OLIVETTI, Angelo Oliviero
OLIVETTI, Angelo Oliviero. – Nacque a Ravenna il 21 giugno 1874 da Emilio e da Amalia Padovani, ambedue di agiate condizioni economiche.
Il padre intraprese la carriera militare fino al grado di colonnello, mentre la madre, figlia del banchiere e vicesindaco di Bologna Angelo Padovani, frequentava gli ambienti culturali più vivaci della città grazie alle amicizie paterne con Giuseppe Mazzini e Marco Minghetti.
Compiuti gli studi liceali al Collegio Cicognini di Prato, nel 1895 si laureò in legge a Bologna, con una tesi sull’assegnazione coloniaria nel diritto e nella vita romana, pubblicata in volume tre anni dopo.
Durante gli anni universitari svolse un’intensa attività politica per il Partito dei lavoratori italiani, sorto nell’agosto 1892, contribuendo alla costituzione di numerose sezioni socialiste nella regione tosco-emiliana. Nel gennaio 1897 fu denunciato e arrestato per ingiurie contro il ministro della Pubblica Istruzione Emanuele Gianturco e tradotto nel carcere di Bologna, dove restò 17 giorni. Prosciolto in istruttoria, nello stesso anno, il 18-20 settembre, partecipò a Bologna al V Congresso nazionale del Partito socialista italiano (PSI). Nei mesi successivi si attivò contro il disegno di legge sul domicilio coatto e diede alle stampe l’opuscolo Sciopero in risaia, in cui ribadiva la sua fede socialista con toni sprezzanti verso il ceto padronale e la monarchia.
Denunciato per vilipendio alle istituzioni, nel maggio 1898 riparò a Lugano, dove pubblicò l’opuscolo La storia di un delitto che fu sequestrato per istigazione all’odio fra le classi. Un altro opuscolo, Gli ultimi avvenimenti d’Italia e la strage di Milano, dello stesso anno, gli procurò l’incriminazione per offese al sovrano e l’avvio della procedura per l’espulsione dalla Svizzera. Colpito da mandato di cattura, fu condannato in contumacia dalla corte di assise di Firenze a tre anni e tre mesi di carcere per lo scritto Le lendemain des massacres et à la veille de l’amnistie, pubblicato nel 1899 sul quindicinale parigino Revue des Revues. Durante gli anni trascorsi in Svizzera collaborò alla Gazzetta ticinese e alla Piccola rivista ticinese, dimostrando una vastità di interessi culturali che spaziavano dalle opere letterarie a quelle di psicologia e di sociologia della folla. Grazie alle sue possibilità economiche poté acquistare una villa, che trasformò in un salotto politico-letterario, frequentato da fuoriusciti italiani come Angelica Balabanoff, Alceste De Ambris, Benito Mussolini, Giacinto Menotti Serrati.
A Lugano nel 1900 sposò Berta Offenhäuser, da cui ebbe due figli: Livia, nel 1901, ed Ezio Maria, nel 1904.
Tornato in Italia in seguito all’amnistia del 1900, riprese l’attività politica, che svolse soprattutto nella Lomellina, dove si candidò nel Collegio di Sannazzaro de’ Burgondi. La mancata elezione lo portò nuovamente a Lugano, da dove inviava articoli all’Avanti! e ad altre testate socialiste, esprimendo simpatie per il sindacalismo rivoluzionario, su cui diede un contributo teorico col volume Problemi del socialismo contemporaneo (Lugano 1906).
Nel 1907 diede vita al periodico Pagine libere, che sin dal primo fascicolo, apparso il 15 dicembre, si propose di conciliare sindacalismo rivoluzionario e nazionalismo, sottolineando le analogie fra i due movimenti e mettendo in rilievo come queste fossero più incisive delle differenze relative alla visione eroica della vita. Questo processo di avvicinamento, auspicato da Olivetti in molteplici suoi interventi, trovò il punto di approdo nel sostegno alla guerra di Libia, che ebbe le simpatie dei nazionalisti. La convergenza dei due movimenti, seppure sostenuta dal settimanale La Lupa diretto da Paolo Orano, provocò una frattura nel sindacalismo rivoluzionario e la cessazione di Pagine libere: capi prestigiosi, come Filippo Corridoni e De Ambris, rifiutarono infatti la linea di Olivetti, proponendo lo sciopero generale contro la guerra.
In un’inchiesta promossa nel 1912 da Arturo Salucci (1913, p. 175), Olivetti chiarì il suo pensiero, dichiarandosi favorevole al nazionalismo «come affermazione della volontà di vita e di potenza della stirpe», ma contrario se «concepito come espressione di un partito» e invischiato «nel gioco convenzionale della politica». Questa visione aristocratica del nazionalismo coincideva con quella sindacalista di Olivetti, che indicava nello scontro di minoranze il terreno più fertile per una trasformazione della realtà sociale. Attraverso una precisazione di assonanze, sviluppate negli anni compresi tra la guerra di Libia e il primo conflitto mondiale, egli valorizzò gli aspetti comuni dei due movimenti, che trovarono il loro punto di convergenza nell’interventismo.
