SIMONETTA, Angelo
– Nacque attorno al 1392 da una famiglia notabile di Policastro, figlio di Gentile e fratello di Margherita, madre dei nipoti Cicco e Giovanni; non è noto invece il nome della madre.
Attorno al 1420 era già al servizio di Francesco Sforza, futuro duca di Milano, probabilmente in seguito alla spedizione militare che il condottiero condusse in Calabria per conto degli Angiò. Nel 1436 presenziò in Toscana alla stipula della condotta di Sforza con Firenze e Venezia, e poi si stabilì in Veneto come uomo di fiducia del capitano. Qui intrattenne relazioni con la Signoria di Venezia, che nel 1437 gli diede la cittadinanza, e con vari nobili veneziani, veronesi, padovani. Fu questa la premessa di un doppio matrimonio, il suo con la nobile veronese Francesca di Chichino Della Scala e quello di Gentile, suo figlio (probabilmente naturale), con Lucia, sorella di Francesca.
Nel 1439-40 – anni in cui lo Sforza stipulò con Venezia una più solida alleanza – ebbe dalla Signoria dei beni a Padova, già dei Buzzacarini (Le pergamene Belgioioso, a cura di P. Margaroli, 1997, nn. 813, 814), e poco più tardi acquistò beni e decime in varie località veronesi, già confiscati a un ribelle, del valore di 2000 ducati d’oro (n. 423). Nel 1440 Francesca Della Scala, con un atto rogato a Firenze, ottenne dall’abate commendatario di S. Zeno di Verona la restituzione di alcuni feudi paterni (n. 812). Nel 1441 Simonetta ottenne dal Consiglio veronese la cittadinanza, poi confermata dalle autorità veneziane, e un’ampia esenzione fiscale. Dal 1443 fu allibrato nella contrada veronese di San Pietro in Carnario, dove abitò prima di trasferirsi a Milano. Francesca Della Scala disponeva ancora di questa abitazione dopo essere rimasta vedova.
Nel 1447, quando Francesco Sforza si accostò alla Repubblica ambrosiana, guardando già a obiettivi più ambiziosi, Simonetta, che a Venezia lo rappresentava, si trovò in difficoltà: a lui e agli altri sforzeschi furono requisiti i beni donati, e fu anche arrestato. Le cose poi presero un’altra piega, e il 18 ottobre 1448 Simonetta siglò per lo Sforza il trattato di Rivoltella, con cui Venezia assicurava il suo appoggio all’impresa milanese del capitano. Alla fine del 1449 i rapporti si erano di nuovo deteriorati: i Veneziani, che si trovavano in difficoltà nell’impresa milanese, pretesero da Simonetta e dagli altri inviati sforzeschi la ratifica di due trattati con Milano, che prevedevano di dare allo Sforza solo delle città minori. Il condottiero, che già si vedeva vicino alla meta della conquista del ducato, non ratificò i trattati e riprese con vigore le operazioni militari contro Milano. Poche settimane dopo (dicembre del 1449) spedì Simonetta a Napoli insieme a Nicolò Arcimboldi per cercare di concludere un accordo antiveneziano con Alfonso d’Aragona, ma senza esito.
Quando nel marzo del 1450 lo Sforza divenne duca, Simonetta fu ammesso nel Consiglio segreto ducale, e fu anzi il primo ‘sforzesco’ fatto consigliere, dato che prima di lui erano stati nominati dei notabili milanesi di trascorsi viscontei. Tra il 1451 e il 1455 gli fu concessa la cittadinanza di Milano e di tutte le città del dominio, a cui aggiunse nel 1456 quella di Ancona. Ebbe esenzioni fiscali con privilegi ampi, estesi anche agli eredi e ai parenti, e i nipoti Cicco, Giovanni e Andrea, che avevano assunto ormai il cognome Simonetta, per riconoscenza verso lo zio al quale erano grati per le carriere intraprese. Negli anni, grazie alle ricchezze acquisite in Veneto, Simonetta aveva prestato ingenti somme allo Sforza, che ora poteva ricompensarlo: nel dicembre del 1450 gli concesse le entrate e la giurisdizione del vicariato di Belgioioso a titolo di restituzione di un antico prestito di 4370 ducati d’oro veneziani e nel 1458 gli investì il feudo di Lacchiarella, tra Milano e Pavia, che da tempo egli deteneva in pegno a copertura di un altro prestito di 1250 ducati.
Nel 1453, su espressa richiesta di Renato d’Angiò, Simonetta fu inviato a dirimere le questioni territoriali aperte tra il duca di Milano e il marchese di Monferrato, ma lo Sforza, impegnato sul fronte bresciano, lo volle a Milano, perché sovrintendesse a importanti materie finanziarie. Anche negli anni successivi, infatti, Simonetta ebbe autorità in materia di collette di prestiti, di acquisti per il monopolio fiscale del sale, di pagamenti alle milizie e alle condotte, in particolare durante le operazioni belliche contro Venezia.
Dopo la pace di Lodi (1454), Simonetta ristabilì le relazioni con i nobili veneti ed ebbe spesso occasione di fare da tramite e da garante per gli affari della Camera ducale relativi al sale e ad altre materie. Aveva rapporti con il banco Medici a Firenze e con i Portinari a Milano, e privatamente, aveva depositato il suo denaro al Monte delle doti di Firenze e acquistato a Genova dei luoghi del Banco di S. Giorgio.
