INGANNI, Angelo
Nacque a Brescia il 24 nov. 1807 da Giovanni Battista Bartolomeo, pittore di prospettiva, e da Teresa Gobbini.
La sua produzione giovanile è poco nota; sino al 1830 svolse l'attività di ornatista collaborando con il padre, come i suoi quattro fratelli anch'essi pittori (Mazzocca, pp. 225 s.): Giuseppe (1791-1861), di cui è noto un solo dipinto nella parrocchiale di Edolo (Brescia); Francesco (1796-1873), pittore di animali, dal 1840 residente a Milano; Luigi (1797-1867); Giovanni Ludovico (1800-66).
Tra il 1830 - epoca della sua entrata in servizio effettivo nell'VIII battaglione degli Alpenjäger (cacciatori delle Alpi) - e il 1837, anno in cui fu dispensato dalle armi, si colloca la produzione iniziale di pittore di parate e di battaglie per gli alti gradi dell'esercito austriaco.
L'Evoluzione militare nell'accampamento di Medole e Castiglione (Vienna, Heeresgeschichtliches Museum), eseguito nel 1834 per il generale J.J. Radetzky e presentato alla mostra braidense dello stesso anno, lo distinse tra gli specialisti del genere. Determinante fu proprio la frequentazione con Radetzky che, colpito dalle sue doti artistiche, lo presentò a C. Londonio, presidente dell'Accademia di Brera, offrendogli così la possibilità di specializzarsi presso la scuola di pittura di L. Sabatelli e F. Hayez. La copia del Laocoonte di Hayez gli valse nel 1833 l'ingresso a Brera. Alla scuola di prospettiva ebbe come maestro F. Durelli, mentre una profonda influenza esercitarono su di lui G. Migliara e G. Bisi. Suoi compagni di corso furono G. Renica, E. Sala, M. Conconi e B. Verazzi. L'affermazione professionale dell'I. fu agevolata dai legami stretti con gli alti gradi del potere; i suoi committenti furono sia aristocratici milanesi, come i rappresentanti della casa ducale Litta, gli Attendolo Bolognini, i Castelbarco, E. di Belgioioso, P. Vivaldi Pasqua conte di Casabianca, sia esponenti della borghesia colta, quali F. Medici di Milano, tra il 1837 e il 1844, o dal 1848, P. Richiedei di Gussago, autore di importanti commissioni per l'I. nel corso del quinto e sesto decennio e di cui il pittore ebbe a godere la generosa ospitalità.
Nel 1838 espose alla Regia Accademia di belle arti di Milano La veduta della piazza del Duomo con il coperto dei Figini (Museo di Milano), di commissione del cavaliere A. Uboldo, che riscosse un enorme successo, tanto che l'imperatore Ferdinando I d'Austria ne chiese una copia destinata alla Galleria del Belvedere di Vienna; nel 1842 un'altra versione dell'opera venne realizzata per l'arciduca Ranieri, viceré del Lombardo-Veneto; infine, une replica di più vaste dimensioni venne offerta dall'autore nel 1853 a Napoleone III e da questo destinata al Louvre.
Con tale tipo di veduta l'I. aveva elaborato un'originale sintesi tra la veduta urbana di G. Migliara e quella di G. Canella. La diversità di metodo e le varianti tematiche delle vedute urbane presentate dai due autori, la precisione descrittiva con cui Migliara sosteneva l'analisi delle architetture o dei particolari decorativi e la sensibilità per il dato atmosferico e ambientale in Canella, trovarono una singolare ed efficace soluzione nella pittura di cronaca urbana realizzata dall'I., tanto che l'artista "era riuscito, ed in questa operazione non è da escludersi un'ascendenza bresciana, tra Luigi Basiletti e Faustino Joli, a solidificare la vibrazione atmosferica e le suggestioni ambientali di Canella, grazie ad una maggiore definizione luminosa ed una profondità prospettica dove si accostava a Migliara" (Mazzocca, p. 18).
L'elemento che interveniva a caratterizzare in modo affatto personale la pittura urbana dell'I. differenziandola dai precedenti di Migliara e Canella era la sua peculiare animazione per mezzo di "energiche macchiette di popolani, eccezionalmente grandi e risentite in confronto alle architetture" (Scotti). Per l'analisi del composito tessuto sociale della brulicante folla cittadina descritta dall'I., per quella messe ricorrente di "spazzacamini, fruttivendole, venditori, spazzini, venditori di lampade ecc.", è stata sottolineata la possibile derivazione dello studio dei caratteri popolari e dei mestieri dall'Album di scelti costumi lombardi del litografo G. Locarno, edito tra il 1837 e il 1840 (ibid.). Il repertorio figurativo che popolava le vedute urbane dell'I. nasceva da una pratica disegnativa che prevedeva anche l'appunto dal vero, come testimoniano i molti disegni conservati presso i Civici Musei d'arte e storia di Brescia in cui è possibile cogliere il procedimento di sovrapposizione, quasi di montaggio delle immagini, tra l'inscenatura prospettica della veduta e i vari gruppi di personaggi destinati a illustrare la cronaca cittadina.
