MARESCOTTI, Angelo
– Nato a Lugo, in Romagna, il 19 febbr. 1815 da Giuseppe e da Luigia Ricci Furbastro, studiò nel locale collegio Trisi, istituto di lunga tradizione culturale. Iscrittosi alla facoltà di medicina dell’ateneo bolognese, condivise il fervore patriottico di professori e studenti che nel 1831 – allo scoppio del moto rivoluzionario – dettero vita a un gruppo militare chiamato Legione Pallade. Il M. non poté tuttavia unirsi a loro perché gli studenti non bolognesi, in seguito alla chiusura dell’Università, erano stati costretti a rimanere nelle loro città e a proseguire privatamente gli studi. Il ritorno alla «normalità» per il M. si tradusse nel conseguimento nel 1833 della laurea in medicina e nel 1834 di quella in chirurgia. Per completare il proprio percorso di formazione, nel 1842 il M. si trasferì a Parigi, attratto dalle lezioni di economia politica tenute presso il Collège de France da Pellegrino Rossi, che lo iniziò agli studi sociali ed economici ma anche alla formazione di una coscienza patriottica democratica e nazionale.
Rientrato in Romagna, il M. iniziò l’attività di medico a Civitella di Forlì, impegno che mantenne per una decina di anni rivolgendo particolare attenzione alle condizioni di vita delle classi più disagiate. Nel 1845 pubblicò a Imola il saggio La ragion critica della medicina, in cui sosteneva che le scienze mediche dovessero liberarsi dalle teorie astratte e ideali per calarsi nella concreta realtà. Il M. auspicava una medicina nuova, rispondente a un solo codice scientifico fondato sull’osservazione delle leggi della natura, sulle scoperte di patologi e fisiologi, sulle statistiche costruite con regolarità e sulla pratica consapevole dei medici nel loro operare quotidiano.
Allo stesso periodo appartengono i due saggi moral-pedagogici Il mio concetto dell’umano incivilimento (Faenza 1845) e Dialoghi intorno all’educazione (Firenze 1846), in cui il M. sottolineava gli alti valori dell’educazione familiare e pubblica nella formazione di un intelligente e industrioso cittadino. Allo scoppio della prima guerra d’indipendenza il M. si arruolò volontario nelle truppe pontificie guidate dal generale G. Durando, con le quali combatté nel Veneto – agli ordini del colonnello L. Zambeccari partecipò alla difesa di Treviso (13 giugno 1848) – ottenendo i gradi di tenente aiutante di campo. Di quell’esperienza militare lasciò memoria nel saggio, all’epoca ampiamente lodato, Guerre recenti del Veneto (Venezia 1848). Nel 1849 fu a Roma, a difesa della Repubblica romana, per la quale ricevette una medaglia d’argento e il titolo di capitano.
Chiusasi senza successo l’esperienza del 1848-49, il M. tornò ai suoi studi, ora indirizzati alle scienze giuridiche ed economiche, e al suo lavoro di medico condotto. Nel 1854-56 l’Italia fu attraversata da una forte epidemia di colera, la più aggressiva tra quelle che fino a quel momento avevano investito il Paese, con 4468 Comuni colpiti e 118.530 morti denunciate. Nel 1855 il morbo attaccò violentemente la Romagna, e il M., venuto a conoscenza che il Comune di Cotignola era rimasto senza medici avendo la malattia colpito i due condotti, si pose gratuitamente al servizio della popolazione, che curò con sapienza e con risultati tali da fargli ottenere dal governo pontificio un diploma di benemerenza e una medaglia d’oro.
Nello stesso periodo continuò l’attività di studioso, arricchita dalla pubblicazione di saggi importanti come Storia delle guerre, ossia Memoriale militare politico della storia universale (Firenze 1854) e dalle sue prime opere di economia: Sugli economisti italiani nel nostro secolo (ibid. 1853); Sul modo di provvedere ai crescenti bisogni dell’Erario pubblico, ed alle crescenti proteste del popolo operaio e minuto, ossia la tassa diretta sulle vendite (ibid. 1855).
