Animal Studies
Alla metà degli anni Ottanta ha preso avvio in Europa e negli Stati Uniti un nuovo progetto disciplinare, definito in modo generico come Animal studies, che si è posto come obiettivo di ricerca l’interazione uomo-animale, in tutte le sue componenti e, in particolare, nel valore assunto sotto il profilo antropologico. Già nella definizione, tali studi si caratterizzano per l’approccio multidisciplinare, spaziando dall’ambito filosofico, soprattutto in riferimento alle problematiche etiche del rapporto con le altre specie, agli aspetti riconducibili alle scienze umane e naturali. Lo sviluppo degli A. s. rappresenta un evento significativo nel panorama di analisi del rapporto uomo-animale, inserendosi a pieno titolo in quella marcia di avvicinamento verso l’alterità animale inaugurata dall’evoluzionismo darwiniano e proseguita dalla ricerca delle scienze comportamentali e cognitive e dalla bioetica animale.
A partire dagli anni Settanta, anche in relazione a un accresciuto bisogno di trovare una spiegazione alle valenze beneficiali del rapporto con le altre specie – in particolar modo nell’ambito educativo e assistenziale (pet therapy) –, si è cercato di analizzarne i differenti piani di relazione: 1) quello psicologico, che vede l’animale non umano come stimolo o come sostituto di un legame affettivo; 2) quello antropologico, che riprende il concetto levistraussiano di ‘animale buono da pensare’, ovvero oggetto utile ai processi di simbolizzazione e di categorizzazione del reale; 3) quello etologico, che considera da una parte le propensioni umane a interagire e a orientarsi verso le altre specie, dall’altra i piani di rapporto transpecifico, in particolare tra i mammiferi.
Parallelamente è emersa l’urgenza di inserire all’interno della discussione quell’insieme di riflessioni di bioetica animale che, a partire dalla metà degli anni Settanta, ha messo sotto critica l’approccio antropocentrico di utilizzo strumentale o zootecnico dell’animale. Due, in particolare, gli autori che in questo periodo hanno configurato, partendo da prospettive filosofiche differenti, proposte di superamento dello specismo: la visione utilitarista di Peter Singer (n. 1946) e quella giusnaturalista di Tom Regan (n. 1938).
Nel corso dell’ultimo ventennio del Novecento all’interno degli A. s. sono emerse due discipline più incentrate sui caratteri descrittivi ed esplicativi – rispetto al connotato precipuamente prescrittivo della bioetica animale – del rapporto uomo-animale: 1) l’antrozoologia, di matrice anglosassone, con un taglio di tipo transdisciplinare; 2) la zooantropologia, che si è sviluppata soprattutto in Italia e in Francia, con una maggiore attenzione epistemologica rispetto al carattere peculiare del rapporto con l’alterità animale.
L’antrozoologia si avvale prima di tutto della ricerca etologica e antropologica, con l’obiettivo, da una parte, di descrivere le caratteristiche del rapporto uomo-animale, dall’altra, di studiarne le potenzialità applicative. Le ipotesi che sono state avanzate per spiegare questo bisogno dell’eterospecifico sono diverse: vi è l’ipotesi della ‘biofilia’ (Wilson 1984), come peculiarità innata della nostra specie che sarebbe in un certo qual modo affascinata dalle forme viventi; vi è l’ipotesi nota come ‘inganno parentale’ (Serpell 1986), un inganno ordito evoluzionisticamente dagli animali domestici che sarebbero divenuti parassiti dell’uomo in fatto di cure parentali; vi è l’ipotesi ‘culturale’ (Digard 1990) di un interesse verso l’animale come espressione dell’apertura del sistema uomo.
Il debito verso l’etologia e l’antropologia è evidente non solo in alcuni assunti di base e metodologie esplicative del rapporto uomo-animale, ma altresì nelle due scuole di pensiero che comunque caratterizzano la ricerca antrozoologica: la prima, più portata a tradurre il rapporto uomo-animale nell’espressione culturale dell’essere uomo, ascrivibile alla tradizione antropologica e riferibile a studiosi come Jean-Pierre Digard (n. 1942); la seconda, interessata a studiare le caratteristiche biologiche dell’uomo che hanno reso possibile o facilitato l’adozione interspecifica e quindi il processo di domesticazione, ascrivibile alla tradizione etologica e riferibile a studiosi come James Serpell (n. 1952). In effetti, un altro modo per interpretare il rapporto uomo-animale può essere quello di considerarlo: a) un bisogno specifico dell’uomo, b) un epifenomeno delle caratteristiche dell’uomo, c) una surrogazione di altri bisogni specifici.
Come si vedrà, sia nell’approccio antropologico sia in quello etologico, queste tre posizioni sono ampiamente rappresentate e non è raro che pensatori delle due impostazioni trovino punti di contatto sul ruolo e fondamento che attribuiscono al rapporto uomo-animale. In genere si può dire che gli A. s. hanno un debito non indifferente verso la ricerca antropologica. Anche la ricerca etologica, che ha sicuramente in Konrad Lorenz uno dei padri fondatori, si è interessata delle relazioni interspecifiche con particolare attenzione al rapporto uomo-animale.