Nel 1455 acquistò per 5000 fiorini un vasto sedime dai Castiglioni in contrada di San Marcellino e lo ampliò poi con successive compere dagli stessi nobili e da altri vicini, formando una vasta e confortevole residenza, dotata di giardini e quasi adiacente al palazzo di Cicco in San Tommaso in Terramara.
Nel 1466 fu nominato dal duca Galeazzo Maria Sforza nella commissione che doveva alienare entrate e dazi di località minori, ed egli stesso approfittò dell’opportunità acquistando i dazi della popolosa terra di Casteggio (nell’Oltrepò pavese) con la successiva investitura in feudo nobile e gentile e separazione dalla giurisdizione pavese. Il figlio Gentile ebbe invece l’investitura di Gamalero presso Alessandria dopo aver acquistato castello, terre e diritti dai Ghilini. Tutte le concessioni feudali furono confermate nel 1470. Inoltre, nel tempo Simonetta aveva acquistato diritti e possessi fondiari tra Lodi (Terraverde, Corte Palasio, Somaglia), Melegnano e il territorio piacentino (Momiliano), aveva beni in Veronese e una casa a Pavia. Più puntuali notizie sul suo ingente patrimonio si hanno dall’inventario inedito del suo archivio (Archivio di Stato di Milano, Notarile, 1882, 8 aprile 1494).
Dal matrimonio con Francesca Della Scala nacque una sola figlia, mentre i figli del primogenito Gentile erano già adulti. Per la giovanissima Bianca, probabile erede di un cospicuo patrimonio, si prospettò il fidanzamento con un figlio di Roberto Sanseverino, che già viveva a casa di Simonetta. Il legame era fortemente caldeggiato dalla duchessa Bianca Maria, ma più tardi si affacciò un’alternativa, le nozze con il giovanissimo Carlo Sforza, figlio naturale del duca Galeazzo Maria, anche lui allevato in casa di Simonetta. Il duca era tutt’altro che insensibile alle ricchezze del suo consigliere e alla cospicua dote della figlia, e il matrimonio fu stabilito attorno al 1470 e celebrato dopo la morte di Angelo. Una delle maggiori fautrici era Francesca Della Scala, donna molto chiacchierata negli ambienti di corte per i suoi costumi piuttosto leggeri. Riguardo alle sue relazioni con la società veneziana, va ricordato inoltre che Simonetta combinò vari matrimoni tra famiglie nobili delle città venete e casate legate alla corte di Milano, nell’intento di rafforzare il suo reticolo di parentele e inserirsi nella società milanese (Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, 668, sua lettera del 20 novembre 1458).
Il 2 novembre 1465 Simonetta fece testamento presso il notaio Lazzaro Cairati (ibid., Notarile, 922). Stabilì la propria sepoltura nella chiesa di S. Maria del Carmine e dispose della sua cospicua eredità, distribuendola con usufrutti e lasciti attentamente dosati tra Gentile, la moglie Francesca e la figlia Bianca. Morto il primogenito Gentile nel 1470, il testamento fu modificato a favore dei due nipoti maschi, Pier Francesco e Cecchino Francesco, che ebbero terre e due feudi presso Alessandria.
Gentile aveva dato molte preoccupazioni al padre, tra sperperi di denaro e dissidenze politiche. Angelo fu anche angustiato dalle liti con Ugo Sanseverino, marito della nipote Fiormargherita (figlia di Gentile), a causa della dote di lei, a suo tempo depositata al Monte di Firenze.
Ormai ottantenne, da tempo malato e lontano dalla vita pubblica, Simonetta morì il 20 aprile 1472. Al suo capezzale vigilava il duca Galeazzo, ben deciso a non lasciarsi sfuggire la dote e la cospicua eredità di Bianca a beneficio del figlio naturale Carlo, che divenne poi conte di Casteggio. Dal matrimonio nacquero Ippolita e Angela Sforza, che negli anni successivi vennero in possesso di buona parte dell’eredità dell’avo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano: Famiglie, 176; Miscellanea storica, 9b; Notarile, 922 (2 novembre 1465); Notarile, 1882 (8 aprile 1494); L.N. Cittadella, Istrumento di divisione seguito il 12 sett. 1493 tra le sorelle Angela e Ippolita Sforza Visconti, in Miscellanea di storia italiana, IV, Torino 1863, pp. 475-538; Le pergamene Belgioioso, a cura di P. Margaroli, Milano 1997, I, nn. 423, 812-814.
M.A. Sabellico, Historia venitiana libri XXXIII, Venezia 1668, p. 408; C. Cipolla, La cittadinanza veronese di A. S., in Archivio storico lombardo, VIII (1881), pp. 130-132; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, ad ind.; Id., La Repubblica di S. Ambrogio, ibid., ad ind.; F. Catalano, La nuova signoria. Francesco Sforza, ibid., VII, Milano 1956, ad ind.; G. Sancassani, Notizie genealogiche degli Scaligeri di Verona: da Alberto I ad Antonio della Scala, in Verona e il suo territorio, III, 1, Verona 1975, pp. 740 s.; M.N. Covini, La patente perfetta. I privilegi accordati ai Simonetta dagli Sforza, in Cittadinanza e mestieri. Radicamento urbano e integrazione cittadina nell’età delle signorie, a cura di B. Del Bo, Roma 2014, pp. 179-206; Ead., L’assimilazione dei forestieri nelle élites della Milano sforzesca. La vicenda dei Simonetta di Calabria, in Milano città delle culture, a cura di M.V. Calvi - E. Perassi, Roma 2015, pp. 175-182.