Politica ed economia divennero due pregnanti interessi del Marescotti. Spostatosi su posizioni filosabaude egli fu un protagonista di primo piano del partito di Cavour in Romagna, dove nel 1859, quando ebbe termine il potere pontificio, entrò a far parte come intendente (con autorità governativa a Lugo) del governo provvisorio delle Romagne con sede a Bologna. Successivamente nominato da L.C. Farini consigliere di Stato, alle elezioni per l’Assemblea costituente delle Romagne fu eletto deputato nel II collegio. Quale segretario dell’Assemblea fu scelto tra i commissari inviati a portare a Vittorio Emanuele II il risultato del plebiscito emiliano romagnolo. Nel 1862 fu eletto consigliere nel Comune di Lugo – il cui circondario, per suo interessamento, il 19 genn. 1860 passò dal Comune di Ferrara a quello di Ravenna –, e successivamente fu eletto sindaco. Alla fine del 1862 un’elezione suppletiva indetta per sostituire il primo deputato di Lugo, S. Gherardi, chiamato ad altro incarico, portò il M. alla Camera dei deputati.
Nel frattempo il M. era stato chiamato sulla cattedra di economia politica nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bologna, dove iniziò le lezioni il 1° dic. 1859. Gli studi economici furono per un decennio al centro dei suoi interessi e fu accreditato tra le voci più autorevoli del pensiero economico-sociale italiano. Numerose furono le pubblicazioni del M. in questo campo, e fra tutte, per la completezza delle teorie sostenute, va ricordata L’economia politica studiata col metodo positivo (Bologna 1878).
Il M. amava definirsi un economista sperimentale e positivo, intendendo in tal modo prendere le distanze dalle due scuole dominanti, quella «collettivista» e quella «individualista». Di entrambe condannava il tentativo di ricercare le cause dei fenomeni economici, ricerca che egli riteneva non fosse campo degli scienziati bensì degli studiosi di metafisica, mentre occorreva procedere col metodo positivo dell’osservazione dei fatti. L’attività libera e intelligente – spiegava il M. – guida gli individui a ottenere il risultato migliore col minor numero di sacrifici. Questa legge, che egli definiva «del minimo mezzo», governava tutte le azioni umane e dalla sua applicazione discendeva per il M. la divisione del lavoro, che consentiva di ottenere i migliori risultati con sforzi contenuti. Da questi principî, sostenuti dall’idea di un’organizzazione dell’ordine economico naturale e libera, derivava la teoria della circolazione, della distribuzione e del consumo della ricchezza.
Particolare attenzione il M. dedicò allo sviluppo industriale in una stagione in cui l’industria italiana andava celermente avviando la propria crescita. Il sistema della fabbrica gli appariva come segno del progresso e in maniera convinta sostenne la fine del lavoro a domicilio attraverso la trasformazione dei piccoli laboratori domestici in moderne imprese, capaci di sperimentare nuove tecnologie con benefici effetti sulla produzione e sul guadagno. Al nuovo sistema produttivo era funzionale, secondo il M., la libera concorrenza intesa come libertà di esprimere le facoltà individuali e di cercare occasioni di profitto.
Diversamente da altri sostenitori della grande impresa, il M. si dichiarò contrario a qualsiasi forma di protezionismo che, a suo dire, danneggiava «gli scambi mondiali necessarissimi a tenere in vita le ciclopiche industrie moderne» (L’economia politica…, cit., p. V). Contro i dazi in favore della crescita di imprese «colossali e giganti», il M. si espresse costantemente nei suoi scritti, nelle sue lezioni universitarie e alla Camera, nel 1882, quando fu relatore a nome della commissione parlamentare istituita per la preparazione della legge su un trattato commerciale con la Francia, poi approvato nel maggio dello stesso anno (cfr. Discorso del… relatore del progetto di legge concernente il trattato di commercio con la Francia pronunciato nella tornata del 7 maggio 1882, Roma 1882). Negli anni postunitari quella del M. rappresentò una posizione minoritaria. Solo dopo la svolta protezionista del 1887 trovò voci consonanti in una diversa generazione di economisti definita «marginalista» (A. De Viti De Marco, V. Pareto, M. Pantaleoni), che pure seguiva nuovi percorsi teorici e si differenziava dalla scuola classica del Marescotti.
L’attività parlamentare del M. non fu particolarmente intensa. Durante il primo mandato, seduto ai banchi della Destra, si impegnò principalmente su questioni locali sollecitando i lavori del tronco ferroviario Ravenna-Castel Bolognese, inaugurato il 23 ag. 1863. Non si presentò alle elezioni del 1865 e tornò alla politica solo dopo la svolta del 1876. Nel 1882, nelle prime elezioni politiche a suffragio allargato, si candidò per la Sinistra a Carpi e fu eletto deputato. Nel 1883 fu nominato senatore.