Nello specifico la ricerca sull’imprinting ha offerto a Lorenz la possibilità di analizzare strutture morfologiche e comportamentali in grado di saltare la barriera della specie e di essere attive in modo transpecifico, perché al di sotto della specificità è rinvenibile un sostrato comune di segnali che possono essere più o meno decrittati al di là della barriera di specie. Uno di questi segnali universali è la biosemiotica giovanile, un catalogo di caratteristiche morfologiche – la rotondità del cranio, la prominenza del frontale, la maggiore voluminosità degli occhi – e comportamentali – il procedere impacciato e a scatti, il rivoltarsi sul dorso, il reper torio ludico – che sono in grado di evocare, oltre il confine della specie, atteggiamenti di cura e accudimento.
Seguendo questa matrice l’etologo Serpell ha maturato una teoria suggestiva circa il legame che si viene a instaurare tra l’uomo e l’animale accreditato dal processo di domesticazione. Partendo dal fatto incontestabile del-l’adozione interspecifica presente nell’uomo e dalla tendenza a declinare il rapporto con l’animale domestico su un registro parentale, Serpell si spinge a leggere il processo di domesticazione come una sorta di parassitismo.
Di diverso avviso la naturalista Juliet Clutton-Brock (n. 1933) per la quale il processo di domesticazione è l’esito di una concomitanza di fattori preparati nel Paleolitico – quando l’uomo cacciatore e raccoglitore aveva una frequentazione assidua con il mondo animale e parallelamente gli animali avevano una distanza di fuga inferiore –, ma consacrati dalla rivoluzione del Neolitico con la piena presa di possesso del territorio. Secondo Clutton-Brock il ruolo dell’uomo nella domesticazione è assolutamente preminente, seppur capace di aprire la strada al partenariato. Anche altri studiosi, come, per es., Paul Shepard (1925-1996), sottolineano l’importanza della relazione venatoria come motore del successivo processo di domesticazione. Il confronto con l’animale è soprattutto interpretato nelle dimensioni dello scacco, della competizione per le risorse, nel bisogno di procurarsi carne.
Un altro filone interpretativo parte invece dalla considerazione che l’animale sia per l’uomo qualcosa di speciale, di assolutamente prioritario nella valutazione della realtà esterna. Uno dei primi a esaminare questa pulsione incondizionata verso il teriomorfo è stato l’entomologo Edward O. Wilson (n. 1929), padre della sociobiologia, per il quale si deve parlare nell’uomo di una specifica ‘biofilia’ intesa come pulsione motivazionale verso il mondo animale.
La zooantropologia è una disciplina che studia la relazione intersoggettiva tra l’essere umano e le altre specie nelle diverse dimensioni d’incontro e nel valore referenziale che ne può scaturire. Nasce intorno agli anni Novanta grazie alle ricerche in Francia di Hubert Montagner sul valore educativo dell’incontro tra bambino e animale e alle ricerche di chi scrive sul significato ibridativo della relazione tra l’essere umano e l’eterospecifico nella costruzione dei predicati umani (Despret 2002; Lestel 2004; Martinelli 2010). La differenza fondamentale tra zooantropologia e altre aree di ricerca sul rapporto uomo-animale è costituita dal rifiuto di un approccio multidisciplinare e dalla costruzione di una propria struttura epistemologica basata su alcuni fondamenti: 1) la lettura dell’eterospecifico come alterità ovvero come entità che nella diversità è comunque dotata di soggettività; 2) il concetto di relazione dialogica tra l’essere umano e l’eterospecifico; 3) l’ammissione di una molteplicità di piani d’incontro con l’alterità animale e quindi il rifiuto di un unico piano di causalità; 4) l’idea che la relazione con l’eterospecifico metta a disposizione dei contributi di cambiamento per l’essere umano ovvero la presenza di una ‘referenza animale’; 5) l’ipotesi che l’incontro con l’eterospecifico possa assumere non solo un aspetto fenomenico ma possa essere un’epifania ovvero un’ispirazione per l’essere umano; 6) l’ammissione che i predicati umani di origine culturale vadano considerati come frutti ibridi con l’eterospecifico e non come esiti emanativi dell’uomo.
La zooantropologia è spesso difficile da comprendere e da accettare perché va contro alcune cornici di pensiero molto consolidate. Vediamone alcune: a) che l’essere umano non possa dialogare che con sé stesso, nel senso d’interscambiare dei contenuti o di meticciarsi con eterospecifici; b) che la cultura sia il frutto creativo e autarchico dell’essere umano, che in ultima analisi sarebbe autonomo e autoreferenziale nella sua formazione e realizzazione identitaria; c) che il rapporto con l’eterospecifico debba essere spiegato individuando delle coordinate causali di ordine funzionale-strumentale, del tipo ‘serve a’, ‘animale da’, ‘è funzionale per’; d) che il punto di analisi debba essere situato solo sui due termini del rapporto (essere umano ed eterospecifico) nelle loro caratteristiche intrinseche; e) che l’eterospecifico non abbia un ruolo sociale suo/specifico nella società umana, ma vi entri come surrogato di un altro umano assente o come feticcio compensativo di un bisogno non assolto, ossia come approssimazione all’uomo.
