ROVELLI, Angelo Nino Vittorio (Nino). – Nacque il 10 giugno 1917 a Olgiate Olona (Varese)
, terzogenito di una famiglia della piccola borghesia, da Felice e da Orsola Ciocca.
Studiò al liceo classico del collegio arcivescovile Rotondi di Gorla Minore. Si immatricolò al Politecnico nell’anno accademico 1935-36 e prima ancora di laurearsi in ingegneria industriale, sottosezione meccanica, nel 1940, si lanciò negli affari: grazie all’appoggio del padre, tecnico di una società che produceva cotone idrofilo, nel 1936 acquistò un fondo a Solbiate Olona per insediarvi la ditta Fonderie ed officine Rovelli, che specializzò nella costruzione di macchinari per le piccole imprese meccaniche del ricco tessuto produttivo lombardo (e alla quale nel dopoguerra aggiunse una fonderia per acciai inossidabili).
Le sue precoci abilità tecniche si intravidero già negli anni di guerra, quando brevettò alcune macchine operatrici. La crescita delle attività di Rovelli si fece più intensa con la fine del conflitto, e con essa anche le esigenze finanziarie. È negli anni del Piano Marshall che spiccò letteralmente il volo, tanto da rappresentare un classico esempio di self-made man del dopoguerra: capace, innovativo, ma anche lesto nel cogliere le opportunità di un sistema economico e finanziario in via di rapida trasformazione e dove non mancavano le risorse, se si trovava la strada giusta per arrivarci. Individuò questa strada nell’Istituto mobiliare italiano (IMI). Sorto negli anni Trenta nell’ambito del processo di riorganizzazione del credito industriale – che portò, tra l’altro, alla nascita dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e alla trasformazione delle maggiori banche del Paese (la Commerciale e il Credito italiano) in semplici banche commerciali, non più autorizzate a svolgere operazioni di finanziamento industriale a medio e lungo termine –, l’IMI si guadagnò un’immagine molto positiva non solo nei suoi primissimi anni di vita, ma soprattutto quando venne identificato dal governo come il braccio finanziario di tutte le operazioni legate alla gestione degli aiuti americani. È difficile appurare come Rovelli, allora ancora un imprenditore tra i tanti che si davano da fare nell’Italia della ricostruzione, riuscì ad avere delle entrature importanti presso l’IMI, contatti che gli consentirono di stabilire un rapporto diretto e privilegiato con Stefano Siglienti, dapprima commissario e poi presidente dell’Istituto. Probabilmente alcune sue amicizie politiche, soprattutto quella con Giovanni Gronchi, ministro dell’Industria nel secondo e nel terzo governo Bonomi, tra il 1944 e il 1945, ebbero un ruolo nel favorirgli i contatti giusti. L’IMI fu generoso nei confronti delle sue richieste: dopo il primo – piccolo – finanziamento di 40.000 dollari, erogato l’11 ottobre 1949, per acquisti da effettuarsi negli Stati Uniti, negli anni seguenti vennero erogati importi molto più consistenti.
Nel frattempo, però, molte cose erano cambiate e a numerosi livelli. Personaggio dal carattere esuberante, grande frequentatore di sale da ballo (insieme ad Angelo Moratti e Aldo Ravelli, con cui condivideva il passato liceale), grande affabulatore, vagamente somigliante all’attore americano Clark Gable (tanto da meritarsi il soprannome di ‘Clark Gable della Brianza’, forse da parte di Enrico Cuccia, il ‘capo’ di Mediobanca, di cui fu acerrimo avversario), nel febbraio del 1948 partecipò alle Olimpiadi invernali di Saint Moritz (Svizzera) alla testa del secondo equipaggio del bob a quattro dell’Italia, giungendo undicesimo.
La sua passione per lo sport lo spinse a cimentarsi, oltre che nei go-karts, anche come pilota di auto da corsa, partecipando per diversi anni alla Mille Miglia.
Decisamente meglio andò nel campo degli affari. Sempre nel 1948 rilevò la Società italiana resine (SIR), un’impresa chimica con un capitale sociale di 30 milioni di lire, fondata nel 1931 da Giacomo e Alessandro Girardi, con stabilimenti a Sesto San Giovanni che producevano termoindurenti, resine da stampaggio e vernici.
