ANGIÒ, Carlo d', detto l'Illustre
Nato a Napoli nel 1298 da Roberto e da Violante (o Iolanda) d'Aragona, la sua educazione fu curata in un primo tempo dall'ava Maria e dalla nutrice Margherita di Sorrento, poi da Elisario di Sabran, conte di Ariano, di nobile famiglia provenzale. Rimasto orfano di madre nel 1302, appena undicenne, nel maggio 1309 fu nominato vicario del Regno, mentre Roberto si recava ad Avignone per l'incoronazione, affiancato da un Consiglio di reggenza, formato da Andrea, arcivescovo di Capua, dallo zio Filippo, principe di Taranto, che aveva la carica di capitano generale del Regno, da Bartolomeo di Capua, che però presto fu chiamato ad Avignone dal re. Da tale carica decadde, per il ritorno dei padre nell'aprile 1310. Nello stesso anno furono iniziate trattative per unire l'A. in matrimonio con Maria di Valois, ma il tentativo fallì, come anche l'altro progetto - avanzato alla notizia della venuta di Arrigo VII in Italia - delle nozze con Beatrice, figlia dell'imperatore.
Nel 1315, l'A., ormai diciassettenne, fu nominato commissario speciale in Basilicata, Terra di Lavoro e Molise, Principato ed Abruzzo Citra ed Ultra, e vi si recò sia per rendersi conto del suo futuro dominio, sia per esercitarvi la sua nuova carica.
Contemporaneamente re Roberto iniziava, questa volta con esito felice, altri negoziati per dar moglie al principe. La sposa era la vedova di Arrigo VII, e sorella di Federico re dei Romani, cioè Caterina. In previsione delle nozze, l'A. ebbe dal padre il dominio sulle città di Sorrento, Castellammare di Stabia, Nocera, Eboli, Isemia, Alife, Lagopesole, Palazzo S. Gervasio e le città di Foggia, con un reddito di 150 once d'oro, e Lucera, con un reddito di 146 once d'oro. Da parte sua Caterina portava una dote di 40.000 marchi d'argento che venne garantita dalle città di Sorrento, Castellammare di Stabia, Nocera, Eboli, Isernia. Il 3 giugno 1316 le trattative per le nozze avevano termine e Federico d'Austria, fratello della sposa, in dono di nozze nominava il cognato vicario imperiale in Italia delle terre governate dai guelfi nel 1313. Alla fine del 1316 la sposa giungeva a Napoli e nell'ottobre 1318 l'A. otteneva dal padre Termoli, S. Angelo e Francavilla. Il 10 luglio 1318 Roberto si recava a Genova e il suo Regno restava affidato all'A. che aveva a fianco due consiglieri, Bartolomeo di Capua ed Umberto, arcivescovo di Napoli. Egli riuscì ad organizzare la difesa delle coste del Regno contro corsari e ghibellini genovesi e, mentre il padre, ottenuta la signoria di Genova, passava in Provenza, cercava di mantenere in quiete il paese turbato da lotte intestine. Dovette anche metter pace tra Aquila e Amatrice, che avevano dato inizio a una serie di rappresaglie reciproche e le colpì ambedue con multe severe.
Più gravi le vicende che costrinsero il principe angioino ad intervenire a Rieti, che aveva avuto in feudo per dieci anni: la città, divisa in opposte fazioni che si erano denominate guelli e ghibellini, dovette essere occupata da un corpo di spedizione abruzzese in appoggio dei guelfi. Ma i ghibellini riuscirono a rientrare in Rieti e l'A. dovette perciò provvedere alla riorganizzazione degli statuti cittadini.
Particolarmente importante fu l'organizzazione della guerra contro la Sicilia nel 1318. Male ostilità furono limitate e presto cessarono, mentre svaniva la progettata spedizione, che l'A. stesso avrebbe dovuto comandare.
Nel maggio 1320 egli inviava soldati in Umbria per difendere i diritti della Chiesa. Nell'anno 1322 interveniva a Benevento per difendervi il rettore pontificio, arcidiacono di Fréjus.
