COLONNA, Angelo Michele (Angelomichele, Michele)
Figlio di Giovanni e di una Caterina, nacque a Rovenna (frazione di Cernobbio), in provincia di Como, il 21 sett. 1604 (Guidicini, 1872; Veggetti, 1934). Vincendo l'opposizione paterna, giovanissimo frequentò a Bologna, città nella quale il padre si recava per motivi di lavoro, la bottega del pittore Gabriele Ferrantini, dove rimase, con una breve interruzione, che lo vide a Como presso il ritrattista Girolamo Caprera, tre anni, "fino al decimo sesto di sua età" (Malvasia, 1678).
Scoperto da Girolamo Curti, detto il Dentone, caposcuola dei quadraturisti bolognesi, divenne suo collaboratore. Secondo il Malvasia, la prima impresa che trova il giovane C. impegnato accanto al Curti è la decorazione della villa Paleotti a San Marino di Bentivoglio (1619-21 circa), ove la sua mano è riconoscibile in alcune figure della controloggia (Feinblatt, 1979). Partecipò quindi a lavori nel casino Malvasia a Trebbo di Reno, durante i quali (forse 1622) venne colpito da una malattia che lo costrinse ad abbandonare momentaneamente l'attività e a trascorrere un lungo periodo di convalescenza nel paese natale. Di qui la non breve interruzione del sodalizio col Curti.
Nella nave della chiesa parmense di S. Alessandro (1625), la prima opera interamente autografa che ci sia nota, egli dipinge sia le figure sia la quadratura seguendo da vicino i modelli dentoneschi della Paleotta e del Trebbo ("soda" e "vera" architettura prospettica ispirata alle opere del Tibaldi e del Laureti, ma probabilmente filtrata dall'insegnamento carraccesco), forzandoli anzi nel senso del raggiungimento di una profondità maggiore. Questa impresa gli conferì una precoce notorietà e lo fece apprezzare soprattutto come prospettico; con compiti di quadraturista sarà, infatti, chiamato a Firenze dal granduca Ferdinando II de' Medici nel 1633 e nel 1636.
Nella pittura di figura, in seguito la sua specialità, le doti del C. paiono ancora scarsamente sviluppate. Una prova interessante in questo campo la offrì tuttavia l'anno seguente (1626) nelle figure che gli spettano del soffitto dell'oratorio bolognese di S. Rocco: la Carità, la Fede, e i santi Procolo, Petronio, Agostino, Ambrogio (De Vito Battaglia, 1928, restringe l'attribuzione al C. alle prime tre; ma vedi Emiliani, in Malvasia [1686], 1969, p. 95). Nell'oratorio di S. Rocco il C. mostra una certa inclinazione per "la morbida maniera guidesca" mentre fa la sua comparsa anche "quell'operare a macchie di luce e d'ombra" (De Vito Battaglia, 1928, p. 15) che, esemplato probabilmente sulla pittura del Guercino, ma con contrasti in verità assai più tenui, rimarrà una sua costante stilistica.
Dal 1626 il C. seguì come figurista il Curti a Ravenna, a Ferrara, a Parma nel 1628, e ancora a Modena nel 1631-32 fino alla sua morte (1632). Entrava nel frattempo a far parte dell'atelier delCurti anche Agostino Mitelli. Poco sopravvive delle opere di questo periodo: il soffitto di casa Locatelli (Bologna), cui il C. e diversi collaboratori attesero in varie riprese fino al 1633 circa; il Carro di Elia nella sagrestia di S. Biagio a Modena, e forse la galleria per il legato Santa Croce nel palazzo comunale di Bologna. Ma per la ultima, dipinta nell'anno 1632 (Bologna, Bibl. comun., ms. B. 3375, in Feinblatt, 1979, p. 629), non nel 1633, come si inferisce dal Malvasia, che ne fa il primo lavoro di collaborazione col Mitelli dopo la scomparsa del Curti, ove si tenesse ferma l'identificazione dell'opera ricordata dalle fonti con quella ora esistente, si prospetterebbe l'ipotesi di un apporto sostanziale dei Dentone. Nel 1633 il C. dipinse a Firenze la quadratura per un Giove e Ganimede dell'Albani nel casino dei Medici, ora Corsini, a Mezzomonte.