La scommessa era rischiosa ma anche ricca di opportunità: la domanda interna di prodotti chimici, specie per l’agricoltura, era in forte crescita in quegli anni; in particolare, i prodotti derivati dal petrolio sembravano offrire prospettive promettenti grazie alle numerose raffinerie costruite in quel periodo in diverse parti del Paese per mano di imprenditori italiani sorti, come Rovelli, un po’ dal nulla. In uno spazio dominato da un gigante, la Montecatini, e nel quale ben presto avrebbe fatto la sua comparsa anche un altro grande gruppo industriale italiano, la Edison – per diversificare la sua produzione dall’elettricità alla chimica –, esistevano infatti importanti sacche di mercato che non erano coperte dai grandi operatori.
Per essere competitivi, però, occorreva una massa critica sufficientemente ampia. A tale scopo Rovelli compì due operazioni decisive nel 1952: rafforzò la sua posizione entrando come consigliere nella Società anonima costruzioni industriali e nella Società anonima lavorazioni chimiche e imballaggi metallici, fondate rispettivamente nel 1919 e nel 1920 da Giovanni Parma, Achille Landriani e Gerolamo Colombo. Consigliere delegato della SIR dal 1952, avviò una fase nuova per la società che si poteva intravedere fin da quando ne era diventato l’azionista di maggioranza: la diversificazione e l’estensione delle attività in campo chimico e petrolchimico, un piano che si basava su una forte propensione all’innovazione tecnologica e su un programma di integrazione verticale che doveva coprire l’intero ciclo produttivo, dal petrolio greggio ai prodotti finiti. Nel 1953 iniziò pertanto la costruzione di uno stabilimento petrolchimico a Solbiate Olona che sarebbe stato inaugurato nel 1957. Nel 1954, il medesimo anno in cui Rovelli sposò Primarosa Battistelli (un’attrice di origini milanesi con qualche apparizione in pellicole con Totò e Walter Chiari, un promettente inizio teatrale e qualche esperienza positiva in televisione; dalla loro unione sarebbero nati Angelo, Felice, Oscar e Rita), la SIR realizzò il primo impianto italiano per la fabbricazione di cumene, un composto organico essenziale per i poliesteri. Lo stesso anno comprò per poche decine di milioni la Brill di Giulio Riva (padre di quel Felice Riva che una dozzina d’anni più tardi sarebbe stato protagonista di un rovinoso fallimento e di una condanna per bancarotta fraudolenta, non scontata grazie a una rocambolesca fuga che lo avrebbe portato infine in Libano). La Brill era un’industria di medie dimensioni, nota soprattutto per il lucido da scarpe, con sede ad Affori, alle porte di Milano. Rovelli prese a produrvi – primo in Italia – il dodecilbenzene, un composto organico alla base della fabbricazione dei più comuni detersivi. Due anni più tardi iniziò pure la fabbricazione di fenolo e di acetone.
Erano momenti di intenso sviluppo economico quelli in cui puntò sulla petrolchimica, ma chi arrivava per primo su un prodotto, di solito, poteva contare su vantaggi competitivi enormi rispetto ai concorrenti. Le prospettive per Rovelli e per la SIR erano molto promettenti e ciò spiega la grande disponibilità di risorse che l’IMI mise a disposizione a più riprese in quegli anni: l’imprenditore ottenne un finanziamento quadriennale di 100 milioni nel 1955 e nel 1962 un mutuo di quattro anni per 420 milioni (in entrambi i casi coperti dalla fonderia), mentre la SIR poté contare su linee di credito dello stesso istituto per 70 milioni nel 1953, 300 nel 1957 e altri 730 due anni più tardi, quasi sempre a tassi molto contenuti.
