TREZZINI, Angelo
– Nacque a Milano il 28 aprile 1827 in una famiglia originaria di Astano, un piccolo comune svizzero nel Canton Ticino. Fu figlio di Angelo (1789 circa-1833), registrato all’anagrafe come droghiere e residente a Milano in contrada dei Fiori Oscuri, e di Margherita Pedrotti (1787-1859).
Si formò presso l’Accademia di Brera, dove risulta iscritto dal 1839 nella Scuola di ornato. Fino al 1850 seguì il canonico percorso, frequentando negli anni il corso di elementi di figura (1844), quello di architettura (1846), la sala delle statue e il corso di anatomia (1848). Gli anni dell’Accademia furono contrassegnati anche da due riconoscimenti, due accessit conseguiti nella classe di elementi di figura e, nello specifico, per il disegno dalla stampa (1845) e per il disegno da rilievo (1846).
Fin dagli inizi, si segnala la sua vicinanza a Domenico e Gerolamo Induno, conosciuti con grande probabilità fra le aule di Brera e dei quali divenne uno dei principali e più assidui allievi. Il legame, simile a un vero alunnato, coincise con la brusca interruzione che subirono le attività dell’Accademia milanese a ridosso dei fatti del 1848. Trezzini indirizzò i propri interessi verso una descrizione minuta e oggettiva del reale, impiegandola prevalentemente nelle scene di genere, associata a una rigida imitazione dello stile dei fratelli pittori, che lo portò a un linguaggio pedissequo e poco personale.
Il rapporto con gli Induno, inizialmente soltanto artistico, divenne, in realtà, ancora più vincolante, coinvolgendo la sfera personale – Domenico sposò Emilia Trezzini sorella di Angelo – e politica. Infatti, come per molti artisti della sua generazione, determinante nel percorso pittorico del maggiore dei due Induno fu la partecipazione in prima persona alle vicende risorgimentali, una forma di patriottismo che egli condivise con il cognato e il fratello.
Nel 1848 Trezzini intervenne attivamente alle Cinque giornate, cui seguì il ritiro ad Astano, dove riparò e cercò protezione dopo il fallimento della sollevazione e il ritorno delle truppe austriache a Milano. Insieme a Gerolamo Induno, l’anno seguente, partecipò all’esperienza della Repubblica Romana e alla sua difesa.
Conclusa la prima fase risorgimentale, riprese gli studi sotto il magistero di Domenico. A questi anni risalgono le prime presenze alle esposizioni di belle arti, partecipazioni che avrebbero assunto un carattere consuetudinario nel corso dei decenni, sia fra le aule dell’Accademia milanese, dove si presentò ininterrottamente fra il 1852 e il 1885, sia, seppur con una brusca interruzione a metà degli anni Settanta dell’Ottocento, alle mostre delle Società promotrici di belle arti di Torino e Genova.
L’esordio avvenne con un quadro raffigurante Gerolamo Savonarola. Tuttavia, fin dalla Figlia del veterano del 1853 si osserva un deciso allontanamento dai temi storici a favore di lavori orientati all’intimismo di matrice indunesca, tra cui si possono annoverare La partenza di una sposa dalla casa materna (1855) o I mendicanti sfortunati (1856).
