FOSCHI (de Fuschis), Angelotto
Nacque nel 1378 a Roma, ma mancano indicazioni sicure sulla sua origine. Al tempo di Bonifacio IX (1389-1404) è documentato un altro Foschi ("de Fuschis") presso la Curia pontificia: si tratta del segretario Giovanni, titolare di numerose prebende e "procuratore", fra l'altro, insieme con i banchieri bolognesi Gozzadini; egli morì durante il pontificato di Innocenzo VII (1404-1406). Il F. compare per la prima volta durante il pontificato di Gregorio XII (1406-1409). Il 10 apr. 1408 è ricordato come canonico di S. Giovanni in Laterano, abbreviatore e scrittore apostolico a Lucca, dove in quel periodo si tratteneva la Curia romana.
Il F. seguì poi Gregorio XII a Cividale, ove il 6 giugno 1409 presenziò alla prima seduta del concilio dell'obbedienza romana. In risposta il nuovo papa Alessandro V, eletto dal concilio pisano, lo privò dei suoi benefici già nel mese successivo.
Questo provvedimento non ebbe molto effetto: il F. rimase presso la Curia di Gregorio e alla fine di agosto agì come procuratore quando il monastero di S. Alessio fu dato in commenda al vescovo di Ferentino. Non si sa però se mantenne il suo canonicato presso la basilica lateranense.
Nel capodanno 1409-1410 le truppe di Baldassarre Cossa, legato a Bologna, e di Luigi II d'Angiò, investito durante il concilio di Pisa da Alessandro V del Regno di Napoli, occuparono Roma; Ladislao di Durazzo, che si trovava nella città eterna come "signore" dall'aprile del 1408, dovette ritirarsi. Egli rimase tuttavia fedele al papa Gregorio XII che era garante del suo Regno, e gli offrì Gaeta come dimora, poiché la sua situazione era diventata insostenibile nell'Italia settentrionale a causa della diffusione dell'obbedienza pisana; persino Venezia, la città d'origine di Gregorio XII, passò dalla parte di Alessandro. Nel 1409 la Curia romana si trasferì quindi a Gaeta e insieme con essa anche il Foschi.
L'anno successivo il F. diventò membro della Camera apostolica. Dal 1411 compare anche come accolito e cubiculario. È difficile stabilire se questo avanzamento nella carriera sia da attribuire alle capacità personali del F. oppure alla scarsità di personale disponibile mentre la Curia romana era bloccata a Gaeta.
Per il momento Gregorio XII non poteva sperare in alcun rimedio. Giovanni XXIII, successore di Alessandro V nell'obbedienza pisana (1410), aveva mantenuto i legami del suo predecessore con Luigi II di Napoli e le loro truppe avevano sconfitto Ladislao nel maggio 1411 a Roccasecca. Con la mediazione fiorentina nel maggio 1412 si giunse alla pace tra Giovanni XXIII e il re: Ladislao riconobbe la legittimità di Giovanni e in conseguenza Gregorio XII dovette lasciare Gaeta alla fine di ottobre. Così anche il F. reputò giunto il momento di cambiare parte: nell'autunno 1412 si trovava presso la Curia di Giovanni XXIII e fu presente al ricevimento della legazione francese al concilio di Roma, come ebbe a dichiarare egli stesso durante il concilio di Costanza. A Costanza il F. appare di nuovo come canonico del Laterano e chierico di Camera: malgrado il suo passaggio dovette riuscire a mantenere le sue prebende e la sua posizione.
Il soggiorno del F. a Roma, dopo un'assenza di cinque anni, non durò molto, poiché nel giugno 1413 Giovanni XXIII dovette fuggire con la sua Curia davanti alle truppe di Ladislao. La pace tra il papa e il re era durata poco, perché Ladislao aveva paura di un possibile accordo di Giovanni con il suo concorrente in Ungheria, Sigismondo di Lussemburgo, re dei Romani dal 1410. Il F. si trovava quindi di nuovo in fuga, questa volta insieme con la Curia pisana, adesso verso il Nord. Nel dicembre 1413 Giovanni XXIII incontrò Sigismondo a Lodi. In seguito fu deciso di convocare un concilio a Costanza per il 1° nov. 1414.
