FRANCESCHI, Angelo Ranieri
Nacque a Pisa il 14 ott. 1735 da Francesco e da Clarice Gori Pannilini, nobile senese.
La famiglia Franceschi apparteneva alla nobiltà pisana e aveva ricoperto più volte il gonfalonierato a Livorno; era stata autorizzata a fondare una commenda dell'Ordine dei cavalieri di S. Stefano e a portarne le divise. Il padre del F. era stato promosso all'ufficio di priore di Pisa nel 1709. Il F. ebbe tre fratelli (Lelio Gaetano, Anton Paolo, gesuita, Prospero Giuliano) e due sorelle (Caterina e Maria Laura, entrambe professe nel monastero delle salesiane di Pistoia).
Ancora fanciullo, il F. fu affidato ai gesuiti del collegio dei nobili di Parma, dove apprese le "belle lettere" e la filosofia. Scelto lo stato ecclesiastico, nel 1751 ritornò a Pisa, ove compì gli studi ecclesiastici e il 24 nov. 1757 fu ordinato sacerdote. Dopo aver conseguito, il 29 apr. 1758, la laurea in utroque iure presso l'università di Pisa, si esercitò nella pratica forense a Firenze.
All'indomani dell'ordinazione ottenne il decanato della collegiata di Livorno, di patronato della sua famiglia; nell'agosto 1761 fu nominato coadiutore di una prebenda del capitolo di Pisa e, nell'ottobre 1763, ne divenne titolare. In quell'anno era vicario generale della diocesi di Pisa sotto mons. F. Guidi; nel 1766 venne nominato proposto della collegiata di Livorno. Inserito dal granduca Pietro Leopoldo nella terna dei candidati al vescovato d'Arezzo, il F. vi fu eletto vescovo nel novembre 1775.
Il governo della diocesi aretina lo vide impegnato nella visita pastorale, nella riorganizzazione economica e disciplinare dei monasteri (procedette alla soppressione di alcuni riunendoli ad altri di migliore situazione finanziaria) e nella promozione culturale del clero, mediante la creazione d'una accademia di ecclesiastici che una volta al mese si riuniva nel palazzo vescovile per discutere problemi di storia della Chiesa.
Preconizzato arcivescovo di Pisa nel concistoro del 20 sett. 1778, il F. vi fu traslato con bolla del 3 ottobre seguente. Pochi giorni dopo aver preso possesso dell'arcidiocesi, annunciò la prima delle due visite pastorali, che egli tenne con gli occhi attenti particolarmente alle strutture giuridiche e beneficiarie.
Nel periodo delle maggiori trasformazioni istituzionali della Chiesa toscana per opera di Pietro Leopoldo, il F. riuscì a svolgere un ruolo di primo piano nel condizionare i programmi e gli interventi granducali. La sua convinta avversione al radicalismo riformatore del gruppo di vescovi capeggiato da Scipione de' Ricci non lo condusse mai ad assumere posizioni oltranziste. Ciò gli giovò per mantenere un canale diretto col granduca e per mettere a frutto le sue indubbie capacità negoziali volte a scongiurare le misure più eversive dell'antico assetto ecclesiastico. Il F. si mostrò, complessivamente, un "interlocutore duttile ed intelligente nei confronti del granduca e dei suoi ministri" (Greco, La parrocchia, p. 207).
L'invito e, successivamente, le insistenze di Pietro Leopoldo perché fosse operata una ristrutturazione delle parrocchie urbane di Pisa, non trovarono il F. molto propenso, anche per i delicati equilibri di potere che essa avrebbe sconvolto. Gli interventi effettuati in questo settore furono, quindi, più il risultato di provvedimenti generali che non l'espressione di un piano organico. Tra la fine del 1783 e il 1785 si addivenne, comunque, alla soppressione di diverse parrocchie inadatte o poco funzionali e alla loro sostituzione con altre più capienti e maggiormente dotate, essendo state sedi di ordini religiosi ora soppressi (come S. Frediano, già dei barnabiti, S. Caterina, già dei domenicani, e S. Michele degli Scalzi, già dei monaci olivetani).
