MAURI, Angelo
Nacque a Milano il 21 dic. 1873 da una famiglia della media borghesia lombarda: il padre Vittore, direttore didattico nelle scuole elementari, e la madre Maria Tentorio erano originari del Comasco.
Dopo aver frequentato il liceo C. Beccaria, tra 1890 e 1894 seguì un brillante percorso di formazione intellettuale, laureandosi in giurisprudenza all’Università di Genova (e nel frattempo in lettere presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano), e completando infine l’itinerario degli studi con una laurea in filosofia nel 1896.
Fin da giovanissimo si impegnò nel movimento cattolico, incontrando nella sezione giovani del comitato diocesano milanese alcune figure cui sarebbe rimasto legato per molto tempo: da F. Meda a B. Nogara, dal futuro sacerdote G. Pini a G. Molteni. Con essi sperimentò il giornalismo, nella redazione de Il Corriere della domenica e de La Rassegna sociale (rivista intransigente diretta da don U. Benigni), e fondò nel 1890 una Associazione degli elettori cattolici, per guidare l’approccio degli intransigenti alle elezioni amministrative, primo orizzonte del suo impegno. Al Congresso nazionale cattolico di Genova del 1892 il M. riferì sull’organizzazione elettorale amministrativa con notevole incisività. Sostenne nel 1895 il famoso «contratto» tra cattolici e moderati che portò alla conquista del Comune di Milano, ma si schierò progressivamente su una linea autonomista, che venne sperimentata nelle elezioni amministrative del 1899, in cui fu eletto consigliere comunale a Monza.
Nel frattempo era entrato con Meda nella redazione de L’Osservatore cattolico di D. Albertario ed era diventato uno dei teorici del municipalismo «sociale», allargando la tradizionale battaglia cattolica per l’autonomia degli enti locali dallo Stato in un impegno per la gestione pubblica dei servizi essenziali a livello comunale.
Nel 1900 il M. fondò e diresse per breve tempo Italia nuova, una rivista sorta a sostegno di queste idee, scrivendone anche in La Cultura sociale di R. Murri. Nel 1902 la battaglia dei giovani cattolici milanesi approdò a un risultato significativo con l’elezione di quattro candidati, tra cui il M., in Consiglio provinciale. A completamento di tali iniziative sostenne la battaglia nel movimento cattolico a favore della partecipazione alla nascente Associazione dei Comuni, entrando quindi nel 1903 nel direttivo nazionale con don L. Sturzo.
Il M. intensificò i suoi interessi sociali, con particolare riferimento ai problemi delle campagne, avvicinandosi al pensiero organicista di G. Toniolo. Sotto gli auspici di quest’ultimo perfezionò gli studi di economia, sfruttando anche una borsa di studio che nel 1895 lo condusse a Friburgo, Monaco e Berlino, dove seguì i corsi di A. Wagner e G. von Schmoller. Ma le necessità familiari lo indirizzarono a insegnare all’istituto tecnico C. Cattaneo di Milano e a iniziare la carriera di avvocato presso lo studio Degli Occhi, quale alternativa al percorso accademico. Il 12 dic. 1900 si sposò con Lisy Meda, che morì però dopo solo due anni e mezzo, lasciando il M. con un figlio piccolo, Carlo.
Tra il 1900 e il 1903 il M., con Meda e G. Micheli, lavorò al tentativo di prendere in mano l’Opera dei congressi, cercando di non scontrarsi frontalmente con i vecchi intransigenti alla G. Paganuzzi (distinguendosi in questo da Murri). Nel 1901 fu incaricato dal consiglio permanente dell’Opera di presiedere ad interim la Federazione degli universitari cattolici italiani (FUCI), reduce da una grave crisi interna (fu poi confermato anche per il biennio 1903-05), e tentò di rilanciarla su linee democratico-cristiane. La battaglia dei giovani doveva però essere compromessa dalle preoccupazioni di Leone XIII e dall’irrigidimento del nuovo pontefice Pio X.
Nella vita del M. una svolta avvenne nell’ottobre del 1903, quando accettò di andare a Torino a dirigere il nuovo quotidiano voluto dall’arcivescovo, card. A. Richelmy, Il Momento. La scelta proiettò il M. in prima fila nell’organizzazione cattolica. A Torino avviò anche una nuova famiglia, sposando il 14 nov. 1904 la giovane Maria Cappa Legora, con cui avrebbe avuto altri dieci figli.
