ANGOLO (dal lat. angulus)
Geometria (fr. angle; sp. ángulo; ted. Winkel; ingl. angle). - 1. Euclide (I, Def., 8, 9) definisce come angolo piano "l'inclinazione reciproca di due linee che non sono per diritto", e in particolare l'angolo rettilineo formato da due linee rette. Ma questa definizione ha sollevato critiche fino dall'antichità, anche limitatamente al caso dell'angolo rettilineo. Che due linee rette con un estremo comune diano luogo alla considerazione di una grandezza dipendente dalla loro posizione reciproca, e non dalla lunghezza delle linee stesse, sembra sia stato riconosciuto dai geometri greci, da Talete ai primi Pitagorici, attraverso le proprietà dei triangoli simili. E l'uso di angoli curvilinei ricorre già in una dimostrazione dell'eguaglianza degli angoli alla base del triangolo isoscele, riferita da Aristotele.
Apollonio (circa 225 a. C.) ed Erone (circa 100 a. C.) definiscono l'angolo come "contrazione di una superficie o d'un solido in un punto, rispetto ad una linea o a una superficie spezzata". Qui si può vedere adombrato il nuovo concetto dell'angolo, che Gerberto d'Aurillac (papa Silvestro II) definì come spatium, quod sub duabus lineis se invicem tangentibus continetur. Più chiaramente il concetto è espresso in A. Arnaud (Éléments de Géométrie, 1667) e in L. Bertrand (Développement nouveau de la partie élémentaire des mathematiques, Ginevra 1778, II, p. 6): "un angle est une portion de superfice plane contenue entre deux lignes droites qui se coupent et sont terminées à leur point de section".
Questa definizione, adottata da Lacroix, Baltzer ecc., si mantiene fino ai nostri giorni, accanto ad un'altra proposta dal Möbius, che si riattacca a W. Schmid (1539), secondo la quale l'angolo è la grandezza di una rotazione. Ma, sotto l'influenza della moderna geometria proiettiva, in cui s'introduce la considerazione dei fasci di raggi e di piani, le due definizioni, in qualche modo, si unificano: l'angolo non è più veduto come "parte di piano" bensì come "parte del fascio di raggi" a cui appartiene. Questo concetto è stato introdotto nella geometria elementare da G. Veronese.
2. L'angolo di due linee non rette si misura in generale dall'angolo delle tangenti. Ciò porta a ritenere come nullo l'angolo formato da una linea con la sua tangente, a cui Giordano Nemorario (1220) ha dato il nome di angolo di contingenza. Ma, a tale proposito, agl'inizî dell'età moderna si è accesa una grossa questione, probabilmente già discussa fra gli antichi.
La proposizione III, 6 d'Euclide viene a dire che l'angolo di contatto della circonferenza con la tangente è minore di qualunque angolo rettilineo. Il commento esitante di Proclo sulla definizione 8 viene interpretato di solito nel senso che il detto angolo di contingenza sia nullo. Però Campano (sec. XIII) già osservava che esso si può dividere in parti e perciò possiede gli attributi d'una grandezza. Peletier (1557) confutò tale veduta sostenendo che un più piccolo (cioè un infinitamente piccolo) fra le grandezze continue è extra intelligentiam. Ma a sua volta venne combattuto da Candalla (1566), da Cardano e da Clavio.
Il dibattito verteva infine sulla possibilità dell'infinitesimo attuale, e acquistò perciò una notevole importanza nelle origini dell'analisi infinitesimale. Vi interloquirono Vieta (1593) e Galileo (1635), e poi Wallis. Ma soltanto Newton trovò nelle osservazioni di Cardano e di Clavio il nodo del problema, riconoscendo che la misura dell'angolo di contatto mette in giuoco, non più le direzioni delle tangenti (prime derivate), bensì le curvature (seconde derivate).