Sia nella fase di abolizione degli enti ecclesiastici considerati inutili sia nella riforma parrocchiale, il F. intervenne costantemente per perorare soluzioni di compromesso che da un lato smorzassero la conflittualità e le resistenze opposte dal capitolo della primaziale e da una porzione dello stesso clero secolare, dall'altro allargassero e rinsaldassero i poteri dell'ordinario diocesano su una realtà diocesana fino allora fortemente composita e sfuggente.
Una maggiore collaborazione s'instaurò fra il F. e Pietro Leopoldo nel campo della formazione del clero secolare. L'arcivescovo, in un primo tempo, aveva pensato d'erigere un seminario-collegio che servisse anche per i laici, ma ben presto si ricredette sulla fattibilità del progetto e si sforzò, invece, di dare rapida attuazione a quello granducale, che prevedeva la creazione in alcune diocesi, fra cui Pisa, d'una accademia ecclesiastica per il tirocinio pastorale e la specializzazione dei sacerdoti appena ordinati. Nel 1784 egli propose al granduca un articolato piano per l'erezione dell'istituto, che doveva essere unito al seminario diocesano e trovar sede nell'ex convento di S. Caterina. Lo stesso F. contribuì con proprio denaro e diresse i lavori di adattamento dei locali alla nuova struttura che, dotata dei beni già appartenenti ai domenicani, fu inaugurata il 15 novembre dello stesso anno.
Durante il governo episcopale pisano le maggiori frizioni che il F. si trovò ad affrontare provennero dal proposto di Livorno, Antonino Baldovinetti. Questi, godendo il favore granducale, nella primavera 1785 propose un piano di riforma della Chiesa labronica che portava alle estreme conseguenze i principî ricciano-leopoldini. Proprio in seguito ai pareri fortemente critici del F. e del vescovo d'Arezzo, N. Marcacci, Pietro Leopoldo eliminò dal programma "tutto quello che loro [i due vescovi] disapprovavano" (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Stato, 1785, Protocollo XVII straordinario, ins. 44). L'orientamento del F. era rivolto a favorire l'attuazione completa dei decreti tridentini ma non lasciava spazio ad alcuna innovazione nel campo della disciplina ecclesiastica. Il fatto che la Chiesa antica non possedesse né beni stabili né benefici ecclesiastici a causa delle persecuzioni dello Stato non autorizzava certamente a considerare questi ultimi contrari alla sua organizzazione. Dunque - affermava il F. - "se nella collazione dei medesimi vi sono degli abusi, facil cosa è il rimediarvi, tenendo nella rigorosa osservanza quanto viene su tal proposito stabilito dai canoni, dalle costituzioni apostoliche e dalle leggi sovrane" (ibid.).
Queste medesime posizioni furono riproposte in modo circostanziato durante l'assemblea dei vescovi toscani della primavera 1787. In quell'occasione il F. si distinse per il numero degli interventi diretti a controbattere le proposte del Ricci e dei suoi seguaci. Già nella prima sessione egli contestò, con una memoria apposita, le norme procedurali (cfr. Atti dell'assemblea degli arcivescovi e vescovi di Toscana, tenuta in Firenze nell'anno 1787…, II, Firenze 1787, pp. 91 ss.); successivamente, le sue argomentazioni si rivolsero - con l'aiuto dei consultori C. Sarti e G.M. Lampredi - a negare il preteso diritto dei parroci di votare nei sinodi diocesani (ibid., pp. 173 ss.) e a difendere la sussistenza degli oratori domestici (ibid., III, pp. 52 ss.), la recita silenziosa del canone della Messa (pp. 149 ss.), l'uso di tenere le sacre immagini coperte (pp. 208 ss.), le prerogative ecclesiastiche in materia matrimoniale (pp. 489 ss.). Oltre a queste, altre due memorie, già predisposte dal F. durante l'assemblea fiorentina, sono state recentemente edite dal Gori (A. F., pp. 312 ss.).