Nell'autunno 1414 il papa partì da Bologna per Costanza (il suo avversario in Italia, Ladislao, era morto in agosto), dove arrivò alla fine di ottobre. Non è documentato se il F. fosse al suo seguito durante questo viaggio, ma è sicuro che egli si trovava a Costanza alla fine del 1414, quando ricevette del denaro dalla Camera, per provvedere al mantenimento di Jan Hus e delle sue guardie: è ricordato nuovamente nel gennaio 1415 per gli stessi motivi. Messo alle strette, il 20 marzo Giovanni XXIII pensò di sottrarsi all'imminente deposizione con la fuga a Sciaffusa, dove convocò cardinali e curiali. Un certo numero obbedì, tra cui il F., che più tardi davanti al concilio asserì di essere stato anche testimone della successiva fuga di Giovanni da Sciaffusa a Waldshut, il 29 marzo, venerdì santo, del 1415. Ma non seguì oltre il papa: tornò a Costanza ed è possibile che fosse già lì quando il 6 aprile fu pubblicato il decreto Haec sancta; sicuramente vi si trovava a metà di maggio. Il 17 aprile, giorno in cui Giovanni fu portato prigioniero a Radolfzell, il F. fece la sua deposizione al processo del concilio contro il papa.
Secondo i verbali, tra il 13 e il 25 maggio, davanti ai commissari del concilio, complessivamente trentacinque testimoni fecero la loro deposizione relativamente a settantuno articoli che si riferivano alla vita di Giovanni secondo una disposizione cronologica. I testimoni erano persone di diverse "nazioni" e condizione sociale. Tra loro compare anche il F. ("D. Angelottus de Roma clericus camere apostolice canonicus Lateranensis etatis sue XXXVII annorum": vedi Acta conc. Const., IV, p. 772), interrogato il 17 maggio. La sua deposizione è una delle più ampie: rispose a cinquanta delle settantuno accuse rivolte a Giovanni XXIII e a venticinque di queste in forma dettagliata. Il F. accusava Giovanni in particolare in riferimento agli articoli 8 (avidità), 9 (lussuria), 10 (simonia) e 36 (vendita dei beni della Chiesa). Le sue deposizioni sono interessanti perché il F. ricorda concretamente persone e luoghi (ad es. nell'articolo 36 egli nomina le chiese romane di S. Giovanni in Laterano e S. Lorenzo fuori le mura con gli annessi castelli). Depose dettagliatamente anche sul periodo di Costanza; parlò del conflitto di Sigismondo e Robert Hallum della legazione inglese con il papa prima della sua fuga (art. 57, 63) e poté indicare anche il momento esatto della partenza di Giovanni da Sciaffusa, avvenuta "hora tercia vel quasi" (art. 60). Fece però anche delle distinzioni, difendendo ad esempio il papa dall'accusa di incesto con la moglie di suo fratello (art. 9).
L'11 nov. 1417 fu eletto papa il cardinale Oddone Colonna, che assunse il nome di Martino V. Per la sua incoronazione celebrata dieci giorni più tardi il F. prese in prestito del denaro per comprare stoffa presso Bartolomeo Bardi, il rappresentante della banca Bardi-Medici al concilio. Poco dopo, il 4 febbr. 1418, Martino V nominò il F. vescovo di Anagni; il 20 novembre fu consacrato a Mantova dal papa in persona durante il viaggio di ritorno in Italia.
Il F. aveva ottenuto un vescovato vicino a Roma, sua città d'origine, già all'età di quarant'anni, ma rimase presso la Curia, come cubiculario e chierico di Camera. Nel 1422, nella Camera, si occupò delle annate, nel 1425, su incarico del papa, si adoperò per la pacificazione dei disordini nella Campagna e Marittima, mentre l'anno precedente era stato in missione speciale presso il concilio, che si era spostato da Pavia a Siena e che fu sciolto da Martino V.
Nel maggio 1426 questi creò molti nuovi cardinali dopo che erano morti in buona parte quelli del tempo dello scisma. In questa occasione furono nominati anche alcuni esponenti della Camera.