Con ciò la polemica era chiusa nel sec. XVIII, mentre l'analisi infinitesimale si andava costituendo con l'eliminazione del concetto dell'infinitesimo attuale. Soltanto nel sec. XIX si riaffacciò l'idea che questo infinitesimo (pur non necessario agli sviluppi del calcolo infinitesimale) non sia assurdo in sé. G. Cantor ne ha riconosciuto la possibilità logica nella teoria degl'insiemi, P. Du Bois Reymond nello studio degli ordini d'infinito delle funzioni. Quindi G. Veronese (nel 1900) spiegava gli angoli di contatto come grandezze appartenenti a un sistema non archimedeo, cioè ad una geometria in cui più non valga il postulato di Eudosso-Archimede per cui "date due grandezze esiste sempre un multiplo della più piccola, maggiore dell'altra". Ulteriori sviluppi sui numeri non archimedei e sulla corrispondente geometria sono stati dati da T. Levi-Civita e poi da D. Hilbert e dalla sua scuola.
3. Una qualsiasi figura può essere dilatata o contratta in un certo rapporto, dando luogo a una figura simile, dove gli angoli sono conservati. In altre parole la similitudine fra due figure piane è una corrispondenza biunivoca (punto a punto e retta a retta) che conserva gli angoli. Questa proprietà è, in un certo senso, caratteristica della similitudine, quando però si estenda la corrispondenza a tutte le rette che congiungono i punti omologhi delle due figure. Per es., due rettangoli riescono simili se non solo i loro lati, ma anche le rispettive diagonali formano angoli eguali. Più precisamente, nella geometria proiettiva si enuncia che "la corrispondenza biunivoca fra due piani, in cui ad ogni punto corrisponde un punto, a punti in linea retta punti in linea retta e a ogni angolo retto un angolo retto, è una similitudine (ove il rapporto di due segmenti omologhi è sempre costante)".
Ma si possono considerare, nel piano, corrispondenze o trasformazioni più generali, che conservano la grandezza degli angoli curvilinei, ma mutano in generale rette in curve. Anzi il problema della cosiddetta rappresentazione conforme di una regione piana su di un'altra (stabilire fra le due regioni una trasformazione che conservi gli angoli) deve ritenersi risolubile in generale, per le aree semplicemente connesse, qualunque sia la forma della linea che ne porge il contorno (principio di Dirichlet).
Così le rappresentazioni conformi vengono a dipendere da una funzione arbitraria; e il nesso viene chiarito nella teoria delle funzioni di variabile complessa. Anche nello spazio si possono considerare trasformazioni conformi più generali delle similitudini; ma queste si riducono solo alle trasformazioni (per raggi vettori reciproci) che mutano sfere in sfere.
4. Gli angoli si misurano mediante i corrispondenti archi del circolo di raggio uno che ha il centro nel vertice: il cerchio viene diviso in 360 gradi, ogni grado in 60 minuti, ogni minuto in 60 secondi. L'angolo retto è di 90°, gli angoli acuti e ottusi rispettivamente minori e maggiori di 90°.
5. La misura degli angoli ha speciale importanza nella geodesia e nell'astronomia, soprattutto in vista di due operazioni fondamentali: misurare la distanza d'un punto inaccessibile P, essendo data una base AB e gli angoli che i raggi visuali AP e BP formano con questa (triangolazione); e stimare mediante il diametro apparente la grandezza d'un corpo sferico posto a una nota distanza dall'osservatore.
Gli angoli che più frequentemente occorre considerare in astronomia sono i seguenti:
a) angolo orario, che è l'angolo fra il semicircolo orario passante per una stella e il semicircolo meridiano del luogo d'osservazione contenente il punto sud, misurato, quest'angolo, verso ovest e variabile da 0° a 360°, o, in tempo, da 0 a 24 ore. È una delle due coordinate del secondo sistema sferico celeste: i semicircoli orarî sono i luoghi di angolo orario costante (v. astronomia sferica);
b) angolo di posizione, che è l'angolo compreso fra il circolo orario e il circolo massimo perpendicolare all'eclittica passanti per una stella e avente il vertice nella stella. Quando però si voglia riferire un oggetto celeste ad un altro, in generale angolarmente assai vicino (p. es. in un sistema doppio o multiplo di stelle riferire la stella secondaria o una delle secondarie alla principale), per mezzo di un sistema di coordinate sferiche polari, avente origine nel secondo oggetto (stella principale), si assume per una delle coordinate (distanza) l'arco di circolo massimo orario passante per l'oggetto origine (stella principale) e si chiama pure angolo di posizione dell'oggetto rispetto all'altro; esso si misura nel senso nord-est sud-ovest. Queste due coordinate si misurano direttamente a uno strumento equatoriale col micrometro e il circolo di posizione.
c) angolo parallattico, che è l'angolo fra il circolo orario e il circolo verticale passanti per una stella e avente il vertice nella stella stessa (v. geometria).