Nel 1841 divenne socio onorario dell'Ateneo di Brescia. In questo stesso periodo diede avvio a una tipologia di veduta che divenne una sua peculiarità: quella con effetto di neve cadente, genere già affrontato dal veneziano G. Borsato o da I. Caffi, dalla Veduta della piazza Borromeo in Milano con neve cadente (1846: Museo di Milano) sino alla Piazza della Loggia sotto la neve a Brescia (1879: Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo).
Dagli anni Quaranta l'I. affrontò anche la singola scena di genere, confrontandosi con il modello offerto dalla pittura di G. Molteni e anticipando quella di D. Induno. Tra i suoi soggetti, più volte replicati, si ricordano quello dello Spazzacamino (1843: Ibid., Civici Musei d'arte e storia, Fondo Inganni). Il repertorio si arricchì dagli anni Cinquanta, inoltre, di ritratti di contadini o popolani resi con particolari effetti di lumi, di torce, tizzoni ardenti, lucerne, in controluce, in un tipo di composizione che rivelava affinità con opere di M. Pittatore, di G. Van Haanen, o di F. Waldmüller.
Nel 1842 sposò Amalia Bertera, vedova del pittore miniaturista G.B. Gigola. E da quell'anno, allorché nacque il figlio Enrico, l'I. prese dimora a Gussago presso l'antico convento domenicano della Santissima Trinità, già residenza di Gigola, divenendo vicino di Richiedei. Tra la seconda metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta questi gli commissionò importanti opere, tra cui la decorazione della parrocchiale di Gussago: l'I. già negli anni Quaranta aveva realizzato come frescante alcune decorazioni di carattere sacro a Milano, come la Gloria del santo e gli evangelisti in S. Carlo al Corso del 1846.
Nel 1845 l'I. fu nominato tutore della giovane Amanzia Guérillot alla quale avrebbe impartito lezioni di pittura e che sarebbe diventata, alla morte di Amalia Bertera, nel 1856, la seconda moglie dell'artista e sua collaboratrice.
Tra il 1842 e il 1845 l'I. compì diversi viaggi attraverso la Lombardia, recandosi inoltre a Torino dove cominciò a esporre alla Società promotrice di belle arti. Accanto alla ininterrotta presenza alle mostre di Brera, dal 1834 al 1859, specie dagli anni Cinquanta l'I. incrementò gli invii alle mostre delle Società promotrici dei principali centri artistici della penisola, alternandoli alle occasioni espositive milanesi (fu ancora a Brera nel 1863 e dal 1874 al 1876). Spicca la continuità della sua partecipazione alle rassegne della Società promotrice di belle arti di Torino, dal 1843 al 1879, o a quelle di Genova, dal 1851 al 1854, nel 1862, dal 1869 al 1870, dal 1872 al 1878, nel 1880. L'I. espose inoltre all'Ateneo di Brescia (1837, 1841, 1842); alla Società promotrice di belle arti di Trieste (1843-45); alla Regia Accademia di belle arti di Venezia (1850-52, 1854); alla Società delle belle arti di Verona (1858, 1871, 1876, 1877) e a Padova nel 1869.
Fu all'Esposizione universale di Bruxelles nel 1851, al Salon di Parigi nel 1853 e all'Esposizione universale parigina del 1855, dove presentò la Festa nuziale nei dintorni di Brescia che riscosse i commenti ammirati di É.-J. Delécluze e T. Gautier, e infine all'Esposizione universale di Vienna del 1873.
Dal quinto decennio del secolo intensificò la produzione di ritratti, nella particolare accezione prediletta anche da E. Sala: il ritratto ambientato, denotando nelle molteplici prove una qualità di intensa resa psicologica e una vena intimistica nella caratterizzazione, valga per tutti il doppio Ritratto di Luigi Basiletti e Paolo Richiedei (1857: Brescia, Civici Musei d'arte e storia).
Nel 1848, allo scoppio dei moti insurrezionali l'I. tentò di arruolarsi nella guardia civica, ma venne rifiutato. Nell'Autobiografia, stilata nel 1880 due mesi prima di morire (pubblicata a cura di L. Anelli, Gussago 1998), verosimilmente per difendersi dall'accusa di "austriacante" cui il suo passato di pittore al servizio dell'alta gerarchia militare austriaca lo aveva reso soggetto, l'I. descrisse la sua partecipazione agli eventi dichiarando di aver realizzato studi dal vero della presa di porta Tosa da cui avrebbe tratto un grande dipinto, poi ricoperto nel momento del rientro degli Austriaci in Milano (Anelli, in Mazzocca, pp. 63-73). Nel 1860, a Torino, dipinse un Ritratto di Vittorio Emanuele a cavallo (già Torino, Accademia militare: ripr. in Mazzocca, p. 25).
L'I. morì a Gussago il 2 dic. 1880.
Fonti e Bibl.: G. Nicodemi, A. I., Milano 1942; A. Scotti, Pittura di genere e pittura di cronaca, in Mostra dei maestri di Brera (1776-1859) (catal.), a cura di E. Bairati et al., Milano 1975, pp. 259-263; A. I. 1807-1880. Un pittore bresciano nella Milano romantica (catal., Brescia), a cura di F. Mazzocca, Milano 1998; D. Sciuto, Piazza delle Erbe a Verona in una veduta di A. I., in Ce fastu?, LXXVII (2001), 2, pp. 21-41; La pittura in Italia. L'Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, Milano 1991, I, pp. 123, 129; II, pp. 870 s.