RIPELLINO, Angelo Maria
RIPELLINO, Angelo Maria. – Nacque a Palermo il 4 dicembre 1923, da Carmelo e da Vincenza Maria Trizzino.
Dopo aver trascorso i primi anni in Sicilia (Palermo e Mazara del Vallo), nel 1937 si trasferì con la famiglia a Roma, dove il padre, uomo di lettere e amico di Angelo Musco, fu per decenni docente presso il liceo Giulio Cesare. Fin dal 1940 collaborò con recensioni e poesie a periodici (Meridiano di Roma e Maestrale), manifestando una precoce vocazione letteraria cui si affiancavano interessi teatrali, musicali e figurativi; la sua singolare personalità si fece conoscere già negli anni universitari, coincidenti con quelli tragici della guerra, verso la fine della quale si manifestarono i primi sintomi della tisi che anni dopo avrebbe richiesto un intervento di pneumectomia. All’inizio degli studi si volse alle letterature ispaniche, che lasciarono chiari segni nella sua poesia; poi, l’incontro con Ettore Lo Gatto che lo indirizzò alla slavistica, e con il quale si laureò nel 1945 discutendo una tesi sulla poesia russa contemporanea, che fu alla base del suo primo importante volume, Poesia russa del Novecento (Parma 1954).
Poliedrica figura di intellettuale (slavista, poeta, uomo di teatro, pubblicista), collaborò alle prime pubblicazioni russistiche del dopoguerra (Russia di Lo Gatto e il primo organo dell’Associazione Italia-URSS, La Cultura sovietica), ma coltivò anche la letteratura polacca collaborando ai quaderni di Iridion, un interesse non dismesso che anni dopo dette luogo alla prima edizione italiana di Bruno Schulz (Le botteghe color cannella, Torino 1970).
Nel 1946, su consiglio di Lo Gatto, si recò a Praga per approfondire la conoscenza della letteratura ceca, che sarebbe divenuta uno dei suoi campi di lavoro primari. A Praga tenne anche un corso di italiano all’Istituto italiano di cultura, e lì conobbe Ela Hlochová che sposò a Roma nel 1947 (da cui, nel 1949, ebbe la figlia, Milena): primo rilevante frutto in quest’ambito fu la Storia della poesia ceca contemporanea (Roma 1950). Nel frattempo coltivò un altro campo d’interesse che lo seguì per tutta la vita, lo spettacolo: si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia (nella sezione regia), dove conobbe Achille Perilli e Pietro Dorazio: stese poi per l’Enciclopedia dello spettacolo le voci relative al teatro dell’Europa orientale, occupandosi altresì di cinema, burattini e marionette (Il teatro di marionette nel romanticismo ceco, in Convivium, n.s., 1949, n. 1, pp. 122-134). La sua vena letteraria si esplicò nella collaborazione, con poesie e traduzioni, a diversi periodici (La strada, La Fiera letteraria, Convivium); nel 1948 aderì all’Alleanza per la difesa della cultura al fianco degli intellettuali schierati con il Fronte popolare e per un paio d’anni (1947-48) la sua firma comparve sull’organo del Partito comunista italiano (PCI) l’Unità.
Nel giugno del 1948 il colpo di Stato in Cecoslovacchia segnò per la prima volta (la seconda sarebbe stata vent’anni dopo) le sue scelte esistenziali. In quello stesso anno Ripellino dette inizio a una brillante carriera accademica: incaricato di filologia slava e di lingua ceca all’Università di Bologna, nel 1952 passò come incaricato di lingua e letteratura russa alla facoltà di magistero dell’Università degli studi di Roma La Sapienza. Libero docente confermato nel 1957, nel 1961 succedette come ordinario al suo maestro Lo Gatto sulla cattedra di russo presso la facoltà di lettere della Sapienza, dove tenne per molti anni anche i corsi di letteratura ceca. L’impegno didattico di Ripellino (con il concorso dell’insegnamento di Riccardo Picchio, suo coetaneo) segnò in buona misura lo sviluppo delle discipline slavistiche negli anni Sessanta, lasciando un’importante eredità nella ‘terza generazione’ della slavistica italiana.
La pratica didattica, sempre connessa con l’attività scientifica e nutrita di una singolare capacità ermeneutica dettata dalla sua finezza letteraria, fu volta principalmente alla letteratura moderna e contemporanea; attorno alla sua figura carismatica si venne formando tra i suoi allievi un clima di gruppo (cui nel 1968 rivolse una lettera «nobile e crepuscolare») che trovò la manifestazione più rilevante – riassumendo in qualche modo i vari aspetti della sua personalità – nella realizzazione scenica, insieme con gli allievi a Roma, dei drammi lirici di Aleksandr Blok (Il piccolo baraccone al teatro dell’Abaco nel 1971 e La sconosciuta al teatro Politecnico nel 1974).