Bibl.: Questioni riguardanti le matematiche elementari raccolte e coordinate da F. Enriques, I, Bologna 1924; art. II, 27, art. VI, 56; Gli elementi d'Euclide e la critica antica e moderna, editi da F. Enriques, I, Roma 1925, note alle def. I, 8, 9 e alle prop. I, 5 e III, 16.
Architettura. (fr. coin; sp. ángulo; ted. Ecke; ingl. corner). - L'incontro di due muri, e cioè il loro angolo, è sempre negli edifici uno dei punti più delicati della compagine muraria, tale da dover essere curato e rinforzato in modo particolare, sia costruttivamente, sia nell'aspetto esteriore.
Un esempio evidente della necessità di rinforzare gli angoli lo abbiamo nel caso dei portici ad arcate. In essi le spinte degli archi intermedî si elidono a vicenda, mentre quelle degli archi che s'incontrano ad angolo si compongono in una spinta maggiore diretta secondo la diagonale, rendendo necessario un piedritto angolare più robusto di quelli intermedî, qualora non si voglia ricorrere all'espediente di tenere a posto gli archi con catene.
Ritornando al caso generico degli angoli degli edifici, e precisamente della loro costruzione, osserveremo come essa cambi secondo le varie tecniche strutturali. Così, quando si tratti di muri in pietrame di cava rozzamente squadrato, tipo di costruzione attualmente molto usato nelle fabbriche comuni, gli angoli, sia che costituiscano i canti degli edifici, sia che formino gli stipiti di aperture, vengono formati con pietra più grossa e squadrata o con mattoni.
Con pietre squadrate vengono rinforzati anche gli angoli delle cotruzioni in mattoni o con apparecchio in pietrame squadrato e a filari di spessori differenti, del tipo cioè di struttura molto comune nelle fabbriche medievali. Questo sistema di rinforzo angolare degli edifici per mezzo di bugne in pietra viene specialmente usato nei palazzi del nostro Rinascimento con facciate ad intonaco e senza ordini, ove tale accentuazione con rinforzo in bugnato è resa organicamente visibile e consiste nel sistemare all'angolo alternativamente una bugna corta ed una lunga, ovvero, con maggior precisione, una in chiave rispetto ad una delle facce dell'angolo ed una in spessore. Questa, che è la disposizione più economica e razionale dal lato costruttivo, è usata soprattutto nel Quattrocento, come nel Palazzo Venezia a Roma, in ville, chiese e case fiorentine. Nel Cinquecento invece si preferiva mettere le bugne in modo meno razionale, alternativamente lunghe e corte, ma della stessa lunghezza tanto da una parte quanto dall'altra dell'angolo.
Esistono anche facciate in paramento di pietra che hanno una speciale accentuazione degli angoli con conci di maggiori dimensioni, come nel caso già citato di alcune costruzioni medievali; oppure in bugnato più robusto, come nel primo piano del palazzo Farnese a Caprarola. Tali esempî non sono però molto comuni; mentre sono molto piò diffusi i casi nei quali gli spigoli degli angoli di edifici con paramento di pietra vengono addolciti. Corrispondono questi casi a quelli, comunissimi nelle architetture medievali, di smussature e arrotondamenti di spigoli di pilastri e di mazzette di porte e finestre e, sotto forma di colonnini angolari più o meno incassati nel muro, sono molto frequenti in edifici del periodo gotico fiorito, soprattutto a Venezia e a Firenze.
