MUSCO, Angelo
MUSCO, Angelo. – Nacque a Catania il 18 dicembre 1871 da un piccolo rivenditore di origini maltesi, Sebastiano, e da Francesca Cosenza.
Visse la fanciullezza tra i vicoli del quartiere di San Cristoforo provando vari mestieri (ciabattino, sguattero, muratore, barbiere), ma appassionandosi solo all’opera dei pupi. Assiduo frequentatore del teatrino di Carmelo Sapienza in via del Fortino Vecchio, in cambio dell’ingresso aiutava il puparo a preparare le marionette per lo spettacolo e poi a riporle (senza tuttavia arrivare a dar voce ai pupi come un’infondata tradizione vuole). A dodici anni si esibiva al piatto come canzonettista durante gli intervalli e accompagnava alcuni passaggi negli spettacoli. Cominciò così la sua carriera di attore-cantante-ballerino tra gli artisti di varietà popolari impiegati dai pupari, i quali, insidiati dai nuovi spettacoli alla moda, cercavano anch’essi di offrire qualcosa di simile alle attrazioni dei caffè-concerto frequentati dalla borghesia etnea. In questo mondo Musco compì l’apprendistato.
Recitò con vari capocomici, tra cui don Gregorio Grasso, fratellastro di Giovanni, e Michele Insanguine, capocomico napoletano al teatro Sicilia di Catania e poi al Machiavelli, il puparo Giovanni Cantoni di Giarre, il buffo Nelli Lambertini al teatrino del rione Crocefisso della Buona Morte di Catania, donna Nazzarena Crimi, discendente da gloriosa famiglia di pupari, un tal Faggiano, titolare di una compagnia di operette in giro per piccole piazze della provincia, e Giuseppe Santoro, molto caro all’attore, incontrato al teatro Goldoni di Messina. Coltivò le sue doti di canzonettista imitando Pasquariello e soprattutto il repertorio del celebre Nicola Maldacea, diventando un macchiettista-trasformista e un duettista ‘eccentrico’ con Carmelina Lambertini e con Rosina Anselmi. Sviluppò così una grande abilità nella caratterizzazione dei personaggi attraverso le risorse del trucco e della gestualità. Recitò inoltre nella farsa, nei ruoli di ‘buffo barilotto’ e del brillante, ricalcati su modelli napoletani, e impratichendosi nella recitazione concertata. Creò anche un proprio personaggio, Piripicchio, ispirato al Sciosciammocca scarpettiano, con un carattere da ‘servo scaltro’ più confacente alla sua comicità costruita su lazzi furbeschi, battute folgoranti e una pantomima concitatissima che rasentava la danza.
Negli anni Novanta raggiunse una certa agiatezza soprattutto lavorando come macchiettista, tanto da vantare un repertorio appositamente scritto per lui e dirigere, per uno scorcio di stagione, una Compagnia napoletana, tenendo a scrittura le sorelle Aguglia. Consolidata la sua fama, specie nel circuito regionale, strinse una relazione con la vedova Ciccina Algozzino, di condizione borghese, che lo aiutò, insieme ad alcuni amici, a uscire dall’analfabetismo, diventato un impaccio nella carriera. Certo è che gran parte della sua formazione attorica avvenne secondo i canoni della cultura orale, sviluppando una sorta di mentalità situazionale in cui la riproduzione parola per parola della parte era sempre sottomessa alla logica dell’azione. Tale mentalità rimase alla base dell’arte di Musco che assecondava lo sviluppo dell’intreccio secondo le attitudini del personaggio interpretato, per cui le parole potevano, a volte, essere improvvisate grazie a un perfetto dominio dell’impianto delle situazioni drammaturgiche, irrinunciabile riferimento della recitazione concertata. Questa pratica facilitò l’attore quando, nel 1900, entrò a far parte della compagnia di Giovanni Grasso che nel teatro Machiavelli proponeva spettacoli di arte varia: rivista, farsa, commedia, improvvisati drammi sociali. In principio Musco interpretò i ruoli drammatici e Grasso i comici, ma presto le parti di primo tragico furono assunte da Grasso, mentre Musco, pur partecipando ai drammi seri, mieteva i maggiori successi come primo brillante nelle farse finali dove, a richiesta, eseguiva il ballo a solo, chiusura tradizionale degli spettacoli popolari. Rimase con Grasso, tra alterne vicende, per dodici anni durante i quali ebbe modo di stringere amicizia con Nino Martoglio, figura chiave nella sua vita artistica.