Sul finire degli anni Cinquanta il consiglio d’amministrazione della SIR prese una decisione che avrebbe segnato profondamente la vita successiva dell’impresa: lo sviluppo delle attività della società si sarebbe svolto in Sardegna, più precisamente a Porto Torres, località molto più adatta per realizzare il ciclo completo del petrolio. L’insediamento si completò in tre fasi: tra il 1961 e il 1965 furono realizzati gli impianti per le medesime produzioni che la SIR otteneva negli stabilimenti lombardi; nel 1965 venne inaugurato il primo steam cracker (l’impianto in cui si ottengono idrocarburi paraffinici leggeri per rottura delle molecole di idrocarburi paraffinici pesanti), che permise all’azienda di sviluppare enormemente la produzione di etilene, ulteriormente aumentata dal 1969 dopo il completamento del secondo stabilimento; nel 1967, infine, la costruzione della raffineria della controllata Sardoil garantì al gruppo l’autonomia a tutti i livelli del ciclo. A quel punto la gamma delle produzioni del gruppo SIR si estendeva ai derivati petroliferi, alle fibre, ai poliesteri, agli idrocarburi aromatici, alle materie plastiche e alle gomme sintetiche. Per realizzare interventi di tale portata furono necessari ulteriori mezzi finanziari che vennero apportati, oltre che dall’IMI (che aveva nella SIR il maggiore debitore: tra il 1961 e il 1971 i crediti industriali erogati alla società di Rovelli salirono dal 19,8% al 27,1% dell’insieme dei finanziamenti industriali), anche dal Banco di Sardegna e dal Credito industriale sardo (CIS).
A tutto il 1970 il gruppo SIR aveva investito in Sardegna 355 miliardi di lire in immobilizzi industriali (410 se si tiene conto degli oneri capitalizzati e delle merci in magazzino) attraverso l’indebitamento a medio e lungo termine e grazie anche a contributi pubblici a fondo perduto erogati dalla Cassa per il Mezzogiorno, dalla Regione Sardegna e da diverse leggi per l’industrializzazione del Mezzogiorno, la 634 del 1957, che consentiva di ricevere contributi a fondo perduto fino al 20% dei costi, e la 623 del 1959, che fissava i tetti dei tassi di interesse al 3% sul 70% dell’investimento. Per usufruire a pieno di tutte queste agevolazioni Rovelli, insieme alla mente finanziaria del gruppo, Oscar Zuccolotto, ideò un piano che, nel pieno rispetto delle leggi, consisteva nel creare tante piccole società con un capitale di 1 milione di lire sottoscritto per il 90% dalla SIR (saranno 54 alla fine del 1969, quando la società ottenne il premio Top 20 dall’americana Sales and Marketing Executives International). Del resto, Rovelli era diventato sempre più ‘potente’ (nel 1964 assunse una partecipazione nella Rumianca, una società fondata nel 1915 da Riccardo Gualino, e nel 1968, quando fu nominato cavaliere del lavoro, assunse il doppio incarico di amministratore delegato e vicepresidente; tra le controllate della Rumianca trovò anche la Lux film, una gloriosa casa cinematografica che aveva prodotto, tra gli altri, Riso amaro, ma che dal 1954 si limitava alla distribuzione e una volta nell’impero chimico non ebbe sorte migliore), ma anche sempre più capace di influenzare l’opinione pubblica: nel 1967 divenne il proprietario del quotidiano Nuova Sardegna e, attraverso un prestanome, anche della più antica testata dell’isola, l’Unione sarda.
Sempre nel 1967, insieme ad Angelo Moratti (proprietario delle raffinerie della Saras, presidente del Football club Internazionale di Milano) e ad alcune altre imprese industriali sarde, acquisì la quota di controllo del club del Cagliari, garantendo i finanziamenti necessari per trattenere in Sardegna Gigi Riva, il giocatore più rappresentativo, ambito dalle maggiori società di serie A, e costruire così la squadra che nel 1970 avrebbe vinto lo scudetto.