Questi colonnini di diametro costante hanno in genere il fusto liscio, come negli esempî fiorentini, oppure liscio, ma interrotto da anelli e di diametro che va diminuendo dal basso in alto, come nel quattrocentesco palazzo Cuomo a Napoli, oppure a tortiglione, come nel palazzo Ducale, nella Ca' d'Oro, dove si raggruppano a fascio, e in altre costruzioni veneziane. Variabile è anche il modo col quale terminano, cioè o con base e capitello, oppure con ugnature, o troncati con un piano, ma spesso con decorazioni a fogliami o altri motivi vegetali, come nei bellissimi esempî fiorentini di Orsanmichele o del palazzo dell'Arte de' Mercanti e altri.
Escludendo la trattazione dei casi della risoluzione degli angoli di facciate di edifici interamente decorate con ordini (v. facciata, ordine), accenneremo invece a quelli nei quali solamente gli angoli vengono rinforzati con membri architettonici. Questi possono essere paraste o lesene, con o senza capitello, a bugnato, come nel palazzo Albergati e in quello del Podestà a Bologna, in quello Ghisilieri pure a Bologna, Guadagni in Firenze (nei quali due ultimi, come pure nel secentesco palazzo Frescobaldi di Firenze, si notano anche i colonnini angolari), oppure con fini decorazioni come nel palazzo ducale di Urbino e nei palazzi ferraresi Prosperi e dei Diamanti, o invece in semplici mattoni, come quelle che abbracciano tutta l'altezza del palazzo del Collegio Romano. Si accennerà anche a quelle varie e spesso genialissime soluzioni di carattere barocco con larghi smussi o arrotondamenti concavi o convessi, spesso in bugnato o in intonaco rustico e sfratazzato, quali quelle usate nei palazzi romani Bonaparte, Doria Pamphili (sia in quello sul Corso, del Valvassori, sia in quello su via del Plebiscito, dell'Amali), Boncompagni e in tanti altri; oppure ad altre di carattere pittoresco, come quella della casa fiorentina degli Zuccheri, dove all'angolo viene collocata una colonna con anelli in rustico e sorreggente uno stemma, oppure come nel convento del Corpus Domini a Bologna, dove sopra un motivo a bugnato si raggruppano nicchie con statue. A quest'ultimo sono da riannodarsi quei casi alquanto più complessi che, uscendo dall'architettura degli edifici singoli, riguardano quella di interi quartieri. Così a Roma gli edifici che si trovano all'incrocio delle vie XX Settembre e Quattro Fontane, e a Palermo nei cosiddetti Quattro Canti, vengono smussati agli angoli e formano un insieme che, pur senza simmetria, ricava unità da motivi di fontane o di statue, sistemate in basso a tutti e quattro i canti.
Un cenno meritano anche le soluzioni d'angolo dei contrafforti, che furono molto usati nelle architetture medievali, in generale per resistere a spinte di archi e vòlte, ma anche per consolidare spigoli o per decorazione. È da osservare che, mentre nei monumenti di architettura gotica francese, o che ad essa si riattaccano, predomina la soluzione angolare del contrafforte bipartito (in due membri, cioè, che continuano i muri incrociantisi nell'angolo) oppure quella del contrafforte diretto secondo la diagonale, nel romanico e gotico nostrali sono più comuni i tipi del contrafforte a ringrossamento dello spigolo, con pianta quadrata quasi sempre ma talvolta circolare o poligonale, come, ad esempio, nel campanile di Giotto. Non sempre all'angolo d'un edificio si tende a fare impressione di maggior robustezza, anzi talora, per ragioni di composizione generale delle facciate, si creano motivi di finestre sulle due faccie dell'angolo molto ravvicinate, sì da formarne quasi una sola; come avviene, p. es., nel palazzo Priuli a Venezia e in molti edifici d'architettura contemporanea.
Balconi, torricciole, tabernacoli, armi o stemmi, targhe, pulpiti (come quello bellissimo che Donatello e Michelozzo impostarono all'angolo della cattedrale di Prato), infine portastendardi e portalampade in ferro battuto o in bronzo vennero in ogni epoca e nei modi più varî collocati agli angoli degli edifici.