SACERDOTI, Angelo (Raffaele Vittorio; in ebraico Mordekhai Refael Chaim ha-Kohen). – Nacque a Firenze il 2 febbraio 1886 (secondo il calendario ebraico, 27 Adar 5646)
da David e da Stella Abendana.
Suo padre, di famiglia veneziana di modeste condizioni, aveva ottenuto il titolo di maskil (primo livello del titolo rabbinico) ed era stato chazan (cantore di sinagoga) dapprima a Venezia e poi nella Sinagoga maggiore di Firenze. Morì quando Angelo era ancora giovanetto. Sacerdoti compì gli studi nel Collegio rabbinico italiano, che aveva sede a Firenze ed era diretto da Shemuel Tzevì Margulies (nato a Brzeżany, in Ucraina, nel 1858 e morto a Firenze nel 1922), rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze. Fra gli insegnanti ebbe anche, oltre a Margulies, il rabbino Hirsch P. Chajes, che sarebbe poi diventato rabbino capo a Trieste e successivamente a Vienna. Il giovane Sacerdoti si laureò in lettere e filosofia a Firenze nel giugno del 1908 e nello stesso anno fu nominato rabbino di Reggio nell’Emilia, dove rimase fino alla sua nomina a rabbino capo di Roma nel 1912.
Dopo la morte del triestino Vittorio Castiglioni (Roma, 1911), rabbino capo di Roma dal 1904 al 1911, fu bandito un concorso internazionale per la scelta del nuovo rabbino. Fra i numerosi candidati si presentarono Alfredo S. Toaff e Dante Lattes, allievi del rabbino e filosofo Elia Benamozegh al Collegio rabbinico di Livorno. Toaff e Lattes sarebbero diventati fra i più importanti e influenti rabbini italiani del Novecento. Il 17 marzo 1912 l’apposita commissione riferì i risultati del concorso al Consiglio generale della Comunità ebraica romana, che prescelse Sacerdoti con 27 voti, a fronte di due voti per Dante Lattes e due schede bianche. Sorprendente poteva apparire la scelta di Sacerdoti, all’epoca della sua nomina appena ventiseienne e in possesso della laurea rabbinica superiore solo da circa un mese, ottenuta peraltro il 21 febbraio 1912 in anticipo sui tempi previsti. Chi caldeggiò la sua nomina fu Margulies, che era il rabbino più influente d’Italia, il quale spedì ad Angelo Sereni, presidente della Comunità ebraica di Roma, una lettera elogiativa su Sacerdoti raccomandandolo vivamente.
Sacerdoti si insediò a Roma con una grande cerimonia il 29 giugno 1912, alla presenza dei rappresentanti delle comunità ebraiche d’Italia e delle autorità civili. Quando fu nominato, non era ancora sposato. Secondo le cronache, il re Vittorio Emanuele III, che lo aveva ricevuto al Quirinale, lo invitò a trovare presto moglie. Il 29 ottobre 1913 sposò Gina Zevi, nella cui famiglia si annoverava il medico e rabbino Benedetto Zevi (1842-1899), nonno del noto architetto Bruno Zevi.
Uno dei ruoli per il quale Sacerdoti è maggiormente ricordato è l’attività di rabbino militare durante la prima guerra mondiale.
L’amico e commilitone Aristide Alatri così commemorava le sue qualità di «rabbino-soldato» che, insieme a un piccolo gruppo di rabbini militari, assisteva i combattenti ebrei «dall’alto Isonzo a Monfalcone, dal Carso al Montello [...]. Lo vedemmo durante i Kippurim di guerra a Ferrara, a Padova, a Verona, dove le tradotte scaricavano i vagoni ripieni a centinaia di soli combattenti ebrei, che mercé il suo interessamento potevano trascorrere la maggior solennità dell’anno raccolti nel tempio, e indossare il talled sulla logora divisa grigio-verde» (La comunità israelitica, 1935, pp. 28 s.).
L’istituzione del rabbinato militare si realizzò principalmente grazie a Sacerdoti e a Sereni, seppur all’inizio con qualche difficoltà da parte sia della Croce rossa italiana sia degli stessi rabbini e dirigenti comunitari. Per Sacerdoti, la necessità del rabbinato militare era giustificata dal dover assicurare i conforti religiosi ai combattenti ebrei, che sull’onda dell’emancipazione da poco raggiunta partecipavano spesso con entusiasmo alla difesa della Patria, finalmente considerata anche propria. Ma oltre a questo aspetto, c’era la volontà politica di manifestare con orgoglio le aspirazioni ebraiche religiose e nazionali.