Da alcuni anni Rovelli si interessava anche a nuove attività in altre regioni meridionali. Nel 1960, insieme con l’Ente minerario siciliano, costituì la Società anonima raffineria Palermo, dotandola di cinque stabilimenti chimici e petrolchimici nella zona tra Licata e Palma di Montechiaro. Nel 1962 creò tre società in Calabria – la Sud italiana resine, la Fivesud e la Lamisud per la produzione di resine, urea, fibre di vetro e laminati plastici – con un investimento complessivo di quasi 230 miliardi di lire, realizzato grazie a un nuovo mutuo IMI di 143 miliardi e a 27,5 miliardi a fondo perduto. Nel 1972 finanziò la nascita del Giornale di Calabria, politicamente vicino a Giacomo Mancini. Negli anni successivi i finanziamenti per le tre imprese si moltiplicarono: al 1975 erano pari a 654,5 miliardi per la Fivesud, a 288,7 per la Lamisud e a 13,3 per la Sud italiana resine, anche se nessuno dei tre stabilimenti entrò mai in attività. Nei primi anni Settanta avvenne lo ‘sbarco’ in Campania: nel 1972 costituì la Sirette, la Sirester, la Stirosir e la Sirpack, ciascuna con un capitale di 1 milione di lire, secondo l’ormai consueta procedura che divenne nota come ‘rovellizzazione’; le società ricevettero complessivamente 34 miliardi di finanziamenti deliberati dall’Istituto per lo sviluppo economico dell’Italia meridionale (Isveimer) e ai quali parteciparono l’IMI e l’Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità (ICIPU). Nel 1974, tuttavia, il programma della Sirester venne annullato e quello delle altre tre società notevolmente ridimensionato.
I fiumi di finanziamenti non si arrestarono nella prima metà degli anni Settanta. Forte dell’appoggio di Giulio Andreotti (presentatogli forse da Giulio Riva) e del sostegno, nel Partito socialista italiano (PSI), di Giacomo Mancini, continuò a ricevere enormi importi di denaro sotto forma di mutui, finanziamenti agevolati o a fondo perduto, che, alla lunga, divennero strategici per gli equilibri finanziari del gruppo, peraltro sempre più instabili. Fino a tutto il 1973 (anno in cui entrò nella giunta di Confidustria) la SIR aveva effettuato investimenti per 1086 miliardi, 609 dei quali erano stati possibili grazie ai contributi statali. Tra il 1963 e il 1974 aveva ottenuto crediti per 730,2 miliardi, suddivisi tra IMI (53%), CIS (29,2%), ICIPU, Efibanca e altri istituti (17,8%). I mutui ottenuti solo dall’IMI tra il 1971 e il 1976 ammontavano a 500 miliardi di lire. Un’altra importante banca creditrice era l’Italcasse, al centro di numerosi scandali e inchieste negli anni Settanta, che prestò al gruppo oltre 274 miliardi. Tra il 1970 e il 1975 il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) emise pareri di conformità per progetti del valore complessivo di 4386,3 miliardi, il 36,8% dei quali erano della SIR-Rumianca. A fronte di questi investimenti e finanziamenti la SIR aveva un capitale di appena 3 miliardi fino al 1966, aumentato in quell’anno a 5. Più sconfortante il confronto tra fatturato e indebitamento complessivo: mentre il primo aumentò da 171,7 a 850 miliardi tra il 1971 e il 1977, il secondo salì da 504,7 a 3258,8 miliardi (nel 1978 il solo debito verso l’IMI ammontava a poco meno di 670 miliardi).
Finito ormai sullo sfondo ogni piano strategico vero e proprio, l’azienda si manteneva in piedi grazie a un meccanismo perverso: la crescita degli investimenti finanziata con nuovi debiti serviva a ripagare, almeno in parte, i debiti contratti in precedenza. Funzionali a questa condotta erano la scarsa trasparenza dei bilanci, l’assenza di un bilancio consolidato e il ricorso costante a fidejussioni personali ma anche a prestiti senza garanzie, frutto evidente delle coperture politiche di cui Rovelli godeva. Per contro, non mancarono casi in cui l’imprenditore lombardo fu costretto a effettuare investimenti richiesti dalle forze politiche, sotto la minaccia della chiusura dei rubinetti dei finanziamenti. Il caso più noto è quello degli impianti petrolchimici di Ottana, nella Valle del Tirso, dove la SIR investì oltre 280 miliardi di lire (di cui più di 79 finanziati dal CIS), in una delle più dispendiose e inutili battaglie della chimica italiana di quegli anni. Nell’occasione, infatti, si scatenò uno scontro con la Montedison, intenzionata anch’essa ad aprire uno stabilimento in quella zona. La contesa deve essere letta nell’ambito del piano chimico approvato dal governo nel 1971, che mirava a una razionalizzazione degli interventi e a una maggiore unità d’azione tra le principali imprese del settore: ANIC (Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili), SIR e Montedison. In realtà, iniziò una vera e propria guerra tra i tre gruppi. Inizialmente Rovelli ottenne qualche successo (un nuovo impianto steam cracker a Cagliari e un secondo a Porto Torres).