Dal punto di vista scientifico, e segnatamente in relazione alla cultura russa, in quegli anni (nel 1957 compì un primo viaggio in Unione Sovietica e nacque il secondo figlio, Alessandro) i frutti fondamentali si possono considerare per un verso la già ricordata antologia critica della poesia russa contemporanea (1954) e per l’altro la ricerca su Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia (Torino 1959).
Con la prima – al netto delle qualità traduttorie e dell’erudizione storico-letteraria – si venne precisando e stabilizzando il canone stesso della poesia russa, operazione completata qualche anno dopo con i Nuovi poeti sovietici (Torino 1961): cosa particolarmente evidente al raffronto del suo lavoro con le ricognizioni antologiche precedenti (in particolare, quella di Renato Poggioli Il fiore del verdo russo del 1949) o immediatamente successive. Con il saggio su Vladimir Majakovskij (che fu anche tradotto in francese, Parigi 1965), Ripellino aprì la strada a una lettura innovativa non solo del grande poeta sovietico, ma più in generale della letteratura russa d’avanguardia (parallelamente a quella ceca): un impegno di ampio respiro, culminato dieci anni dopo con la ricerca chlebnikoviana (Poesie di Chlébnikov, Torino 1968).
Non va tuttavia dimenticato che in quel decennio si confrontò in maniera decisiva con due poeti ai quali era e restò legato tutta la vita: Boris Pasternak (Boris Pasternak, “Poesie”, Torino 1957) e Blok (Poesie di Aleksandr Blok, Milano 1960). Quanto a Pasternak (che conobbe di persona durante il suo viaggio in URSS), bisogna tuttavia fare una chiosa: se con la poesia pasternakiana, cui diede in italiano un timbro inconfondibile, fu sempre in profonda consonanza, Il dottor Živago non riscosse mai il suo gradimento, ritenendolo sopravvalutato perché troppo legato a una visione obsoleta della prosa letteraria.
Nell’arco di quel decennio la sua poliedrica personalità trovò anche modo di imporsi in campo editoriale (divenendo consulente di Einaudi), e la sua vena poetica, sin lì rivelata in modo frammentario su periodici, si concretizzò in un primo volume di versi: Non un giorno ma adesso (Roma 1960, ma 1959).
Gli anni Sessanta rappresentarono il periodo più fecondo, pur non senza travagli, della sua esperienza. Il giovane e brillante professore di russo toccò i vertici della notorietà con l’attribuzione del premio Viareggio al suo Il trucco e l’anima. I maestri della regia nel teatro russo del Novecento (Torino 1965) che, utilizzando una forma di saggio-romanzo, restituisce al lettore la grande stagione di Konstantin Stanislavskij e Vsevolod Mejerchol′d.
La passione traduttoria coinvolse tanto la prosa (Pietroburgo, di Andrej Belyj, 1961) quanto la poesia, sia russa (Lénin di Majakovskij, 1967) sia ceca (Una notte con Amleto di Vladimír Holan, 1966); il gusto dello spettacolo gli dettò l’idea per l’opera di Luigi Nono Intolleranza 1960 (Venezia 1961); vennero raccolti in volume i suoi saggi di letteratura russa, da Gavriil Deržavin a Nikolaj Zabolockij (Letteratura come itinerario nel meraviglioso, Torino 1968), mentre dal 1963 al 1968 collaborò con il Corriere della sera, passando poi a l’Espresso. Pur non partecipando attivamente al Gruppo 63, diverse sue poesie vennero accolte nell’antologia del gruppo (1964).
Due avvenimenti spezzarono tuttavia questo laborioso periodo, segnando gli ultimi anni. Il primo di essi fu il riacutizzarsi della tisi, che nel 1965 lo costrinse per mesi nel sanatorio di Dobřiš, presso Praga: esperienza da cui nacque il poema La Fortezza d’Alvernia (Milano 1967, premio Cittadella), da molti considerato il vertice della sua produzione poetica, certo il testo in cui trovano massima espressione le corde della sua ispirazione: come scrisse egli stesso, un «esercizio di giocolerìa e di icarismo sul filo dello spàsimo» (ibid., p. 134). Il secondo fu il Sessantotto praghese che, vissuto in loco, gli dette modo di divenire uno straordinario inviato speciale del settimanale cui collaborava: dapprima cogliendo le paure della ‘primavera’ di Dubček, poi – da agosto – seguendo con partecipe tormento le conseguenze dell’invasione delle truppe del patto di Varsavia (gli interventi relativi sono stati riuniti in due volumi postumi, nel 1988 e nel 2008).
Una nuova raccolta di poesie chiuse il decennio con il titolo significativo di Notizie dal diluvio (Torino 1969), nella quale traspare – giocosamente, malgrado tutto – il ruolo del poeta subordinato allo ‘slavista’: «Slavista! mi beffano da un carro funebre, / gonfio come una torta con ciòndoli d’oro. / Chiedo perdono. È deciso. La prossima volta / farò un altro mestiere» (p. 12).