Martoglio aveva diretto la compagine di Grasso nella stagione 1903-04 accreditandola presso la critica più autorevole e contribuendo a darle uno statuto di compagnia primaria con un repertorio dialettale d’arte (La lupa, Cavalleria rusticana, Caccia al lupo di Verga; Malia e Lu cavaleri Pidagna di Capuana, Nica e San Giovanni decollato dello stesso Martoglio, la versione siciliana di Borgese della Figlia di Iorio di D’Annunzio, Mastru liberti l’armieri di Marchese), affiancato con drammi sociali di spiccato gusto melodrammatico (Zolfatara di Giusti Sinopoli, I mafiusi della Vicaria di Mosca e Rizzotto, il bozzettistico La festa di Adernò di Grasso, La morte civile di Giacometti, Feudalesimo di Guimerà ecc.) che permisero alla compagnia di affrontare con successo il pubblico dei principali teatri italiani e di compiere trionfali tournées in America Meridionale, Stati Uniti ed Europa (Londra, Parigi, Mosca, Berlino, San Pietroburgo ecc.).
Nella stagione 1907-08 Musco fu scritturato nella Compagnia drammatica siciliana di Martoglio. Qui familiarizzò con un bozzettismo di ambientazione borghese o popolare dai toni giocondi, farciti a tratti di patetico sentimentalismo – emancipandosi dal fosco repertorio di Grasso e dalle farse interpretate alla fine degli spettacoli – e incarnando personaggi la cui comicità si alternava a tratti di dolente umanità.
Nel 1912 divenne capocomico e dopo un incerto inizio creò, nel 1914, un’affiatata compagnia dialettale di circa 36 elementi il cui nucleo, formato da Rosina Anselmi, Turi Pandolfini, Angelo, Jole, Vittorina e Giulia Campagna, Fara e Cesare Libassi, Lindoro e Adele Colombo, lo accompagnò per tutta la sua carriera garantendo una perfetta concertazione della recitazione. La compagnia, confortata da un costante successo di pubblico, grazie a un’avveduta e scaltra gestione (tra 1928 e 1929 si produsse anche in una lunga tournée nelle Americhe), ebbe vita lunghissima e si sciolse solo alla morte del capocomico. Musco seppe conquistare la fiducia dei più potenti trust teatrali, ottenendo vantaggiosi contratti nei principali teatri italiani, e legare a sé importanti personaggi, come Renato Simoni e Marco Praga (critico autorevolissimo del Corriere della Sera l’uno e influente presidente della Società italiana degli autori l’altro). Tuttavia non riuscì a creare un teatro d’arte così come Martoglio sognava.
Nei primi anni di capocomicato (1914-17) Musco cercò di forgiarsi un repertorio vernacolare di qualità; Martoglio compose per lui le sue commedie più riuscite e sollecitò in tal senso l’amico Pirandello, che tra il 1915 e il 1917 affidò all’attore Lumie di Sicilia e scrisse appositamente Pensaci Giacomino!, Liolà, ‘A giarra, ‘A patenti e nel 1922 Ccu i nguanti gialli. Le opere rimasero nel repertorio di Musco, ma le necessità del mercato e una certa concezione del personaggio e della concertazione non permisero lo sviluppo di una reale collaborazione con gli autori.
Pirandello dopo l’andata in scena di Liolà scrisse a Martoglio: «L’arte s’è divorziata per sempre da lui. La moglie legittima e naturale è la Farsa. Non gli resta che di foggiarsi e appiccicarsi il nome d’una maschera, come Scarpetta. Questi, Sciosciammocca, e lui Sciosciainculo. Gli andrebbe benone. E credi che il pubblico non vuole altro da lui. Vuole vederlo correre a cacare come nel terzo atto di Paraninfo, e basta, io l’ho capito fin dal primo esito di Liolà, che è vera commedia. Se il pubblico non lo ha voluto nelle vesti di Liolà (che pur gli sta a cappello) è segno che lo vuole proprio Sciosciainculo e basta» (cit. in Muscarà Zappulla - Zappulla, 1987, p. 76). Quello che per Pirandello, privo ancora di un’esperienza diretta del palcoscenico, era recitazione farsesca per Musco era uno stile di concertazione proveniente dal teatro popolare: «Se, per disgrazia […] dovessi ritardare la mia entrata in scena, sono sicuro che il pubblico non se ne accorgerebbe. Da noi la ‘scena vuota’ non esiste. I miei comici non si perderebbero d’animo: inventerebbero lì per lì un dialogo che magari l’autore crederebbe ch’è suo, tanto sarebbe intonato con la commedia. […] ‘eh, si sa; recitano a soggetto...’ Che stupidi! Questo non è recitare a soggetto; è solo la dimostrazione che i comici siciliani sono pronti e intelligenti, e recitano comprendendo lo spirito delle commedie e non ripetendo esclusivamente le battute, come i pappagalli» (A. Musco, Cerca che trovi…, Bologna 1928, p. 198).
La concertazione della recitazione basata sul personaggio e sulla situazione e la recitazione intesa come restituzione del testo non trovarono mai una sintesi sulle scene italiane e Musco rimase per critica e autori – anche se Gordon Craig lo considerò uno dei più grandi comici che avesse mai conosciuto – un «attore d’istinto» (Gramsci, 2010, p. 290) che agisce in «uno stato di bacchica ebrietà» (D’Amico, 1929, p. 82).