Nel 1972, in un’audizione in commissione Industria chiarì la sua strategia: «anticipare gli impianti di chimica fine e cercare nel contempo le premesse per realizzare un’integrazione a monte nella chimica di base», auspicando che fosse concessa alla SIR «più fiducia di quanta non ne fosse mai stata data» (Camera dei deputati, Comitato di indagine conoscitiva sull’industria chimica, Rapporto del presidente della Sir sulle indagini conoscitive del Parlamento, Roma 1972, pp. 29214 s.).
Il tentativo di pacificazione resistette molto poco. Tra il 1972 e il 1974, alla scadenza del patto di sindacato tra i principali azionisti della Montedison, l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) – guidata da Raffaele Girotti – e la SIR diedero la scalata alla società milanese, con l’approvazione del governo Andreotti. Rovelli fece effettuare gran parte dei suoi acquisti dal Liechtenstein e dalla Svizzera, dove nel frattempo aveva riorganizzato la struttura di controllo del proprio gruppo attraverso un complesso intreccio di società finanziarie e fiduciarie che aveva i suoi protagonisti principali nella Fispao (Fiduciaria San Paolo) e nella Altair Financial Trust; nel 1974 venne per contro accusato dalla Montedison di furto di segreti industriali, una vicenda poi archiviata. La fine del primo governo Andreotti indebolì non poco il progetto di Rovelli, il quale nel 1975 cercò – senza poi riuscirci – di vendere parte delle azioni Montedison a due colossi della siderurgia americana, la Bethlehem Steel e la US Steel.
Nell’aprile del 1977, il presidente della Montedison, Eugenio Cefis, con un colpo di scena, poco prima di autoesiliarsi in Canada, annunciò di avere raggiunto un’intesa tra il sindacato di controllo della società e il gruppo SIR attraverso cui Rovelli sarebbe entrato nel sindacato di controllo, mentre Montedison, SIR e ANIC si sarebbero consultate regolarmente per la definizione dei rispettivi piani d’azione. L’accordo fallì però quasi subito. Quando le tre società si incontrarono per stabilire il programma di collaborazione per le fibre artificiali, la SIR si rifiutò di mostrare i bilanci consolidati, fornendo solo una stima del valore degli impianti, il che impedì la creazione di un’eventuale società in comune per spartirsi la produzione. Nel maggio dello stesso anno Rovelli intervenne generosamente per pagare il riscatto di un miliardo ai rapitori di Guido De Martino, figlio dell’ex segretario socialista Francesco. A sua volta, lo stesso imprenditore fu al centro di un tentativo di rapimento, scoperto dalla polizia prima della sua attuazione.