L’amore per la sua Boemia, che scontava le ferite della storia, innervò la concezione e la stesura del suo nuovo libro, il principale del decennio: Praga magica (Torino 1973; premio ‘libro dell’anno’ a Copenaghen); la sua operosità letteraria produsse altre raccolte di versi (Sinfonietta, Torino 1972, premio Suio Terme, Lo splendido violino verde, Torino 1976; e Autunnale barocco, Parma 1977, premio Prato); si cimentò anche con la prosa delle Storie del bosco boemo (Torino 1975), scritte per i nipoti nati nel 1970.
Divenuto critico teatrale dell’Espresso, grande spazio trovò il lavoro teatrale con le messinscene blokiane, ma anche con la versione di Zio Vanja di Anton Čechov (1970) e con l’adattamento del Processo di Franz Kafka, realizzati da Mario Missiroli (Lucca 1975). Gli ultimi anni, tra alcune contrarietà accademiche, qualche nube familiare e l’aggravarsi delle malattie, videro accentuarsi i toni grigi della «malsanía», fino alla ultima crisi cardiocircolatoria che lo colse a Roma il 21 aprile 1978.
Protagonista della cultura italiana nella seconda metà del XX secolo, con il suo straordinario lavoro intellettuale, scientifico e letterario, Ripellino vi ha lasciato una traccia profonda e duratura. Dopo la scomparsa, «quattro fervidi officianti del ‘mistero Ripellino’» (Alessandro Fo, Antonio Pane, Federico Lenzi e Claudio Vela) si sono dedicati alla ‘riscoperta’ di Ripellino poeta, suscitando qualche discussione per la scelta ermeneutica di privilegiare «l’esausto saltimbanco» sull’impiego giocoso del barocco che sfocia in una «gaia ricostruzione dell’universo» (Dierna, 2007).
Opere. Per la bibliografia di Ripellino si vedano almeno: C.G. De Michelis, A.M. R. (1923-1978), Bibliografia, Roma 1983; A. Pane, A.M. R.: bibliografia, in eSamizdat, II (2004), 2, pp. 251-274. Edizioni postume: Saggi in forma di ballate, Torino 1978; L’arte della fuga, Napoli 1987; I fatti di Praga, Milano 1988; Siate buffi. Cronache di teatro, circo e altre arti («L’Espresso 1969-1977), nella revisione dell’autore e con un inedito ripubbl. a cura di A. Fo - A. Pane - C. Vela, Roma 1989; Poesie, Torino 1990; Per Anna Karenina, Roma 1995; Nel giallo dello schedario. Note e recensioni «in forma di ballate» (1963-73), a cura di A. Pane, Napoli 2000; I sogni dell’orologiaio. Scritti sulle arti visive, a cura di A. Nicastri, Firenze 2003; Poesie prime e ultime, Torino 2006; Notizie dal diliuvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, a cura di A. Fo et al., Torino 2007; Oltreslavia. Scritti italiani e ispanici (1941-1976), a cura di A. Pane, Mazara del Vallo 2007; L’ora di Praga. Scritti sul dissenso e sulla repressione dell’Europa dell’Est ( 1963-1973 ) , Firenze 2008; Solo per farsi sentire. Interviste (1957-1977) con le presentazioni dei programmi Rai (1955-1961), a cura di A. Pane, Messina 2008.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Università degli studi La Sapienza; Archivio storico della Camera dei deputati, Arch. Jiří Pelikán (1923-1999).
G. Ceronetti, R. poeta, in Paragone-Letteratura, 1971, n. 252, pp. 7-23; C. Bologna, A.M. R. e la magia della scrittura, in La Fiera letteraria, 15 giugno 1975, p. 32; Dall’album degli amici, in l’Espresso, 1978, n. 18, ad ind.; Omaggio a R., in Nuova Rivista europea, III (1979), n. 10-11 (n. monografico); A.M. R. poeta-slavista, in Lunarionuovo, V (1983), n. 21-22, pp. 71-79; R. Giuliani, A.M. R. e la sua ‘malsania’, in Catalogo di un disordine amoroso, Chieti 1988, pp. 384-394; A. Fo - A. Pane, Storia di R., parte I, in Annali della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Siena, X (1989), pp. 109-130; parte II (con appendice di lettere di A.M. R.), ibid., XI (1990), pp. 217-240; Dossier R. (con fotobiografia, raccontata da E. Hlochová Ripellino), in il Caffè illustrato, 2003, vol. 11, pp. 36-59; Trasparenze. Suppl. a «Quaderni di poesia», 2004, n. 23 (n. monografico); A. Wildová Tosi, A.M. R. e il teatro ceco, in eSamizdat, III (2005), n. 2-3, pp. 439-445; G. Dierna, Le disavventure del poeta R., in Il mio libro (Le recensioni del Gruppo editoriale L’Espresso), 14 agosto 2007; C. Graziadei, Ripellínia, in Ead., Un anno di poesia russa, in Europa Orientalis, 2008, n. 27, pp. 378-387.