Musco affidò inoltre il ricordo della sua arte a una decina di film, di mediocre fattura ma di grande successo: San Giovanni decollato (1917), di Telemaco Ruggeri; Cinque a Zero (1932), di Mario Bonnard; Il paraninfo (1934), L’eredità dello zio buonanima (1934) e Fiat voluntas dei (1935), di Amleto Palermi; L’aria del continente (1935), di Gennaro Righelli; Il re di denari (1936) di Enrico Guazzoni; Lo smemorato (1936) e Pensaci Giacomino! (1936) di Righelli; Il feroce Saladino (1937), di Bonnard; Gatta ci cova (1937), di Righelli.
La sua vita affettiva fu segnata da una lunga relazione con Francesca Sabato Agnetta, che si considerava «un affluente del fiume Musco […] e muscovita» (Muscarà Zappulla - Zappulla, 1987, p. 207) e che fu spiritosa autrice di numerose (e mediocri) commedie portate al successo dall’attore. Dopo una tumultuosa fuga d’amore nel 1922, l’11 gennaio 1923 sposò la giovane e bella figlia d’arte Desdemona Balestrieri. Il 7 maggio nacque la prima figlia, tenuta a battesimo da Vittorio Emanuele Orlando; seguirono due femmine e il desiderato maschio.
Morì a Milano, durante una tournée, il 7 ottobre 1937.
Personaggi del repertorio di Musco (l’anno indica la prima interpretazione): in compagnia con Giovanni Grasso: 1903, Nino in Malìa di Luigi Capuana, Cecco in Zolfara di Giuseppe Giusti Sinopoli, Turi il cieco in Feudalesimo di Angel Guimerà, il mendicante cieco in Nica e la guardia in Civitoti in pretura di Nino Martoglio, il capocomico in Il ratto delle sabine di Franz e Paul Schönthan; 1904, primo mietitore in La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio. Nella Compagnia drammatica siciliana diretta da Martoglio: 1908, Mastru Austino Miciaciu in S. Giovanni decollato di Martoglio. Nella compagnia Bragaglia - Musco: 1912, Nunzio in Sperduti nel buio di Roberto Bracco, capitano Senio in Capitan Senio di Martoglio. Nella compagnia Musco: 1914, Don Pasquali Minedda in Lu paraninfu di Capuana; 1915, Don Cola Dusciu in L’aria del continente di Martoglio, Micuccio in Lumie di Sicilia di Luigi Pirandello, Don Ramunnu in Don Ramunnu di Capuana; 1916, il riffante in ‘U riffanti e Pepè Moscardino (Giufà) in L’arte di Giufà di Martoglio, Don Fofò in L’ultimo naso di Francesca Sabato Agnetta, professor Toti in Pensaci Giacuminu! e Liolà in Liolà di Pirandello, don Mario Mannuca in Quacquarà di Capuana; 1917, Masi Latinu il cieco in Scuru di Martoglio, don Nociu Pampina in ’A birritta cu ’i ciancianeddi, zi Dima in ’A giarra di Pirandello; 1918, Chiarchiaro in ’A Patenti di Pirandello; 1919, Giovanni Schiffi in Ridi Pagliaccio! di Fausto Maria Martini, Cola in U sapiti comm’è di Sabato Agnetta; 1920, Capitano Mauro Turrisi in Sua Eccellenza e il marchese in Il marchese di Ruvolito di Martoglio; 1921, don Masinu Teri in Ccu i nguanti gialli di Pirandello; 1923, padre Attanasio in Fiat voluntas Dei di Giuseppe Macrì, don ‘Nzuddo Ballarò in Fra Diavolo di Giuseppe Patanè; 1925, don Peppe Smarrano in Capo-Raisi di Francesco Macaluso.
Fonti e Bibl.: N. Martoglio, A. M., in La scena di prosa.Corriere de l’arte drammatica, Milano, 19 aprile 1915; V.A. Guarnaccia, A. M., Palermo 1922; I. Vitagliano - G. Murabito, A. M. nella vita e nell’arte, Milano 1923; S. D’Amico, Musco, in Tramonto del grande attore, Milano 1929; R. Simoni, Trent’anni di cronaca drammatica, 5 voll., Torino 1951-60, ad ind.; M. Praga, Cronache teatrali del primo Novecento, Firenze 1979, ad ind.; Pirandello-Martoglio. Carteggio inedito, commento e note di S. Zappulla, Milano 1980, ad ind.; S. Muscarà Zappulla - E. Zappulla, A. M., il gesto, la mimica, l’arte, introduzione di G. Napoli e prefazione di G.L. Rondi, Palermo 1987; S. D’Amico, Cronache 1914-1955, 5 voll., Palermo 2001-04, ad ind.; A. Gramsci, Cronache teatrali, 1915-1920, seguite dagli appunti sul teatro nei Quaderni del carcere, 1929-1932, a cura di G. Davico Bonino, Torino 2010, pp. 290 s.