Il giornale volle essere un quotidiano di ampio respiro, con molta attenzione all’economia, alla politica, alla vita internazionale (con D. Russo, primo corrispondente da Parigi di un quotidiano cattolico). Il M. intendeva sostenere un’organizzazione politica autonoma dei cattolici, nella linea della «preparazione nell’astensione», anche dopo la soppressione nel 1904 dell’Opera dei congressi. Il card. Richelmy premeva però per posizioni più filogiolittiane (come si vide durante le elezioni amministrative torinesi del 1906) e voleva anche una linea più controllata sulle questioni ecclesiali (come la nascente controversia modernista). La collaborazione non fu quindi facile e si interruppe bruscamente nell’estate del 1906 con le dimissioni del Mauri.
Durante il periodo torinese la frequentazione di A. Loria e del laboratorio di economia politica dell’Università subalpina spinse il M. a riprendere gli studi economici. Il 10 dic. 1905 ottenne la libera docenza in economia politica e iniziò a collaborare al laboratorio, tenendo corsi di economia agraria per più di un decennio, nonostante i molteplici contemporanei impegni. Nel 1916 avrebbe poi spostato la sua docenza presso l’Università di Pavia, anche se per un solo anno.
Proseguiva intanto alacremente con Meda (con cui i rapporti personali erano però diventati tesi), Micheli e altri, l’informale lavoro per costituire un vero e proprio partito: «un giovane partito progressista popolare», come lo definì nel 1906 in un importante discorso tenuto a Monza, e che descrisse antimoderato e con caratteri piuttosto antigiolittiani. Tale iniziativa doveva conservare responsabilità distinte dalle organizzazioni cattoliche, pur lavorando nelle ristrette maglie concesse dalla linea ufficiale della S. Sede. Dopo un ballon d’essai di candidatura alle stesse elezioni del 1904, il M. si presentò nelle suppletive di Desio del giugno 1905, senza accordi con i liberali moderati e venne sconfitto. Ribadì il tentativo a Codogno nel dicembre 1906, con una vittoria di misura nel ballottaggio contro il liberale P. Bignami. Secondo Murri, ormai in rotta con l’organizzazione ecclesiastica e gli amici più moderati, la sua elezione poteva far nascere un «gruppo parlamentare cattolico». Per la verità tale gruppo fu sempre sfrangiato e mobile, anche e proprio per la linea della S. Sede, confermata alle elezioni del 1909 con lo slogan «cattolici deputati sì, deputati cattolici no».
Il M. alla Camera in due anni e mezzo si occupò soprattutto di politica sociale (con un ampio discorso svolto il 19 febbr. 1907 nella discussione sul bilancio del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio) e di politica scolastica (contrastando la mozione Bissolati sull’insegnamento della religione). Appoggiò con alcuni voti il «lungo ministero» Giolitti, ma tese a smarcarsene in parecchie occasioni. Soprattutto cercò di contrastare la deriva della contrapposizione tra i «blocchi popolari» anticlericali e una nuova alleanza cattolico-conservatrice. Fu tale contingenza a far cadere il M. nelle elezioni del 1909, quando fu sconfitto sia a Codogno dallo stesso Bignami per soli 85 voti (era stato accusato localmente di un certo assenteismo, nonostante il lavoro svolto in occasione delle disastrose alluvioni del 1907), sia nel collegio valtellinese di Tirano da L. Credaro, ambedue candidati appoggiati da un fronte radical-liberale anticlericale.
Negli anni successivi l’intransigenza antimoderata del M. lo mise un po’ ai margini del movimento cattolico ufficiale, causando anche diverse sconfitte in altrettanti tentativi di ricandidarsi alla Camera (a Vigone nel 1910 e a Gemona nel 1913). Del resto, il tentativo più organico di preparare una battaglia radicata nella società, quello valtellinese di Tirano, doveva fallire nel 1913 perché l’intransigentissimo vescovo di Como, mons. A. Archi, riconfermò il non expedit, impedendo quindi la sua candidatura. A parziale compensazione, il M. tornò a essere eletto nel 1910 in Consiglio provinciale a Milano.