Alla vigilia della seconda guerra d’indipendenza, Trezzini si arruolò come volontario fra le file della brigata garibaldina dei Cacciatori delle Alpi, con il grado di sergente della 1ª compagnia del 2° reggimento. Insieme a Gerolamo Induno, partecipò alla battaglia di San Fermo del 27 maggio 1859; l’episodio, legato all’epopea nazionale, e i combattimenti correlati suscitarono in lui profondi ricordi. L’intervento al fianco dei Cacciatori garibaldini per la difesa della città di Como spinse Trezzini a rinnovare il proprio repertorio tematico. Alle numerose scene di genere iniziarono ad affiancarsi opere riferibili alla campagna militare del 1859. Decisiva, in questo senso, fu la presentazione del dipinto La battaglia di San Fermo (Torino, Museo nazionale del Risorgimento italiano): l’opera, uno degli esiti più felici della sua produzione, fu presentata a Milano nel 1860 e a Torino l’anno seguente, quando fu acquistata dal ministero della Pubblica Istruzione. Il dipinto, curiosamente, apparve nel 1865 all’International Exhibition of arts and manufactures di Dublino, indicato erroneamente come di proprietà del ministero dei Lavori pubblici. L’episodio risorgimentale fornì all’artista lo spunto per una seconda opera, volta a commemorare il ferimento a morte del tenente dei Cacciatori Ferdinando Cartellieri e presentata a Milano nel 1863. La Morte di Ferdinando Cartellieri, episodio del combattimento di San Fermo (27 maggio 1859) fu acquistata dal senatore Tullo Massarani – letterato, allievo degli Induno e amico di Trezzini sino alla sua morte – e donata all’allora Museo del Risorgimento di Bergamo (oggi Museo storico della città).
Nel 1861, con La lettura di una lettera giunta dal campo (Milano, Pinacoteca di Brera), Trezzini vinse il premio Mylius per la pittura di genere, il più prestigioso fra i riconoscimenti in seno all’Accademia milanese, istituito dal cavaliere Enrico e dedicato dal 1853 alla pittura a olio di paesaggio storico, di genere e animali. La tela conobbe un grande successo, tanto da essere replicata in formato ridotto (1867; Milano, Gallerie d’Italia), e favorì la nomina del pittore a socio onorario dell’Accademia nel 1862. Furono questi gli anni in cui l’autore diede vita a un prolifico filone di soggetti di ispirazione risorgimentale che annovera, fra le opere più rappresentative, Piccoli patrioti (1859; collezione privata), Le prime armi (1861 circa; Milano, Pinacoteca di Brera) o Il dì dei morti e L’onomastico di Garibaldi, esposti a Torino nel 1862 e nel 1867.
Un elenco dei dipinti presentati fra Milano, Torino e Genova denota, tuttavia, l’incapacità di Trezzini ad aggiornarsi; seppur si osservino tele dedicate ai più recenti episodi dell’indipendenza italiana, come La morte del colonnello Giovanni Chiassi (Bezzecca, 21 luglio 1866) esposta a Milano nel 1868, o venate di una sfumata critica sociale e di amara disillusione verso il presente (Mancante a scuola, 1868; Milano, Amministrazione della Provincia) o, ancora, vedute urbane (La chiesa di S. Maria di Nesso o Bastioni di Porta Vittoria, Milano, Civica Galleria di arte moderna), l’autore non seppe emanciparsi dalla fama di mero epigono dei fratelli Induno, sprovvisto di autonomia creativa. I giudizi, nella critica dell’epoca, oscillavano fra l’opinione benevola di Antonio Caimi e le stroncature più evidenti apparse in particolare nelle recensioni dei quotidiani Il Pungolo o La Perseveranza.
A partire dal 1876 Trezzini si occupò della sezione artistica della Scuola professionale femminile di Milano, fondata da Laura Solera Mantegazza, filantropa milanese legata a doppio filo all’esperienza garibaldina, ragione che potrebbe spiegare la presenza dell’artista nel corpo docente. I compiti educativi non interferirono con l’attività espositiva, ancora prolifica alla metà degli anni Settanta, ma i precetti e le modalità del suo insegnamento risultano difficili da ricostruire a causa della distruzione dell’archivio della scuola. La critica ha cercato di definire la personalità del Trezzini educatore attraverso i resoconti di una commissione, il cui compito era la valutazione dell’insegnamento impartito alle allieve (Migliavacca, 2002b, p. 213). Analogamente, i necrologi consentono di comprendere gli orientamenti didattici, indirizzati prevalentemente a un assiduo studio del vero.