L'opposizione alle riforme, condotta sempre con cautela, se raffreddò le relazioni fra il F. e il Ricci, che assunse nei suoi riguardi toni polemici, non sembra provocasse alterazioni d'atteggiamento in Pietro Leopoldo che, al momento di lasciare la Toscana, parlò del F. come di "uomo convenientissimo al governo" (Relazioni sul governo della Toscana, I, p. 70).
Dopo che la politica ecclesiastica toscana abbandonò le suggestioni riformiste e rientrò nei binari giurisdizionalisti, l'azione del F. si andò esplicando in due direzioni. Da un lato si adoperò per sanare alcune fratture interne alla sua diocesi (emblematica la sua mediazione tra il governo e i tumultuanti di Livorno nel 1790 e quella con la S. Sede per riabilitare il teologo P.M. Del Mare, un tempo filoricciano), dall'altro promosse, insieme con gli arcivescovi di Firenze e di Siena, alcune petizioni perché il nuovo granduca Ferdinando III revocasse la legislazione leopoldina. E in effetti, nel corso dell'anno seguente, i vescovi vennero reintegrati di alcune essenziali prerogative canoniche. Uno degli aspetti sui quali, tuttavia, Ferdinando III non aveva fatto concessioni era quello degli sponsali, regolati dal motu proprio 9 nov. 1790.
Se appare indubbia l'importanza assunta dal F. come metropolita nelle vicende religiose e politiche della Toscana a cavallo fra Sette e Ottocento, mancano, al momento, studi che chiariscano la sua linea d'azione durante la dominazione francese e napoleonica. I biografi ottocenteschi non mancano di mettere in risalto, anche nell'ultimo periodo della sua vita, il particolare interesse per la mensa e il palazzo arcivescovili, la chiesa primaziale, l'università pisana (di cui era, per diritto, gran cancelliere) e il seminario di S. Caterina, che beneficiò di parte del patrimonio personale per legato testamentario.
Il F. morì a Pisa il 14 marzo 1806.
Fonti e Bibl.: Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, II, Firenze 1941, p. 618 n. 2 e ad Indicem; Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I, Firenze 1969, p. 70; S. Ciampi, Synopsis vitae A. F. archiepiscopi Pisani, in Giornale pisano, n. 11, marzo-aprile 1806; A. Zobi, Storia civile della Toscana…, III, Firenze 1851, pp. 53 s.; Brevi memorie della vita di mons. A. F. arcivescovo di Pisa, Pisa 1906; N. Zucchelli, Appunti e documenti per la storia del seminario arcivescovile di Pisa, Pisa 1906, pp. 44-89; Id., Cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Pisa, Pisa 1907, pp. 233-238; G. Gazzaniga, Un giansenista toscano, A. Baldovinetti proposto di Livorno, in Boll. storico livornese, III (1939), pp. 119 ss.; C. Cognetti, La riforma degli sponsali e del matrimonio nel pensiero di Scipione de' Ricci, in Il Diritto ecclesiastico, LXXI (1960), pp. 339 ss.; R. Gori, A. F. arcivescovo di Pisa dal 1778 al 1806, in Boll. stor. pisano, XLII (1974), pp. 289-317; G. Greco, La parrocchia a Pisa nell'età moderna (secc. XVII-XVIII), Pisa 1984, pp. 206-248; A. Tafi, I vescovi di Arezzo, Cortona 1986, p. 162; C. Fantappiè, Riforme ecclesiastiche e resistenze sociali, Bologna 1986, pp. 286 s.; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VI, Patavii 1958, pp. 99, 339.