Rimasto privo di altri due importanti protettori politici (Mancini, dopo l’avvento di Bettino Craxi alla segreteria del PSI; il presidente della Repubblica Giovanni Leone, spesso ospite nella villa di Anacapri di Rovelli, sempre più invischiato nello scandalo Lockheed che nel giugno del 1978 l’avrebbe portato alle dimissioni; e inoltre ridimensionato Carlo Donat Cattin), convinto, come disse ai suoi collaboratori più fidati, di doversi «difendere lottando con un temperino contro gente in grado di sparare cannonate» (Tamburini, 1996, p. 177), tra il 1976 e il 1977 vide sfaldarsi e poi crollare il suo impero (del quale facevano parte anche società di navigazione come la Traghetto del Mediterraneo e la Trans Tirreno express, oltre a imprese tessili ed edili), appena un attimo dopo aver creduto di poter giocare la parte del ‘signore della chimica’. Nel dicembre del 1977 il giudice Luciano Infelisi avviò un’inchiesta accusandolo di truffa aggravata ai danni dello Stato (attraverso soprattutto un aumento artificiale del costo degli impianti) e di esportazione illegale di capitali (un finanziamento destinato alla costruzione di un impianto in provincia di Agrigento sarebbe in parte finito in Svizzera). Il peggio arrivò pochi giorni dopo, quando la SIR non fu in grado di pagare una rata in scadenza di alcuni mutui IMI. «Ho ricevuto Rovelli in presenza di Ciampi – scriveva il 2 giugno 1978 il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi. – Non ha più mezzi per alimentare i cicli produttivi. Ed ha pianto calde lacrime» (Vaiano, 1990). In quel medesimo anno venne organizzato un consorzio bancario per il risanamento del gruppo. Capofila ne era l’IMI, l’istituto più esposto con la SIR (1200 miliardi). Tale organismo costituì una holding che avrebbe dovuto riunire tutte le società del gruppo SIR e acquisire le azioni Montedison in mano a Rovelli. Nella seconda metà del 1978 venne approvata una norma per aiutare le imprese chimiche che prevedeva, tra l’altro, la creazione di consorzi di salvataggio. Nel caso della SIR (ma anche della Liquichimica di Raffaele Ursini) fu necessario un intervento ad hoc ideato dal ministro dell’Industria Romano Prodi per aggirare la norma che limitava al 33% il capitale di una società che poteva essere detenuto dal consorzio. Le imprese di Rovelli, con il suo consenso, vennero fatte tutte confluire nella SIR-Finanziaria (capitale 255 miliardi, costituiti da apporti di beni azionari e obbligazionari). La resa avvenne il 17 luglio 1979: «non mi hanno lasciato neanche l’officina dove ho cominciato» (Mucci, 1979), disse singhiozzando ai giornalisti.
Praticamente esautorato dai suoi principali incarichi, convinto di avere «sbagliato tutto» – disse a un certo punto – aggiungendo: «dovevo stare dalla parte di Cuccia. È lui il più bravo». Con un corollario stringente: «se avessi avuto uno come Cuccia al mio fianco la SIR sarebbe stata salva» (Tamburini, 1996, p. 179). Persuaso di essere stato al centro di un complotto ordito contro di lui dalla massoneria, dal 1980 Rovelli si trasferì in Svizzera, dove era diventato socio della Sasea, un’attivissima holding con sede a Ginevra controllata da Florio Fiorini, ex direttore finanziario dell’ENI, e presieduta dall’ex presidente della Confederazione elvetica Nello Celio. Quest’ultimo era poi anche chairman della Banca Rasini di Milano, controllata attraverso la finanziaria Fincredit di Roma da un gruppo finanziario raccolto attorno alla Banca commerciale di Lugano, di cui di nuovo Celio era presidente e che aveva in Rovelli il principale azionista. L’esilio in Svizzera gli consentì di sfuggire al mandato di cattura spiccato nel 1981 dal giudice Antonio Alibrandi nell’ambito dell’inchiesta sull’Italcasse. Prosciolto nell’inchiesta per il fallimento della SIR, negli anni successivi cercò invano di rientrare in possesso della parte del suo gruppo già risanata attraverso un’offerta fatta dalla banca Worms di Ginevra, dove l’imprenditore aveva comprato anche un’altra banca, l’Atlantis, irrobustendo il suo nuovo impero bancario e finanziario svizzero.