Una volta fuori dal Parlamento, riprese l’attività giornalistica, tornando a dirigere Il Momento dal luglio del 1910 al novembre del 1912, quando il foglio, in difficoltà finanziarie, fu assorbito dalla Società editrice romana di G. Grosoli. In questa seconda esperienza la sua linea mostrò più di un ammorbidimento, criticando semmai il giolittismo da destra e schierandosi per l’impresa libica e contro il monopolio assicurativo, oltre a condurre una dura battaglia contro la statalizzazione della scuola elementare. Nel 1912 il suo interesse per il mondo contadino lo portò poi ad assumere la guida di una neonata Federazione italiana dei piccoli proprietari, che cercava di muoversi a cavallo tra linea sindacale e politica nella rappresentanza di questo ceto, da sempre centrale nelle attenzioni del cattolicesimo organizzato, che il M. definiva «i proletari della proprietà».
Neutralista allo scoppio della guerra, come gran parte del movimento cattolico, il M. accentuò dopo il 1916 il distacco dalle ragioni del conflitto, avvicinandosi al pacifismo migliolino, in nome della tutela delle masse popolari contadine e criticando la linea dei «cattolici nazionali» alla Meda. Tornò proprio in questo frangente ad avere responsabilità nelle organizzazioni nazionali cattoliche, guidando per un breve periodo tra settembre e dicembre del 1915 l’Unione economico-sociale (UES), divenendo vicepresidente dell’Unione elettorale e consigliere direttivo dell’Unione popolare. Nel 1916, su mandato proprio dell’UES, presiedette un’importante commissione sui problemi del dopoguerra, che delineò alcuni studi preparatori di un programma politico a largo raggio, che venne discusso nelle Giornate sociali del giugno 1917.
Membro quasi naturale della piccola costituente del Partito popolare italiano (PPI), nel 1919 il M. fu eletto al consiglio nazionale nel primo congresso di Bologna, dove si schierò con la componente di sinistra interna del nuovo partito. Alle elezioni del novembre 1919 fu eletto alla Camera nelle due circoscrizioni di Milano (dove risultò terzo per preferenze dopo Meda e C. Nava) e Pavia, optando per la prima, dove venne confermato nel 1921 con un ulteriore successo personale di preferenze. Eletto vicepresidente della Camera, si occupò in aula di parecchie questioni, anche se progressivamente venne a concentrarsi sui problemi dell’agricoltura.
In questo settore preparò tra l’altro un disegno di legge sulla colonizzazione del latifondo incolto e appoggiò le posizioni dell’ala sinistra del partito, in occasione del dibattito al congresso di Napoli del 1920.
Nel luglio del 1921 fu quindi designato a ministro dell’Agricoltura per il PPI, nel dicastero guidato da I. Bonomi, forse per rappresentare la decisa volontà riformatrice che il partito auspicava in questa delicata materia.
La sua attività durò per pochi mesi, fino alle dimissioni del governo nel febbraio 1922, ma fu abbastanza operativa, riuscendo a sbloccare alcuni provvedimenti di emergenza per la piccola proprietà, cercando di delineare una prospettiva di cooperazione fra pubblico e privato (per esempio con una legge sui costi dell’acqua irrigua) e mirando all’autogoverno delle categorie con un sistema di arbitrato, oltre che tentando di gettare le basi per un ente nazionale di prospezione e ricerca in campo petrolifero.
Dalla fine del 1922 cercò di guidare una posizione nettamente antifascista nel Partito popolare, che stava per essere squassato dal successo politico crescente del movimento di B. Mussolini. Oppositore netto della legge Acerbo, si ritrovò a guidare l’ultima testimonianza del partito in Lombardia, con il posto di capolista alle elezioni del 1924 e la partecipazione alla secessione aventiniana. Nel marzo del 1924 parlò di un «contrasto etico ancor prima che politico» (Vecchio, p. 108) con il fascismo.
Ritiratosi nella professione e nell’insegnamento, continuò peraltro a tenere i rapporti con gli esuli antifascisti popolari, primo tra tutti il giovane F.L. Ferrari. Nel 1923-24 era stato chiamato da padre A. Gemelli a insegnare presso la neonata Università cattolica, come professore incaricato nella facoltà di giurisprudenza. Lavorò quindi alla costituenda Scuola di scienze politiche, economiche e sociali, nel cui organico nell’anno accademico 1926-27 insegnò storia delle dottrine economiche, poi dall’anno successivo istituzioni di scienze economiche, fino al 1931-32, quando riprese per un anno l’antica dicitura. Diresse inoltre l’istituto di scienze economiche. Tale esperienza lo condusse a riprendere apprezzati studi di storia delle dottrine economiche, che però mai ebbero il respiro di vere monografie. Nel 1931 aggirò il problema del «giuramento» al regime, dato il carattere di volontarietà della scelta per i professori incaricati della Cattolica, mentre nel 1933 le nuove direttive che imponevano l’adesione al Partito nazionale fascista (PNF) di tutti i docenti universitari lo misero di fronte a una situazione difficile. Cercò di indurre Gemelli a trovare scappatoie, ma il rettore gli rispose che la Cattolica era già a rischio e non poteva transigere: così il M. dignitosamente rassegnò le dimissioni.