Se consideriamo il filo rosso che tiene unite queste affermazioni ci rendiamo immediatamente conto che si tratta dello svuotamento del significato relazionale del non-umano in un’idea antropocentrica della relazione dialogica (l’uomo dialoga solo con il suo prossimo umano) e autarchica del suo costituirsi identitario (l’uomo impara solo dal suo prossimo umano), e di conseguenza in una negazione di ruolo relazionale e sociale dell’eterospecifico. Al non-umano sono riservati ruoli e compiti non propriamente relazionali (in senso cioè dialogico-transazionale) ma performativi, stimolativi, interattivi o compensativi.
La zooantropologia va contro queste affermazioni perché: a) ammette un vero e proprio dialogo tra umano e non-umano; b) ritiene che l’essere umano abbia costruito gran parte dei propri predicati attraverso la referenza eterospecifica; c) sostiene che la relazione sia multidimensionale perché svariate possono essere le cause implementative e gli assetti assunti dalla relazione; d) sottolinea che la multidimensionalità richiede che si pongano in analisi non solo i due termini del rapporto, ma anche il tipo di legame che li unisce ossia la configurazione singolare della relazione; e) ha come assunzione cardine il fatto che l’eterospecifico abbia un ruolo suo, peculiare proprio in virtù del suo essere non-umano, nella società umana. Va in questa direzione la ‘teoria della zootropia’ (Marchesini 2014) che considera la relazione un evento autoimplementativo e ricorsivo, ove non è possibile considerare l’umano come entità pura che si rapporta, senza mescolarsi, con l’eterospecifico bensì: 1) come entità che nel suo emergere come umano ha già introiettato l’eterospecifico; 2) come entità che in ogni relazione con l’eterospecifico modifica il suo stato ontologico.
In particolare la zooantropologia pone in evidenza due entità/eventi che trasformano il modo di concepire la dialettica interattiva tra l’essere umano e le altre specie: a) il concetto di relazione, quale reciprocazione di contenuti e transazione evolutiva, che quindi va indagata come entità a sé nel suo configurarsi ovvero nell’assumere specifici connotati; b) il concetto di referenza, inteso come contributo evolutivo che la relazione mette a disposizione dei dialoganti specificando alcune coordinate di sviluppo espressivo e ontogenetico. Per la zooantropologia la relazione è prima di tutto ‘cosa unisce i dialoganti’ ossia quel milieu capace di trascendere l’identità dei soggetti di relazione.
Il concetto di referenza sta al centro della ricerca zooantropologica e quindi richiede una definizione sintetica a differenziarlo da quelli di utilizzo performativo (l’animale come produttore di prestazione) o di entità sostitutiva (l’animale compensativo, surrogativo, vicariante). La referenza può essere ricondotta, ovviamente semplificando, a un ‘contributo di cambiamento’ che la relazione mette a disposizione dei dialoganti, in misura differente in ciascuno a seconda delle capacità di introiettare tale contributo da parte del singolo. Una referenza può essere: un modello o un’esemplarità che facilita una risposta, uno scacco o un problema che sollecita una risposta, un campo espressivo che esercita in modo differenziale alcuni aspetti del sé potenziandoli, un orientamento o un indirizzo evolutivo che viene offerto come percorso di crescita. Infine, per la zooantropologia la cultura è l’esempio più rilevante di vicinanza tra l’uomo e le altre specie, essendo il frutto dell’ispirazione che l’uomo riceve incontrando l’eterospecifico.
K. Lorenz, Vergleichende Verhaltensforschung. Grunlagen der Ethologie, Wien-New York 1978 (trad. it. L’etologia. Fondamenti e metodi, Torino 1980); E.O. Wilson, Biophilia, London 1984 (trad. it. Milano 1985); J. Serpell, In the company of animals, Oxford 1986; J. Clutton-Brock, A natural history of domesticated mammals, Cambridge (Mass.)-London 1987 (trad. it. Torino 2001); J.-P. Digard, L’homme et les animaux domestiques. Anthropologie d’une passion, Paris 1990; H. Montagner, L’enfant, l’animal et l’école, Paris 1995 (trad. it. Bologna 2001); P. Shepard, The others. How animals made us human, Washington 1996; V. Despret, Quand le loup habitera avec l’agneau, Paris 2002 (trad. it. Milano 2004); D. Lestel, L’animal singulier, Paris 2004; D. Martinelli, A critical companion to zoosemiotics. People, paths, ideas, London-New York 2010; S. Tonutti, Zooantropologia. Gli animali nelle culture umane, in Trattato di biodiritto, a cura di L. Lombardi Vallauri, S. Castignone, Roma 2012, pp. 21-46; R. Marchesini, Fondamenti di zooantropologia, 1° vol., Zooantropologia teorica, Bologna 2014.