Il F. difficilmente poteva avere sperato in un cardinalato, ma aspirava certamente a una più alta carica nella Camera. Ma anche qui incontrò delle difficoltà. La carica di vicecamerlengo andò a Benedetto Guidalotti, chierico di Camera dal tempo di Giovanni XXIII, e tesoriere divenne Oddone Poccia, cubiculario, legato al papa da legami di clientela. Di fronte a questa situazione il simultaneo trasferimento del F. alla diocesi di Cava dei Tirreni sembrava veramente una compensazione, visto che Cava rendeva il triplo delle entrate. Non si sa fino a che punto il F. si sia sentito deluso. Le vicende successive mostrano però che dopo la morte di Martino V, avvenuta il 20 febbr. 1431, non rimase legato ai Colonna, ma riuscì a conquistarsi la fiducia del nuovo papa Eugenio IV (Gabriele Condulmer) che egli conosceva dai tempi di Gregorio XII.
Di fronte all'intreccio tra le finanze pontificie e gli interessi dei Colonna, Eugenio IV decise un'epurazione: Poccia e altre persone vicine a Martino V dovettero lasciare la Camera. Alla fine di marzo fu nominato nuovo vicecamerlengo il nipote del papa, Francesco Condulmer, creato cardinale già sei mesi dopo, il 19 settembre. Insieme con lui fu nominato cardinale anche il F., che ricevette il titolo di S. Marco. Eugenio IV premiava così i meriti di un vecchio conoscente che nella difficile fase di passaggio gli poteva offrire la sua profonda conoscenza della Camera e che gli era devoto. Il F. infatti, al contrario di Louis Aleman e Juan Cervantes, non rifiutò di firmare lo scioglimento del concilio di Basilea (12 nov. 1431) che fu contestato dai padri riuniti a Basilea.
Quando nel corso dell'anno 1432, accanto al presidente del concilio Giuliano Cesarini, altri cardinali e principi come Sigismondo di Lussemburgo e Filippo Maria Visconti di Milano solidarizzarono con il concilio, Eugenio IV cedette e il 1° marzo 1433 nominò quattro cardinali come presidenti, tra cui il Foschi. Questi rimase però a Roma, insieme con Giordano Orsini, per assistere all'incoronazione imperiale di Sigismondo alla fine di maggio. Quando Eugenio IV, in seguito alla ribellione di Poncello di Pietro Venerameri (1434), dovette fuggire da Roma, il F. lo seguì a Firenze (dal 18 marzo 1435) e Bologna (dal 22 apr. 1436). Il conflitto tra i padri conciliari di Basilea e il papa si accese di nuovo, a proposito del luogo in cui si doveva tenere il concilio di unione con i Greci, e sfociò alla fine del 1437 nel trasferimento del concilio a Ferrara. Il F. giunse a Ferrara all'inizio del 1438; a marzo, insieme con tutta la Curia, diede il benvenuto alla legazione greca, guidata dal patriarca Giuseppe II e dall'imperatore Giovanni VIII Paleologo. La lunga disputa dogmatica, allora iniziata con i Greci, gli Armeni e i Copti, portò infine all'unione con le Chiese orientali: le rispettive bolle del 6 dic. 1439 e del 4 febbr. 1442 portano anche la firma del Foschi. Nel marzo 1443 il F. accompagnò Eugenio IV nel viaggio di ritorno in una Roma che nel frattempo era stata "pacificata" da Giovanni Vitelleschi. Qui nell'ottobre continuò il concilio nella basilica lateranense, dove all'inizio del 1444 il F. lesse la lettera del legato Cesarini sul successo della crociata contro i Turchi.
Morì il 12 sett. 1444 a Roma, di morte violenta, ma non si conoscono i motivi dell'assassinio. Già il giorno successivo Giovanni Vitelleschi fu nominato suo successore a Cava.
Poggio Bracciolini nelle sue Facezie qualifica il F. come rapace, violento e senza scrupoli, ma anche come "admodum loquax et maledicus", senza rispetto per nessuno; ricorda che definì spiritosamente il (barbuto) cardinale greco Bessarione come "caprone" tra le "capre" (cioè i curiali romani rasati). "Mordace, litigioso, loquace, ma altrettanto prudente": così fu il F. secondo il giudizio conclusivo dell'umanista che lo aveva conosciuto da vicino nella Curia romana.
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