Nel maggio 1912 fu espulso dalla Svizzera per alcuni articoli, apparsi sul Giornale degli Italiani di Lugano, contro l’invadenza tedesca nella Confederazione elvetica. Stabilitosi a Milano, s’impegnò attivamente nell’Unione sindacale italiana, promuovendo una linea autonoma e contraria all’indirizzo riformista della Confederazione generale del lavoro (CGdL). Sempre a Milano, all’inizio della prima guerra mondiale, fu tra i promotori del fascio rivoluzionario d’azione internazionalista, e contribuì alla stesura dell’appello, rivolto il 5 ottobre 1914 ai lavoratori italiani, per l’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa. Il 10 ottobre riprese Pagine libere, che presentò come l’organo ufficiale del fascio con l’auspicio di unire nel fronte interventista le forze del ‘sovversivismo’ italiano. L’editoriale di presentazione della nuova serie (Ricominciando..., 10 ottobre 1914) rivendicava in nome del realismo politico la riscoperta dei «motivi di nazionalità» e proponeva la conciliazione della «rivoluzione sociale col fatto nazionale».
Sulla base di questo programma ribadì per tutta la durata della guerra l’importanza dei valori nazionali e patriottici, accogliendo con favore la pubblicazione del settimanale L’Italia nostra, diretto da Edmondo Rossoni. Proprio su questo organo sottopose a una nuova lettura il rapporto tra identità nazionale e movimento operaio, che nella conciliazione tra istanze classiste e valori patriottici doveva ritrovare «la coscienza collettiva di una stirpe, di una gente, di un popolo» (Nazione e classe, 1° maggio 1918). Le censure più aspre furono rivolte ai socialisti, che avevano tradito gli interessi nazionali in nome di un vacuo pacifismo e di un assurdo internazionalismo proletario. In molteplici articoli su Pagine libere, criticò il loro atteggiamento verso la rivoluzione russa, che aveva dato vita a un regime «dispotico e personale» per l’autoritarismo di Lenin e l’inconsistenza politica del gruppo bolscevico (Il mito comunista e la realtà sindacale, 15 marzo 1920).
Nel 1918 organizzò l’Unione italiana del lavoro (UIL) con lo scopo di unificare le forze sindacali di sinistra. Nell’ambito di questo progetto, il 12 ottobre 1922 fondò a Milano il settimanale La Patria del popolo, con il quale promosse un indirizzo «sindacalista-dannunziano», proponendosi come obiettivo una costituente operaia ispirata ai principi del Manifesto dei sindacalisti. Il 9 dicembre, con De Ambris, Ettore Gaetani e Rinaldo Rigola, preparò e diffuse un programma, i cui principi ispiratori erano indicati nella Carta del Carnaro (1920) con la valorizzazione della nazione e l’indipendenza del sindacato da qualsiasi partito politico. Sulla scia di questi principi, ricavati da un’intransigente difesa della costituzione fiumana e sviluppati negli anni successivi alla marcia su Roma, Olivetti maturò l’adesione al fascismo, influenzando le posizioni del figlio, Ezio Maria, che non poté sviluppare le sue elaborazioni politiche per la prematura scomparsa avvenuta il 19 luglio 1932.
Nel 1924, sostenuto da Mussolini, fece parte della Commissione dei Quindici, l’anno successivo divenuta dei Diciotto, per la riforma costituzionale dello Stato. In questi organismi condusse una vivace battaglia contro il monopolio sindacale di Rossoni, ma non ottenne le sue dimissioni dall’incarico di segretario delle corporazioni (cfr. Manifestazioni sindacali, in L’Idea sindacalista, 13 maggio 1925). Così la sua proposta di concedere la libertà a tutti i sindacati fu sconfitta a favore di una linea corporativa, volta a raggruppare in un solo organismo sindacati della medesima arte o mestiere. Nel 1927 contribuì in modo indiretto alla stesura della Carta del lavoro, la cui parte relativa alla definizione del lavoro come «funzione economica e sociale» e come «fatto nazionale» ricalcava la sua concezione politica improntata al carattere obbligatorio del contratto collettivo, all’indennità di licenziamento e al controllo dello Stato sulla produzione.
Nel 1929 scrisse una lunga prefazione al Corso sugli scrittori politici italiani di Giuseppe Ferrari, in cui cercò di riabilitare il suo pensiero sul Risorgimento, indicando lo scrittore lombardo come precursore del fascismo e dei suoi aspetti culturali sul piano filosofico e politico. In una serie di articoli apparsi in molteplici periodici e raccolti nel volume Lineamenti del nuovo Stato italiano (1930), considerò il fascismo come il naturale compimento del Risorgimento per il suo progetto politico unitario fondato sul corporativismo e nell’identità di Stato e Nazione. L’anno dopo la pubblicazione di una Storia critica dell’utopia comunistica (1930), fu nominato docente ordinario presso la facoltà di Scienze politiche di Perugia.
Morì per infarto a Spoleto il 17 novembre 1931.
Scritti di Olivetti si trovano in Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, a cura e con introd.di F. Perfetti, Roma 1984, pp. 127-318.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio del Comune, Civiche raccolte storiche, Fondo A.O. Olivetti; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Casellario politico centrale, b. 3586; Il nazionalismo giudicato da letterati, artisti, scienziati, uomini politici e giornalisti italiani, a cura di A. Salucci, Genova 1913, pp. 175-177; R. De Felice, Mussolini il fascista. La conquista del potere, 1921-1925, Torino 1966, pp. 70, 287, 604, 670; F. Malgeri, La guerra libica (1911-1912), Roma 1970, pp. 217, 230-232; F. Cordova, Le origini dei sindacati fascisti 1918-1926, Roma-Bari 1977, ad ind.; G.B. Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario italiano. Problemi di storia, Milano 1977, ad ind.; A. Andreasi, in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, 1853-1963, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1978, pp. 11-14; Bibl. dei periodici del periodo fascista 1922-1945, Roma 1983, ad ind.; W. Gianinazzi, Intellettuali in bilico. “Pagine libere” e i sindacalisti rivoluzionari prima del fascismo, Milano 1996, ad ind.; G. Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna 2000, ad ind.