ANNALI MASSIMI (lat. Annales Maximi)
Portava questo nome la grande raccolta di notizie annalistiche desunte dagli archivî del pontefice massimo, che venne pubblicata non molto prima dell'età di Cicerone; e poiché da Cicerone appunto sappiamo che gli Annali massimi giungevano sino al pontificato di Publio Muzio Scevola (che s'iniziò nel 131-30 a. C. e terminò tra il 123 e il 114), è ritenuto comunemente, e con ragione, che questo pontefice sia stato appunto l'editore degli Annali massimi. Questi annali, che erano in 80 libri, prendevano il nome secondo gli antichi dai pontefici massimi che ne erano stati i redattori. Secondo i più dei moderni si chiamavano così per la loro compiutezza e pel carattere ufficiale che li rendeva, in certo modo, i più importanti tra gli annali. Noi ne abbiamo scarsissimi frammenti, tra i quali anche più scarsi sono quelli la cui provenienza dagli Annali massimi è superiore ad ogni dubbio. In compenso, se non è certo che gli annalisti dell'età sillana e attraverso ad essi Livio e Dionisio abbiano largamente attinto alla compilazione di Scevola per la storia romana antichissima, è però fuori di dubbio che essi, come anche la più antica annalistica, dipendono in larga misura da quei documenti degli archivî pontificali, che furono più tardi raccolti negli Annali massimi. È detto esplicitamente dagli antichi che la materia degli Annali massimi era desunta dalle tabulae dealbatae che ogni anno il pontefice massimo esponeva nella Regia, inscrivendovi i nomi dei magistrati e gli avvenimenti che gli sembravano più importanti, quali (come riferisce Catone il vecchio al cui tempo l'uso di esporre quelle tavole, poi abolito da Publio Scevola, durava tuttora) carestie od eclissi. Dei moderni, taluni ritengono che l'archivio storico dei pontefici constasse appunto di queste vecchie tavole e che gli Annali massimi non siano se non la trascrizione di esse con qualche interpolazione e più o meno copiose aggiunte, per risalire dalla età in cui le registrazioni delle tavole dealbate si tenevano effettivamente fino alle origini romane: così ad esempio di recente il Beloch. Altri, sulle tracce di L. Cantarelli, ritengono, più verisimilmente, che le tavole contenessero un piccolo estratto delle registrazioni pontificali ad uso del pubblico; e che gli Annali massimi contenessero invece, e ciò spiegherebbe appunto la loro mole, la trascrizione di quelle annotazioni e di quei protocolli pontificali, che sarebbero stati solo in parte riassunti nelle tavole. Nella prima ipotesi l'inizio dell'esposizione delle tavole dealbate coincide con l'inizio delle registrazioni autentiche dei pontefici; nella seconda quell'inizio, che si fissa variamente dai critici circa il 250 o circa il 300 a. C., non avrebbe nulla a vedere con l'inizio delle stesse registrazioni pontificali. Il quale sembra sia da ritenere di almeno un secolo anteriore all'esposizione delle tavole dealbate; perché dalla caduta di Veio la storia tradizionale di Roma sembra nelle sue linee generali autentica, sicché il nucleo attorno al quale la tradizione si è, per così dire, cristallizzata non poteva essere costituito se non dalle autentiche registrazioni dei pontefici.
Fonti: Le testimonianze antiche, quella dello scoliasta Danielino all'Eneide, I, 373, quella di Festo, p. 126 M e quella di Cicerone, De or., II, 12, 52 sono state infinite volte commentate dai moderni e messe variamente in relazione con la testimonianza di Catone presso Gellio, Noct. Att., II, 28, 6 sulle tabulae dealbatae.
Bibl.: Vedi per un orientamento generale, M. Schanz e C. Hosius, Geschichte der röm. Litteratur, I, 4ª ed., Monaco 1927, § 14 (ivi anche amplissima bibliografia); A. Rosenberg, Einleitung und Quellenkunde zur röm. Geschichte, Berlino 1921, p. 113 seg.; H. Peter, Historicorum Romanorum reliquiae, Lipsia 1914, I, 2ª ed., prol., ¿ 1 segg., p. 2 seg.; id., Historicorum Rom. fragmenta, Lipsia 1883, p. 3 seg.; O. Seeck, Die Kalendertafel der Pontifices, Berlino 1885; L. Cantarelli, Origine degli Annales Maximi, in Rivista di filologia, XXIV (1896), p. 208 segg., ripubblicato, in Studi romani e bizantini, Roma 1915, p. 145 segg.; Cichorius, in Pauly-Wissowa, Real-Ecycl., I, s. v.; E. Kornemann, Der Priestercodex in der Regia, Tubinga 1912. Può essere interessante vedere come gli storici più recenti di Roma abbiano preso variamente posizione rispetto a questo problema fondamentale per valutare la tradizione pervenutaci intorno alla storia romana più antica: E. Pais, Storia critica di Roma, I, i, Roma 1913, p. 52 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 16 segg.; J. Beloch, Röm. Geschichte, Berlino 1926, p. 86 segg.