Primo frutto certo della collaborazione col Mitelli (1635) è la decorazione prospettica di una sala del palazzo che il cardinale Bernardino Spada, che era stato legato a Bologna, aveva allora acquistato in Roma. L'opera, sembra, non soddisfece appieno i due pittori che si ritennero pesantemente condizionati dal committente; ciononostante il notevole effetto scenografico ne fa apparire le grandi prospettive parietali "something closer to stage scenery", con soluzioni che prefigurano la "veduta per angolo" bibienesca (Feinblatt, 1979, p. 625).
A Firenze il C. si reca di nuovo nel 1636 per affrescare tre sale dell'appartamento estivo del granduca a palazzo Pitti (ora Museo degli argenti), la cui decorazione era stata interrotta dalla morte del pittore fiorentino Giovanni da San Giovanni. Secondo la biografia malvasiana (1678) dipinse una prima stanza (o solamente la volta?) da solo, mentre nelle altre, dopo una interruzione nel 1637, intervenne anche il Mitelli; la lista (forse autografa) del citato ms. B. 3375 attribuisce invece al C. due stanze e circoscrive l'intervento del Mitelli unicamente alla terza sala. Il complesso decorativo fu completato nel 1641 (De Vito Battaglia, 1928; Campbell, 1966; ma Crespi, 1769, erroneamente: 1644).
Tutta la questione è controversa a partire dal l'identificazione della "prima sala" dipinta dal Colonna. Sarebbe quella adiacente il vano dello scalone, secondo la De Vito Battaglia e la Matteucci; quella che segue al salone di Giovanni da San Giovanni (ora sala III), secondo la Feinblatt (1979)il che lascia aperta la strada a divergenti valutazioni. La Feinblatt vede nella sala I, la sola secondo questa autrice progettata dal Mitelli, una consistenza e una organizzazione superiori dal punto di vista architettonico, congiunte a maggiore essenzialità ornamentale. La Matteucci (1973, 1976)trova, al contrario, nelle attuali sale II e III gli elemeziti di quella inventiva architettonica mitelliana, ampiamente testimoniata dal Malvasia, che offrirà spunti degni di nota agli architetti bolognesi operanti nella seconda metà del secolo, e in special modo a quelli che, come il Monti e il Piacentini, porteranno contributi fondamentali allo sviluppo tipologico dello scalone bolognese. Il fatto che non si conoscano disegni giovanili del Mitelli e siano, invece, noti schizzi del C. riferentisi alle decorazioni eseguite in comune (Jacob, 1975) Puòsignificare che il C., nel periodo degli affreschi a Pitti quasi certamente alla guida dell'atelier e destinatario delle commissioni, curava la costituzione di un repertorio di motivi, ma non suggerisce indizi persuasivi sulla parte ideativa rispettivamente svolta dai due pittori. In ciò si compendia, più che in una distinzione di "mani", il problema della loro opera borentina, che rimane così aperto. Pare tuttavia che il C. vada da ora in avanti sempre più specializzandosi nella pittura di figura dove realizza notevolissimi brani naturalistici, specialmente nelle comparse affacciate ai balconcini e i ai ballatoi delle architetture dipinte; la maggior libertà dei ductus pittorico in queste macchiette "di genere" permette di scorgervi una ispirazione veneta (Feinblatt, 1979), richiami al Veronese (De Vito Battaglia, 1928), spunti cortoneschi (Matteuccì, 1969, p. 116).
Altro incarico di rilievo il C. e il Mitelli ebbero nel palazzo estense di Sassuolo (1646-47), in particolare con la decorazione del gran salone, completata da Giangiacomo Monti e Baldassarre Bianchi, per esservi sorta "qualche discrepanza ne' prezzi" (Crespi, 1769, p. 41). A Genova, in una unica sala di palazzo Balbi (1650, o forse 1654-55: vedi Gavazza, 1974) lasciarono, esempio fecondo per i decoratori Carlone e Benso, segnando il corso della pittura quadraturistica genovese.