Sacerdoti fu infatti un acceso sostenitore della causa sionista. Da abile politico riuscì a tessere fattivi contatti con Benito Mussolini, che invece vedeva nel sionismo uno strumento nelle mani dell’imperialismo inglese. In un colloquio del 6 dicembre 1923 rassicurò Mussolini e lo convinse a prendere le distanze dai partiti antisemiti stranieri; in un successivo colloquio, nell’aprile del 1932, Sacerdoti lo incontrò affinché intervenisse presso Adolf Hitler per attenuare la campagna antisemita, e il 20 aprile 1933 chiedeva a Mussolini di tentare un estremo intervento per mitigare i provvedimenti emanati in Germania.
Nel settembre dello stesso anno, in occasione del Capodanno ebraico, così Sacerdoti si esprimeva in un discorso pronunciato nella Sinagoga maggiore di Roma gremita: «L’applicazione metodica dei provvedimenti legali emanati dal Governo tedesco contro i “non ariani” persegue senza infingimenti uno scopo ben chiaro e definitivo: la soppressione della collettività ebraica che da secoli, per non dire da millenni, viveva in Germania affermandosi in ogni forma di attività materiale e spirituale. Un ministro del Reich parlando degli ebrei ha con brutale sincerità dichiarato: “Noi non compiamo nessuna violenza contro gli ebrei ma li teniamo come pesci in una vasca; ogni giorno togliamo dalla vasca un poco d’acqua finché essi morranno come i pesci privati del loro elemento vitale”. [...] Pare incredibile che [...] si possa ancora senza suscitare la reazione efficace dei contemporanei parlare di discriminazioni di razze e dannare alla soppressione lenta ma fatale migliaia e migliaia di uomini nient’altro colpevoli che di discendere da stirpe diversa sì, ma di civiltà altissima e che l’opinione pubblica mondiale dopo il primo grido di protesta possa adattarsi a considerare come naturali simili eventi» (Archivio storico della Comunità ebraica di Roma, Fondo Angelo Sacerdoti, b. 37: Derashot).
Contemporaneamente allo sviluppo del rabbinato militare, Sacerdoti promosse l’istituzione, nel 1917, della Federazione rabbinica italiana, la prima organizzazione rabbinica nazionale. Un altro progetto cui a lungo mirò fu il trasferimento del Collegio rabbinico italiano (la scuola addetta alla formazione di nuovi rabbini) da Firenze a Roma, cosa che finalmente si realizzò nel settembre del 1933 grazie anche alla nomina di Umberto Cassuto, che del Collegio era il docente di punta, alla cattedra di ebraico e lingue semitiche comparate all’Università La Sapienza di Roma. Sacerdoti, divenuto direttore, ebbe così modo di rilanciare il Collegio rabbinico, che accolse studenti provenienti dalle comunità italiane, dalle colonie, dal bacino del Mediterraneo e dall’Europa settentrionale.
Ebbe anche grande parte nella nuova legge italiana che regolamentò la vita delle comunità ebraiche.
Nel corso del suo lungo rabbinato, interrottosi però prematuramente, Sacerdoti era diventato «di fatto il supremo capo del rabbinato italiano [...] la figura rappresentativa dell’ebraismo italiano in seno all’ebraismo mondiale [...]; e ormai per gli ebrei d’oltr’alpe e d’oltre mare, da Varsavia a New York, da Londra al Cairo, l’ebraismo italiano si impersonava in Angelo Sacerdoti», come si espresse Cassuto nell’elegia funebre al trigesimo (In memoria di Angelo Sacerdoti, 1936, p. 56).
Con il gradimento del governo italiano Sacerdoti rappresentò l’Unione delle comunità israelitiche italiane in seno ai consigli di presidenza del Comité des délégations juives a Parigi, del Comité pour le Congrés juif mondial a Ginevra e della Confederation universelle des juifs sepharadim a Parigi. Fu eletto a far parte del Comitato per gli studi sulla emigrazione, un organo dell’American Jewish Committee di New York, e rappresentò l’Italia nella II e III Conferenza ebraica mondiale (Ginevra, 1933 e 1934) e nel Congresso del Comitato centrale per il soccorso degli ebrei tedeschi (Londra, 1933). Speciale risonanza ebbero sulla stampa estera i suoi discorsi a Londra il 12 novembre 1933 e a Ginevra il 22 agosto 1934. Fra le sue tante missioni all’estero, rappresentò insieme a rav Dante Lattes il governo italiano all’inaugurazione dell’Università ebraica di Gerusalemme il 1° aprile 1925.