Morta Caterina il 18 genn. 1323 l'A. dovette pensare a nuove nozze: nel maggio 1323 progettò di sposare la figlia di Amedeo V di Savoia, mentre altri tentativi avevano luogo presso le corti di Francia e Castiglia. Infine, riuscì a concludere il matrimonio (maggio 1324) con Maria di Valois, sua cugina, perché figlia di Margherita, sorella di Roberto, e di Carlo di Valois; fu quindi necessario ottenere dal papa Giovanni XXII la dispensa necessaria. Nel 1325 partecipò ad una spedizione navale contro la Sicilia e diresse le sue navi contro Palermo, ove pose l'assedio alla fine di maggío, tolto poi il 19 giugno per ordine di Roberto, senza nessun risultato militare degno di rilievo. Ma le operazioni continuarono con colpi di mano in varie località della costa, ed egli ritornò a Napoli solo il 30 agosto. Nello stesso anno, il 23 dicembre, gli venne conferita per dieci armi la signoria di Firenze, con lo stipendio di 200.000 fiorini l'anno in guerra e 100,000 in pace. Egli, dopo averla accettata l'8 genn. 1326, iniziò il viaggio nel maggio 1326, con un imponente seguito, di cui faceva parte tra gli altri Giovanni d'Angiò, conte di Gravina. Durante il viaggio, passando da Siena, ne ebbe la signoria per la durata di cinque anni. Giunto a Firenze il 30 luglio, iniziò nell'ottobre le operazioni contro Castruccio, nel territorio di Pístoia, limitandosi però a devastazioni e saccheggi. Più che militari, le preoccupazioni di Carlo erano soprattutto politiche, mirando a stabilire in Toscana un saldo sistema filoangioino, che facesse centro a Firenze: si fece perciò conferire il 29 ag. 1326 pieni poteri, che lo rendevano padrone effettivo della città. Tuttavia, malgrado le incitazioni che gli venivano dai magnati, non toccò in nulla la struttura politica ed amministrativa del Comune, che conservò perciò il suo carattere #popolano". In questi mesi nacque all'A. anche il figlio Carlo Martello. Nel dicembre 1326, richiamato dal padre a Napoli, a causa della prossima discesa del Bavaro, egli iniziò il viaggio di ritomo, rientrando nei confini napoletani, all'Aquila. Il 16 apr. 1328, nella cattedrale di Capua, assisteva alla proclamazione della crociata pontificia contro Ludovico il Bavaro. Il 2 ott.1328 le truppe dell'A. ripartivano per la Toscana agli ordini di Bertrando del Balzo. Morì il 9 nov. 1328 a Napoli secondo il De Blasiis (Tre scritture..., p. 459), secondo altri a Firenze; la sua morte fu annunciata a Napoli l'11 successivo (Minieri Riccio, Genealogia... , p. 665).
Fu sepolto in Santa Chiara e la sua tomba è opera di Tino di Camaino, che la eseguì tra il 1332 ed il 1333.Spesso si trovò in strettezze finanziarie e ricorse per prestiti ai mercanti fiorentini. Furono sue figlie: Giovanna, regina di Napoli, e Maria, duchessa di Durazzo. Fu cantato da Sebastiano da Gubbio nel Liber de Theleutelogio (Firenze, Bibl. Laurenziana, pl. 13, cod. XVI, citato da Caggese, II, 423).
Bibl.: G. Del Giudice, La famiglia di re Manfredi, in Arch. stor. per le prov. napol., IV(1879), pp. 294 s.; G. De Blasiis, Tre scritture napoletane del sec. XV, ibid., p. 459; C. Minieri Riccio, La genealogia di Carlo II d'Angiò, ibid., VII (1882), pp. 660, 665; N. F. Faraglia, Le memorie degli artisti napoletani, ibid., VIII (1883), pp. 268 s.; Id., Il duca di Calabria e la spedizione degli Abruzzesi contro Rieti nel 1320, ibid.,IX(1884), pp. 249-55; G. De Blasiis, La dimora di Giovanni Boccaccio a Napoli, ibid., XVII (1892), pp. 99 s., 492, 503, 508-10; R. Bevere, Notizie storiche tratte dai documenti conosciuti col nome di Arche in carta bambagina, ibid., XXV(1900), p. 262; G. De Blasiis, Le case dei principi angioini nella piazza di Castelnuovo, in Racconti di storia napoletana, Napoli 1908, pp. 154 s., 160, 163, 166, 174, 176 s., 190, 193; R. Bevere, La signoria di Firenze tenuta da Carlo figlio di re Roberto negli anni 1326 e 1327, [con appendice di documenti pubbl. integralmente o in regesto], in Arch. stor. per le prov. nap., XXXIII (1908), pp. 439-68, 639-62; XXXIV (1909), pp. 3-18, 197-221, 403-431, 597-639; XXXV (1910), pp. 3-46, 205-72, 425-58, 607-36; XXXVI (1911), pp. 3-34, 254-85, 407-33; F. Torraca, Giovanni Boccaccio a Napoli (1326-39), in Rass. critica d. letter. ital., XX(1915), pp. 146 s., 158 s., 168, 190; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoi tempi, I, Firenze 1922; II, ibid. 1930, passim, v. Indice; M. Schipa, Carlo Martello, l'amico di Dante, fu veramente in Provenza?, in Arch. stor. per le prov. nap., XLIX(1924), pp. 492, 503, 508-10; G. M. Monti, La dominazione angioina in Piemonte, Torino 1930, pp. 114, 120, 130, 141, 160 s., 1661 168, 214; B. Croce, Vite di avventure, di fede e di Passione, Bari 1936, p. 16, nota 2; A. Mele, Carlo duca di Calabria, in Samnium, XI (1938), pp. 202-17; XII (1939), pp. 64-71; XIV (1941), p. 151-164; XV (1942), pp. 24-31.