Il M. morì a Candia Lomellina il 17 nov. 1936.
La lunga attività giornalistica e saggistica condusse il M. a scrivere articoli e a collaborare con molte testate: si ricordino almeno Il Corriere della domenica, La Rassegna sociale, La Vita nova, Rivista internazionale di scienze sociali, Il Cittadino di Monza, La Cultura sociale, L’Osservatore cattolico, Il Momento, Il Corriere d’Italia, La Terra (poi La Voce della terra), Il Popolo. Tra le opere a stampa più rilevanti: Il salario libero e la concorrenza servile in Atene (Roma 1895); I cittadini lavoratori dell’Attica nei secoli V e VI a.C. (Milano 1895); L’Hofrecht in Italia (appunti a proposito del disegno di legge Pandolfi sui beni di famiglia) (ibid. 1895); L’abate Naudet (Firenze 1896); La crisi rurale in Italia (Milano 1897); Le finanze di Milano nel Medioevo (Monza 1898); Idee municipaliste (Milano 1899); Un programma sociale (ibid. s.d. [ma 1908]); Per i paria della proprietà (Pavia 1918); La guerra del petrolio (Monza 1923); I nuovi sviluppi dell’economia agraria, in Studi dedicati alla memoria di Pier Paolo Zanzucchi dalla facoltà di giurisprudenza (Milano 1927, pp. 477-508); La dottrina economica di Pietro Verri, in Raccolta di scritti in memoria di Giuseppe Toniolo nel decennio della morte (Milano 1929, pp. 215-271); La cattedra di Cesare Beccaria, in Arch. stor. italiano, s. 6, LX (1933), pp. 199-262.
Fonti e Bibl.:
A Milano, presso l’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, esiste un Fondo Angelo Mauri: consiste di 5 cartelle di documenti (in parte originali e in parte copie) depositate a due riprese dai figli Carlo e Mariangela.
F. Magri, Un pioniere dell’azione sociale cristiana: A. M., Milano s.d. [ma 1956];
F. Marconcini, Nel ventennale della morte di A. M., Torino 1956;
G.B. Migliori, A. M. a un ventennio dalla morte, in Civitas, VIII (1957), 6-7, pp. 3-18;
R. Vigorelli, Ricordando A. M., Milano 1958;
L. Bedeschi, A. M., in Id., I pionieri della DC 1896-1906, Milano 1966, pp. 343-368;
A. M. 1873-1936. Contributi per una biografia, in Boll. dell’Arch. per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, XXIII (1988), 1 (n. monografico, che contiene: A. Canavero, A. M. tra Ottocento e Novecento, pp. 5-28; C. Bermond, A. M. a Torino (1903-1916) direttore de «Il Momento» e docente di economia agraria, pp. 29-61; G. Formigoni, A. M. nella vita politica dell’Italia giolittiana, pp. 62-87; V. Saba, M. e l’organizzazione sindacale in agricoltura, pp. 88-98; G. Vecchio, Popolarismo e antifascismo in A. M., pp. 99-116; A. Cova, L’azione di governo al ministero dell’Agricoltura, pp. 117-142; L. Ornaghi, A. M. e la Scuola di scienze politiche, economiche e sociali, pp. 143-150; F. Duchini, A. M. studioso di dottrine economiche, pp. 151-168; D. Parisi, M. amministratore e il problema delle municipalizzazioni, pp. 169-178);
La storia economica e la storia delle dottrine economiche in Università cattolica: A. M., Amintore Fanfani, Mario Romani, ibid., XXXVI (2001), 2 (n. monografico), pp. 154-314;
Enc. biografica e bibliogr. «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori d’Italia dal 1848 al 1922, II, pp. 176 s.;
Diz. stor. del movimento cattolico in Italia, diretto da F. Traniello - G. Campanini, II, pp. 347-349 (A. Cova).