Nel giugno del 1982 citò in giudizio l’IMI per la mancata applicazione di alcuni articoli dell’accordo del 1979 per la costituzione del consorzio di salvataggio. In particolare, richiese i danni per inadempienza circa un eventuale rimborso cui avrebbe avuto diritto se al momento della cessione alla SIR-Finanziaria il valore patrimoniale del gruppo fosse stato positivo, stima che però non venne effettuata. Nel 1986 una prima sentenza del tribunale civile di Roma, emanata dal giudice Filippo Verde, diede ragione a Rovelli. Mentre il processo passava in corte d’appello (che convalidò la sentenza di primo grado), i periti del tribunale lavoravano alla definizione dell’indennizzo. Nel 1989 la Cassazione annullò la sentenza e la causa tornò in appello, mentre il tribunale stabilì in 1000 miliardi la somma dovuta. Nel novembre del 1990 la corte d’appello presieduta da Leonardo Valente, relatore Arnaldo Metta, confermò la sentenza, disponendo il pagamento dei 1000 miliardi a Rovelli. Neanche un mese dopo, il 30 dicembre 1990, morì per arresto cardiaco a Zurigo, mentre stava svolgendo un check-up all’ospedale cantonale.
La vicenda si trascinò per molti anni e fu al centro delle indagini del pool di ‘Mani pulite’, durante le quali venne appurato che Rovelli aveva versato svariati miliardi di lire a tre noti avvocati romani (Attilio Pacifico, Cesare Previti e Giovanni Acampora) per corrompere i magistrati Renato Squillante, Vittorio Metta e Filippo Verde. La storia si concluse, dopo diversi gradi di giudizio, nel 2006. Il figlio Felice, arrestato nel 1997, fu poi condannato per corruzione; la magistratura non ottenne invece l’estradizione della moglie Primarosa Battistella. Nel 2007 fu arrestato l’altro figlio, Oscar, con l’accusa di riciclaggio. Uscì dal carcere dopo circa sei mesi in virtù di un accordo extragiudiziale tra la famiglia Rovelli e la Banca intesa, che nel frattempo aveva assorbito l’IMI.
Fonti e Bibl.: Olgiate Olona, Archivio della parrocchia dei Ss. Stefano e Lorenzo, Registro dei battesimi; Roma, Archivio ICIPU, Verbali del Consiglio d’amministrazione, seduta del 16 novembre 1972; Monografia del gruppo SIR-Rumianca, Roma 31 ottobre 1977; Relazione istruttoria CIS, Cagliari ottobre 1975; http://www.cavalieridellavoro.it/cavaliere/?numero_di_brevetto=1671 (13 marzo 2017).
Fra i molti articoli di stampa, si citano: I 25 nuovi cavalieri del lavoro, in Corriere della sera, 1-2 giugno 1968; Affabile incontro della SIR coll’editore della «Chemical Week», ibid., 4 maggio 1969; Eletti nella Confindustria i componenti della Giunta, ibid., 12 aprile 1973; La Montedison denuncia la SIR per il furto di un segreto industriale, ibid., 25 gennaio 1974; R. e non solo dietro alla scalata alla Montedison, in Il Globo, 28 settembre 1974; R. vende agli americani un quarto della Montedison, in Corriere della sera, 22 marzo 1975; G. Turani, Fermate la SIR, ci rovina, in la Repubblica, 31 marzo 1977; G. Di Girolamo, R., il mago del debito perpetuo, in Corriere della sera, 1° aprile 1977; G. Vitangeli, Il cumulo di debiti di R.; tremila miliardi su quali garanzie?, in Il Fiorino, 8 aprile 1977; Pagato dall’industriale R. il miliardo per De Martino?, in Corriere della sera, 16 maggio 1977; M. Fabbri, Il DC Carollo critica il governo per i finanziamenti a R., in la Repubblica, 29 settembre 1977; Scoperta una banda che voleva rapire il presidente della SIR Nino Rovelli, in Corriere della sera, 17 ottobre 1977; M. Borsa, R. più potente nella Montedison, in Il Fiorino, 22 ottobre 1977; Dall’Italcasse