Al culmine della sua attività di figurista, la cappella del Rosario nella chiesa bolognese di S. Domenico (1655-57) mostra il C. squisito tessitore di delicati passaggi, mentre anche l'architettura dipinta del Mitelli rinuncia alle soluzioni più ardite e, con perfetto calcolo, prepara la visione lontana dell'Assunta. Da un pagamento effettuato nel 1658 (Arch. di Stato di Firenze, Possessioni, n. 4263, c. 8, in L. Ginori Lisci, Palazzi di Firenze..., Firenze 1972, I, p. 307 n. 13) risulta che il C., a Firenze, decorò nel palazzo degli Orti Oricellari (oggi Venturi-Ginori) la loggia, una camera intera e altre cose minori. Durante il suo secondo viaggio in Italia (1649-1651) Velázquez, incaricato da Filippo IV di reclutare artisti esperti nell'affresco, trattò con il C. e il Mitelli (E. Harris, in Archivo Esp. de arte, XXXIII [1960], p. 111), ma fu solo nel 1658 (1659, secondo il Malvasia) che i due bolognesi accettarono di andare a Madrid aderendo alle insistenti richieste di quella corte di cui si era fatto portavoce il cardinale Giovan Carlo de' Medici. Il loro soggiorno fu importante per lo sviluppo in Spagna della pittura decorativa ad affresco, anche se è difficile valutare il grado di tale influenza a causa della scomparsa degli edifici che essi decorarono (Harris, 1961, p. 102) e principalmente dell'Alcázar - i soggetti allegorici dei soffitti, descritti dal Palomino (1715), erano: la Caduta di Fetonte, l'Aurora, la Notte, la Favola di Pandora - e del Buen Retiro. A queste imprese decorative si riferiscono un bozzetto per soffitto conservato al Prado (Bonet Correa, 1964; Feinblatt, 1965) e alcuni disegni nella Kunstbibliothek di Berlino Ovest. Il Mitelli morì nel 1660, mentre affrescavano la cupola della chiesa della Merced calzada; e il C. continuò a lavorare a Madrid con F. Rizi e J. Carreño. A Suoi schizzi o progetti sono ispirati secondo Harris (1961) gli affreschi di S. Antonio de los Portugueses, eseguiti dal Rizi e dal Jordan. A Madrid era ancora il 26 maggio 1662 (Bonet Correa, 1964, pp. 311 s.).
Al rientro in Italia il C. si associò Giacomo Alboresi e lavorò ancora a Firenze (palazzo Nicolini, 1663-64), a Bologna (palazzo Fibbia Calzolari, 1664; chiesa di S. Bartolomeo, 1667; palazzo Cospi Ferretti, circa 1670), a Padova (palazzo Morosini, 1665), e soprattutto a Zola Predosa, dove dipinse sei soffitti nel palazzo Albergati (1665-66). Invitato a Parigi dal segretario di Stato Hugues de Lionne per decorare il suo hôtel in rue Neuve-des-Petits-Champs, il C. vi si recò con l'Alboresi nel 1671; e ottenne commissioni a Versailles, interrotte però da un litigio che segnò la fine della loro collaborazione, e rese quindi impossibile prolungare il soggiorno parigino (di quanto realizzato in questo soggiorno francese, tutto è scomparso). Tornando a Bologna nel 1673 egli dovette cercarsi un altro quadraturista, e lo trovò nel giovane Gioacchino Pizzoli, in precedenza suo allievo.
Opere realizzate col Pizzoli sono le decorazioni della galleria nel palazzo pubblico di Bologna (1676: T. Biondi, Nell'esporsi alla pubblica vista la galleria dipinta..., Bologna 1677), di un salone nella villa Arnolfini a Gragnano (G. G. Martini, Viaggio in Toscana... [1728], Massa 1969, p. 259; I. Belli Barsali, Le ville lucchesi, Roma 1964, figg. 64-69), di villa Garzoni-Gardi a Collodi, di palazzi riminesi (Zanotti, 1739; Oretti, ms. B. 128, c. 316), di difficile identificazione. Non eseguì, invece, nel 1677, gli affreschi della tribuna nella cattedrale di Lucca perché aveva preteso troppo (E. Ridolfi, L'arte in Lucca..., Lucca 1882, p. 194).Questo estremo periodo dell'attività del C. non è tuttavia segnato dai traguardi raggiunti unitamente al Mitelli o all'Alboresi. Ma anche il decennio di collaborazione con il secondo accusa la perdita della coerenza architettonica, che era stata prerogativa delle prospettive mitelliane e di quella perfetta integrazione tra figure e quadratura che faceva sembrare le decorazioni frutto di una regia unitaria; in compenso, i motivi quadraturistici appaiono ora muoversi in una direzione fantastica e talora acquistare, come a Zola, agilità e movenze quasi presettecentesche (Feinblatt, 1979). Fa eccezione la volta di S. Bartolomeo, dallo schema compositivo appiattito, e la cosa si spiega con l'ammettere che "l'Alboresi vi ebbe una parte marginale, Perché il C. "munificentia praestanti... pinxerit grafis" (in una lapide della terza cappella) tutta la nave del tempio. Per la chiesa teatina e per il palazzo pubblico di Bologna sono noti alcuni suoi progetti a diversi stadi di elaborazione.
