Monteverdi, Angelo
Filologo (Cremona 1886 - Roma 1967). Allievo di F. Novati, si laureò in lettere a Milano nel 1908. Seguì a Roma come borsista i corsi di E. Monaci, a Firenze le lezioni di P. Rajna. Conseguita la libera docenza in filologia romanza, insegnò tale materia dal 1922 al 1931 a Friburgo (Svizzera), dal 1932 al 1942 a Milano, dal 1943 al 1957 a Roma. Dal 1964 fu presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Oltre all'importante complemento delle Origini, opera iniziata dal Novati (Milano 1926), i numerosi saggi sulla letteratura europea tra latino e volgare, sulle letterature di Spagna, Portogallo, Francia, Italia e dell'estrema area romanza dell'Europa orientale, la Romania, attestano una cospicua attività sempre fedele a un proprio ideale, una profonda erudizione, un gusto artistico raffinato.
Nella ‛ lettura ' del canto XXVI del Purgatorio (1963; pubblicata in Lect. Scaligera II 957-990) fissa la parola-chiave di ogni immagine dantesca.
Partendo da una puntualissima analisi linguistica tesa a centrare il significato intrinseco del concetto dantesco - in cui vanno particolarmente sottolineate alcune acute osservazioni: come le parole sete, foco, ardo (v. 18) rispecchino realisticamente l'atmosfera infuocata del girone; e ancora sete, acqua fredda (vv. 20-21), rendano metaforicamente, ma con uguale intensità, la curiosità dei penitenti; come il verbo s'ammusa (v. 37), indicato quale centro della similitudine, serva per addolcire l'atmosfera subito turbata dal sopragridar (v. 39); e come la similitudine delle gru migranti verso il freddo dei monti Rifei (vv. 43-45), ipotetica come il congiuntivo volasser, descriva la situazione irreale che D. ha voluto creare - lo studioso lascia poi la lettura del canto per esaminare brevemente la poesia del Guinizzelli, ipotizzando i versi e le espressioni che potrebbero aver suggerito a D. la sua localizzazione: addita l'importanza dell'aggettivo ‛ dolce ', già usato dal Guinizzelli e ripetuto due volte da D. per caratterizzarne la poesia, e tutta la poesia nuova che si va formando in Italia. L'altro poeta, Arnaldo Daniello, il miglior fabbro del parlar materno, induce una digressione sulla poesia provenzale su cui s'innesta l'esame linguistico del provenzale di D., troppo chiaro, facile, piano, troppo leu in bocca di chi è uso al trobar clus e proprio in un canto dove D. si è compiaciuto di usare rime difficili. Il M. vuole scorgervi una sfumatura di voluta umiltà, che ben si accorderebbe con la discrezione che ha spinto i grandi che accompagnano D. a tenersi in disparte per tutto il canto.
In Frammenti di un codice perduto della Comedia (" Atti Accad. Lincei " s. 8, XX [1965] 382-387), una minuziosa descrizione interna ed esterna permette di stabilire la consistenza del codice di cui all'Archivio di Stato di Cremona restano solo alcuni fogli.
Con l'esame paleografico delle scritture del copista e dell'autore delle chiose che corredano il frammento, il M. fissa la datazione del codice alla seconda metà del sec. XIV; inoltre alcune particolari abitudini linguistiche del copista (scempiamento delle doppie, presenza di avverbi in -mentre) ne localizzano l'origine all'Italia settentrionale, forse al Veneto. Anche se l'opera del copista è poco diligente e poco attenta, dal confronto di ‛ luoghi critici ' si nota che i frammenti cremonesi offrono quasi sempre le lezioni accolte nell'edizione della Società dantesca e nelle tavole del Petrocchi: questo rende deplorevole la perdita di un codice " che avrebbe potuto fornire altri utili elementi alla storia delle fortune del poema dantesco ".
Bibl. - A. Roncaglia, A.M., in A.M., Cento e Duecento, Roma 1971, 309-349; G. Gerardi Marcuzzo, Bibliografia degli scritti di A.M., ibid., 351-376.