eboli nel 1425, ma respinse di nuovo gli aggressori e non cedette che nel 1427, costretto dalle milizie di Antonio Caldora.
Il tenace conflitto con Caracciolo non gli impedì di partecipare validamente nel 1423 alla difesa di Napoli contro Alfonso V d'Aragona. In quell'occasione sconfisse una compagnia catalana, ma dovette ritirarsi all'arrivo di altre soldatesche, guidate dal fratello del re, Pietro d'Aragona.
Sposò nel 1416 Giovannella d'Alagona, figlia di Artale conte di Malta, ricevendo una dote di 1200 ducati. Dal matrimonio nacquero sei figli: Ladislao, Giovanni Luigi, Lucrezia, Adriana, Pentella e Emilia (l'ultima andò in sposa, nel 1427, a Luigi Gesualdo con una dote di 3000 ducati).
Morì probabilmente nel novembre 1432.
Fonti e Bibl.: S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1651 (rist. anast., Bologna 1973), pp. 320-323; P.C. Decembrio, Vita Francisci Sfortiae, in Rerum Italicarum Scriptores, tomo XX, Bologna 1731, pp. 519, 543; B. Candida-Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d'Italia, VI, Napoli 1882, p. 120; N.F. Faraglia, Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 67-69, 78 s., 102, 112-115, 132, 164, 242 s., 252, 323, 326; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, II, Milano 1937, p. 309.