Mentre lavora coi Pizzoli, dalla, debole personalità artistica, è il C. a riprendere decisamente in mano le redini della progettazione che mantiene entro binari di fedeltà più puntuale ai modelli del Curti: egli si rende in tal modo fautore di una linea retrospettiva, in concorrenza con le tendenze quadraturistiche contemporanee ormai rivolte in gran parte all'ornamentale. Nelle figurazioni sacre e profane, invece, la qualità della pittura non è forse inferiore a quella dei periodi precedenti, dei quali ripete instancabilmente il repertorio; medesima la differenza tra una conduzione più spontanea delleparti di genere, e una maniera più disegnata nei soggetti allegorico-mitologici, nel tema aulico. La straordinaria fortuna del C. appare spiegabile con la gradevole fusione che egli riesce a ottenere tra colore veneto e composizione classicista.
Divenuto cieco negli ultimi anni divita, il C. cessò di dipingere, ma la tradizione gli assegna ancora la decorazione della cappella di villa Sampieri, a San Lazzaro, presso Bologna, risalente al 1680, forse il suo estremo lavoro. In questa occasione egli si valse probabilmente una volta di più della collaborazione del Pizzoli, che quello stesso anno sarebbe partito per la Francia con un altro suo allievo, Alessandro Gherardini.
Il C. morì a Bologna l'11 marzo 1687 e fu sepolto nella cappella di famiglia, da lui decorata, in S. Bartolomeo.
Per un elenco delle opere del C. si veda Roli, 1977, p. 246.A quelle ivi registrate si possono aggiungere alcune cappelle in S. Filippo a Forlì (circa 1655); la volta della seconda cappella a sinistra in S. Gaetano a Firenze (col Mitelli); la prospettiva nel portico esterno della chiesa dei servi a Bologna (allo stato larvale). Molti palazzi bolognesi nei quali le guide antiche segnalano suoi dipinti non sono stati esplorati (Ist. per i Beni artistici culturali... Regione Emilia-Romagna. Assess. ... cultura... Bologna, Il patrimonio artistico e archit. di Bologna 1792. Documenti, 8, Bologna 1979, pp. 53-55). Scarsa e trascurabile è la produzione da cavalletto (Frati, 1921). Suoidisegni sono conservati in varie raccolte, tra l'altro a Madrid, palazzo reale e Accad. di S. Fernando; a Berlino Ovest, Kunstbibl.; a Bologna, Accademia di belle arti; a Venezia, Fondazione Giorgio Cini.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Compagnia dei pittori, 1640 (il C. fa parte del Consiglio); Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B. 3375: Vita et opere di Agostino Mitelli (contiene una lista di Opere fatte dal C. pubbl. da Feinblatt, 1979, p. 629; il ms. è stato studiato da A. Arfelli, Per la bibliogr. di Agostino e G. M. Mitelli, in Arte antica e moderna, 1958, pp. 295-301, passim); Bologna, Bibl. comun. dell'Archig., ms. B. 128 [sec. XVIII]: M. Oretti, Notizie de' Professori del disegno, cc. 303 ss.; Ibid., m s. B. 970: B. Carrati, Memorie di artistibolognesi..., s. v.; Parma, Sopr. ai Beni stor. art., ms. 1872: E. Scarabelli-Zunti, Documenti e mem. di Belle Arti parmigiane, V, sub voce; F. Scannelli, Microcosmo della pittura, Cesena 1657, pp. 363, 364, 366, 369; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, pp. 81, 114, 116; F. Gherardi, Ode al Sig. M. C. pittore celeberrimo, Bologna 1673; L. Scaramuccia, Le finezze dei pennelli italiani [1674]. 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