Trasferitosi a Bologna per poter meglio soddisfare gli impegni accademici, nel 1866 il M. era entrato nel Consiglio comunale, dove rimase fino al 1886. Quale consigliere, ma soprattutto assessore alle Finanze (dal 1868 al 1872), si impegnò notevolmente per lo sviluppo economico, edilizio e sociale di Bologna. Di primo piano fu la battaglia per l’abbattimento delle mura e a favore dell’allargamento della cinta daziaria, che lo vide tra i precursori di realizzazioni avvenute ben dopo la sua morte.
Come assessore a Bologna alzò spesso la voce contro i dazi comunali, visti come potente freno allo sviluppo industriale. Nel 1872, in occasione di un’adunanza del comitato per l’Inchiesta industriale, dichiarò che il dazio comunale non colpiva più in maniera prevalente i consumi di lusso, bensì la produzione industriale, rappresentando un freno a quel processo di «accentramento» di lavoro e capitale tipico dei Paesi avanzati e divenendo per contro un incentivo alla conservazione di un modello economico fondato sulla dispersione delle attività produttive, con tutte le conseguenze negative che questo comportava.
Nel 1878 il M. modificò la sua posizione eliminando i radicalismi e patrocinando, come soluzione più realistica e opportuna per superare gli ostacoli che il dazio poneva alla crescita industriale della città, non l’abolizione bensì l’allargamento della cinta e l’applicazione di un regime daziario unico e meno gravoso: la riforma fu attuata soltanto all’inizio del nuovo secolo, ma il M. ne fu considerato primo proponente e costante propugnatore. Alla questione daziaria il M. vedeva congiunto il tema dell’abbattimento delle mura, intervento che interpretava come forma di ammodernamento della città sull’esempio di quanto avveniva in altre parti d’Italia e d’Europa e, in particolare, nella Parigi di G.-E. Haussmann (Sopra l’ampliamento della cerchia daziaria del Comune di Bologna e la demolizione delle mura di città, Bologna 1878).
Il M. era morto da dieci anni quando il primo piccone si levò ad abbattere la vecchia cinta muraria dopo un lungo e tribolato dibattito.
Nel 1880 il M. abbandonò, per motivi di salute, l’insegnamento all’Università, dove nel 1881 gli fu riconosciuto il titolo di professore emerito. Membro dell’Istituto lombardo di scienze e lettere con C. Correnti, M. Minghetti e S. Majorana Calatabiano, nel 1874 fu tra i fondatori della Società italiana di economia politica Adamo Smith di Firenze.
Il M. morì a Bologna il 5 ott. 1892.
Opere. Oltre a quelle citate, si segnalano: Della necessità di esporre la economia pubblica con metodo sintetico, Bologna 1860; Catechismo sulla economia pubblica esposto in modo sintetico, ibid. 1861; Le finanze. Organismi finanziari, bilanci passivi, bilancio attivo dello Stato, ibid. 1867; La questione sociale in Italia, ibid. 1872; I fenomeni economici e le loro cause costanti. Nuovo trattato di economia politica, ibid. 1880; L’economia sociale e l’esperienza, Roma 1884; La legislazione sociale e le questioni economiche, Milano 1887.
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. comunale, Atti della Giunta e del Consiglio, ad annos; Ibid., Arch. storico dell’Università, Fascicoli personali, Angelo Marescotti. Sul M. si vedano inoltre: T. Martello - G. Brini, Commemorazione, in Annuario della R. Università di Bologna, a.a. 1892-93, pp. 213-218; M. Rossi Ferrucci, A. M., in Corriere lughese, 2 marzo 1930; A. De Gubernatis, Diz. biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, pp. 685 s.; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e dell’Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma 1880, pp. 523 s.; G. Badii, M. A., in Diz. del Risorgimento nazionale, Milano 1933, III, p. 485; M. comm. prof. A. senatore del Regno, in Galleria biografica d’Italia, Roma s.d., pp. 1-5; A. Bignardi, Diz. biografico dei liberali bolognesi (1860-1914), Bologna 1956, p. 29; L’Emilia Romagna in Parlamento (1861-1919), II, Diz. dei deputati, Bologna 1992, pp. 187 s.