ultimo siluro, in OP, 21 novembre 1978, p. 27; Mercoledì 30/11: Nino Rovelli la fine di un impero, ibid., 19 dicembre 1978, p. 6; A. Carini, La SIR ha perso 480 miliardi, in la Repubblica, 21 dicembre 1978; M. Ricci, Cappon ha avuto il via ufficiale al consorzio, ibid., 27 gennaio 1979; Id., I banchieri a consulto su R., ibid., 29 gennaio 1979; G. Vitangeli, Il collasso della Sir apre uno scandalo di regime, in Il Fiorino, 3 febbraio 1979; È nato finalmente il consorzio bancario, in Corriere della sera, 27 giugno 1979; A. Mucci, Rovelli ha firmato piangendo l’atto di resa dell’impero SIR, ibid., 18 luglio 1979; E. Occorsio, Una lira a R., in Mondo economico, 21 luglio 1979, pp. 8 s.; M. Novelli, Dietro Celio spunta Rovelli, in Il Mondo, 24 marzo 1986, p. 86; G. Oliva - G. Secchi, «Lei non sa chi ero io», in Corriere della sera, 30 novembre 1988; R. Petrini, Nino Rovelli, ritorno da un crack, in la Repubblica, 9 maggio 1989; Id., Torna Nino Rovelli, L’IMI ‘trema’, ibid., 27 novembre 1990; D. Vaiano, Il suo sogno era tornare da vincitore, in Corriere della sera, 31 dicembre 1990; L. Quilici, Pronto c’è Squillante, in l’Espresso, 26 giugno 1997, pp. 78 s.; M.A. Calabrò, IMI-SIR, i mille miliardi restano a R., in Corriere della sera, 26 giugno 1999; Le ambizioni dell’ingegnere. La scalata di Nino Rovelli ai vertici della chimica italiana, in La Nuova Sardegna, 4 maggio 2005; Processo IMI-SIR, tutte le tappe di una vicenda lunga 10 anni, in la Repubblica, 4 maggio 2006.
Inoltre: G. Alzona, Il caso Sir-Rumianca, in L’impresa, novembre-dicembre 1971, pp. 465-479; G. Baldii, Io sono l’animale imprenditore, in Successo, giugno 1972, pp. 62-69; D. Monteplana, Nino Rovelli, il malaffare: una storia di gatti e di volpi raccontata da Diego Monteplana, Milano 1974; E. Scalfari - G. Turani, Razza padrona: storia della borghesia di Stato e del capitalismo italiano 1962-1974, Milano 1975, ad ind.; G. Lepore Dubois - C. Sonzogno, L’impero della chimica: cinquant’anni di battaglie, piani, complotti, guerre con più vinti che vincitori, lotte per il potere più che per l’industria, alla radice dell’ultimo confronto: il caso Enimont, Roma 1990, ad ind.; G. Galli, Affari di Stato, Milano 1991, ad ind.; A. Marchi - R. Marchionatti, Montedison 1966-1989. L’evoluzione di una grande impresa al confine tra pubblico e privato, Milano 1992, pp. 13, 75 s., 91, 122; F. Tamburini, Un siciliano a Milano, Milano 1992, ad ind.; S. Ruju, Storia della SIR, Cagliari 1994, ad ind.; G. Piluso, Il Banco di Sardegna (1953-1994), in Storia del Banco di Sardegna. Credito, istituzioni, sviluppo dal XVIII al XX secolo, a cura di G. Toniolo, Roma-Bari 1995, pp. 310, 312-314, 351; L. D’Antone, Radici storiche ed esperienza dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Atti del Convegno..., Taormina... 1994, Roma 1996, pp. 473 s.; F. Tamburini, Misteri d’Italia, Milano 1996, ad ind.; Lux Film, a cura di A. Farassino, Milano 2000, p. 43; L. Mani, Nino Rovelli e la SIR: petrolchimica privata e finanza di Stato, in Annali di storia dell’impresa, 2001, n. 12, pp. 471-515; S. Ruju, La parabola della petrolchimica. Ascesa e declino di Nino Rovelli: sedici testimonianze a confronto, Roma 2003, ad ind.; R. Guarascio, Il Crotonese. Un giornale, un territorio (1980-2005), Soveria Mannelli 2005, p. 30; S. Ruju, Il Petrolchimico negli anni della SIR. 1957-1977, in Industria, Ambiente, Territorio. Per una storia ambientale delle aree industriali in Italia, a cura di S. Adorno - S. Neri Serneri, Bologna 2009, pp. 237-266.