Durante l’ultimo periodo della sua carriera, il pittore si confrontò anche con il genere del ritratto, prediligendo uno stile memore dei modelli degli anni Quaranta e richiamandosi a un romanticismo austero. Operò principalmente per alcuni enti caritatevoli milanesi, tra cui l’Istituto dei ciechi, per i quali eseguì, a partire dal 1879, cinque dipinti, tra cui il ritratto della benefattrice Carolina Brambilla Prinetti, e l’ospedale Maggiore, per la cui quadreria dipinse il Ritratto di Francesco Biffi (1880) e quello di Antonio Chiodo (1897). Particolare, nel catalogo del pittore, è il Ritratto di Domenico Induno, presentato postumo all’esposizione braidense del 1879, estremo omaggio di Trezzini al suo maestro.
Tra gli esiti più felici della produzione dell’autore va annoverata, inoltre, la pratica grafica; nel corso degli anni egli tradusse in disegno numerose opere – prevalentemente di Domenico Induno (tra cui La materna rassegnazione, Al cader delle foglie, Charlotte Corday in attesa dell’esecuzione), ma non solo (Niccolò de’ Lapi che perdona la figlia di Sebastiano de Albertis) – che vennero riprodotte attraverso le tavole di Domenico Gandini nelle Gemme delle arti italiane o nell’Album di varie edizioni dell’Esposizione di belle arti di Milano. Sue litografie apparvero, inoltre, nel periodico satirico e sociale Lo Spirito folletto, come Milite della Guardia Nazionale guarda incuriosito l’armatura esposta in un negozio d’antiquariato (Milano, Civica Raccolta di stampe A. Bertarelli), in cui l’epopea risorgimentale è riletta in chiave ironica e dissacrante.
Trezzini si mise in luce anche come poeta dialettale di successo. Ricordato come «buon poeta milanese» (M., Proemio, in Alcune poesie milanesi di Angelo Trezzini, Roma 1904, p. VIII), si distinse nell’ideazione di poemi satirici. Va segnalata, tra gli esempi più felici, La danza delle muse. Meneghinata (1875): il componimento in rima, un dialogo fra il pittore Flanella e il suo committente Sganzerla, maestro di danza, narra in chiave ironica le disavventure legate alla decorazione del soffitto del salone da ballo di un palazzo signorile. Tra gli altri testi va annoverata la raccolta Alcune poesie milanesi (cit.), una serie di brevi poesie irriverenti dedicate, con ironia, ad amici e conoscenti; tra esse è On sogn, per l’amico Demetrio Lanzani (1893).
Morì a Milano il 27 maggio 1904.
Fonti e Bibl.: The illustrated record and descriptive catalogue of the Dublin International Exposition of 1865, a cura di H. Parkinson - P.L. Simmonds, London 1866, p. 502; L. Magugliani, La quadreria, in Istituto dei ciechi di Milano, Milano 1960, pp. 62, 65, nota 27; F. Grignola, Le radici ostinate. Poeti dialettali della Svizzera italiana, Locarno 1995, p. 55; L. Pini, in Dall’Accademia all’atelier. Pittori tra Brera e il Canton Ticino nell’Ottocento (catal., Rancate), a cura di M.A. Previtera - S. Rebora, Milano 2000, p. 106, n. 28; C. Migliavacca, in Intorno agli Induno, (catal., Rancate), Ginevra-Milano 2002a, pp. 90-93, nn. 17-18, 112 s., n. 28, 120-123, nn. 31-32, 136 s., n. 40, 142 s., n. 43, 150 s., n. 47, 154 s., n. 49, 160 s., n. 52, 168 s., n. 56, 186 s., n. 65, 192 s., n. 68, 196 s., n. 70; Id., T., A., ibid., 2002b, pp. 212-214 (con bibliografia); V. Scrima, Giuseppe Rovani critico d’arte, Milano 2004, p. 174 nota 104; Giovani ribelli del ’48. Memorie del Risorgimento lombardo (catal.), a cura di E. Fontanella, Milano 2011, pp. 374-377, 380-385.