Sacerdoti morì improvvisamente, all’età di 49 anni, il 18 febbraio 1935 (16 Adar I 5695), colpito da un’angina.
Gli imponenti funerali, il 20 febbraio, videro la partecipazione di migliaia di persone, gente comune, autorità civili, rabbini e rappresentanti delle comunità ebraiche di tutta Italia. In un lungo e niente affatto scontato articolo in cui rievocava il ruolo ricoperto da Sacerdoti, Dante Lattes scrisse che il rabbino di Roma aveva assunto «una posizione d’imperio e di guida negli organi e nelle funzioni più alte della vita ebraica in Italia» e che si «deve a lui se l’interesse dei maestri di Israele si è rivolto verso problemi più comprensivi che non fossero prima entro l’orizzonte della funzione rabbinica». Con Sacerdoti la figura del rabbino era uscita «un po’ fuori della sinagoga per abbracciare collo sguardo e coll’interesse nuovi problemi nella vita comunale e collettiva del nucleo ebraico d’Italia». Nell’immaginazione di Sacerdoti, secondo Lattes, «il rabbino appare non solo come il moderatore supremo della vita della sua comunità, al di sopra dell’amministrazione degli eletti dal suffragio del contribuente, ma anche come reggitore di tutta la vita degli Ebrei d’Italia» (Israel, 1935, pp. 3 s.).
Nonostante la morte prematura, Sacerdoti fu rabbino capo di Roma per un periodo considerevole, ventitré anni, ben più lungo rispetto a coloro che avevano ricoperto la massima cattedra rabbinica romana prima di lui. La durata del suo rabbinato, unitamente alle sue doti e al particolare periodo in cui fu rabbino di Roma (la prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo), ha fatto dire che l’arrivo di Sacerdoti fu «uno di quegli eventi che aiutano a distinguere un’epoca dall’altra, sia perché cadde in un momento di grandi trasformazioni, sia perché portò una ventata di efficienza e di iniziativa che rinforzò nettamente i timidi segnali di ripresa in atto dall’inizio del secolo nella vita della comunità» e che «Sacerdoti fu una vera colonna portante della comunità romana e dell’ebraismo italiano (suggeriva anche visivamente questa immagine per la sua mole considerevole)» (Caviglia, 1996, p. 127).
Fonti e Bibl.: Il Fondo Angelo Sacerdoti è conservato presso l’Archivio storico della Comunità ebraica di Roma; Fascismo e antisemitismo. Le rassicuranti dichiarazioni dell’on. Mussolini in un colloquio col Rabbino Maggiore di Roma, in Israel, 6 dicembre 1923; La Comunità israelitica, III, (1935), 3; Israel, XX (1935), 22 (numero dedicato a Sacerdoti); In memoria di A. S., Roma 1936; M. Falco, A. S. e la Legge sulle Comunità, ibid., pp. 34-39; A. Calò, La Genesi della legge del 1930, in La Rassegna Mensile di Israel, LI (1985), 3, pp. 337-366; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1988, ad ind.; S. Caviglia, L’identità salvata. Gli ebrei di Roma tra fede e nazione. 1870-1938, Roma-Bari 1996, ad ind.; M. Toscano, Religione, patriottismo, sionismo: il rabbinato militare nell’Italia della Grande Guerra (1915-1918), in Zakhor, VII (2005), pp. 77-133; F. Del Regno, Ebraismo, sionismo, fascismo: il magistero di A. S. a Roma negli anni 1922-1935, in La Rassegna Mensile di Israel, LXXIX (2013), 1-3, pp. 93-105; D.G. Di Segni, A. S., «il reggitore» degli ebrei d’Italia: la vita, gli studi e la nomina a rabbino capo di Roma, ibid., pp. 47-69; A.M. Piattelli, A. S.: la Federazione Rabbinica Italiana e il Collegio rabbinico italiano, ibid., pp. 71-92; D.G. Di Segni, I Rabbini di Roma dell’Ottocento e inizio Novecento, in Gli ebrei a Roma tra Risorgimento ed emancipazione (1814-1914), a cura di C. Procaccia, Roma 2015.