SOLERTI, Angelo Giacomo Antonio Maria
SOLERTI, Angelo Giacomo Antonio Maria. – Nacque a Savona il 20 settembre 1865 da Antonio, ingegnere ferroviario (impiegato dal 1885 presso la Società nazionale delle officine di Savigliano), e da Luigia Chiara Conto, possidente.
Primogenito, ebbe due sorelle, Beatrice nata nel 1869 (ne festeggiò, nel 1891, il matrimonio con Vincenzo Ferrari, pubblicando le Notizie del padre carmelitano Dionisio Solerti, Bologna) e Anna Domenica nata nel 1873. La famiglia si trasferì a Lugano nel 1874, ma la formazione scolastica del giovane si svolse altrove: conseguita la licenza liceale a Spoleto, approdò all’Istituto di studi superiori di Firenze il 22 novembre 1884 e vi fu congedato il 29 ottobre 1885, per arrivare all’Università di Torino al seguito della famiglia che si era nel frattempo trasferita nel capoluogo piemontese. Qui si rivelò subito studente assai irregolare (30 e lode in letteratura italiana con Arturo Graf ma, anche, alcune bocciature) perché impegnato in mille iniziative culturali extrauniversitarie, fra cui una fiorente attività editoriale, la collaborazione a numerose riviste letterarie (torinesi e non) e il coordinamento di un «vasto programma di rappresentazioni teatrali classiche» (Rota, 1977, p. 354). Ventenne, si mostrava tanto intraprendente da riuscire a stringere rapporti significativi con Giovanni Pascoli e da cercare la collaborazione di Luigi Capuana, Salvatore Di Giacomo, Antonio Fogazzaro e Matilde Serao, nonché da iniziare un rapporto lungo ma a fasi alterne con Giosue Carducci (23 lettere, dal 1885 al 1901). Più tardi sarebbe venuto il contatto, per altro brevissimo, con Gabriele D’Annunzio.
Fin dal 1885, dopo un esordio in versi che sarebbe rimasto quasi un unicum della sua produzione (Alba. Versi di Rudello (A.S.), Foligno), aveva proposto a un esitante Hermann Loescher la pubblicazione del Manuale di metrica classica italiana ad accento ritmico, infine accettato (Torino 1886), grazie a un accordo secondo cui l’autore s’impegnava a rimborsare l’eventuale «passività» (Loescher a Solerti, 10 marzo 1886). Prima della laurea apparvero, presso l’editore Triverio e poi presso Loescher, Le Odi di Giovanni Fantoni (Labindo), dedicate al maestro Adolfo Bartoli e recensite da Carducci sulla Nuova Antologia l’11 gennaio 1888 (Carducci, 1938, pp. 143-153): la recensione, se lasciava qualche perplessità alla lettura, risultava ancor meno benevola alla luce dei carteggi in cui Carducci definiva l’edizione «una ristampa mal condotta dal poco solerte Solerti» (Carducci, 1953, p. 90). Completano ma non esauriscono la produzione di questo periodo l’Autobiografia di Francesco Patricio e un breve ciclo di traduzioni metriche da Iacopo Sannazzaro, da Museo e da Mosco, uscite sulla Gazzetta letteraria di Torino.
Nel 1887 aveva iniziato la collaborazione al Giornale storico della letteratura italiana (d’ora in poi: GSLI), proponendo alcuni saggi preparatori a quello che sarebbe stato uno dei suoi lavori più importanti, la biografia tassiana.
Il secondo di questi contributi, Anche Torquato Tasso?, scatenò, morto Solerti e in un quadro culturale molto mutato, l’ironia di Benedetto Croce, mentre il terzo, Torquato Tasso e Lucrezia Bendidio, gli guadagnò l’ostilità di Francesco Novati: in entrambi i casi le critiche vertevano sull’attenzione, più o meno esplicita, alla scuola lombrosiana.
Pur impegnato su tanti fronti, il 2 luglio 1888 Solerti poté discutere la tesi, oggi perduta, conseguendo la votazione di 124/130. Nello stesso anno aveva iniziato un proficuo scambio epistolare con Pierre de Nolhac, del quale offriva un vivace ritratto nella Gazzetta letteraria (XIII (1889), 30-32). Ben presto Nolhac avrebbe considerato Solerti un «excellent compagnon de travail» (Allasia, 2009, p. 286) con cui produrre studi di rilievo quali Enrico III re di Francia in Italia e le feste a Venezia, Ferrara, Mantova e Torino (Torino 1890) e, l’anno dopo, Le roi Henri III et l’influence italienne en France (GSLI, 1891). Si delineavano fin da qui le caratteristiche che avrebbero accompagnato Solerti per tutta la sua non lunga esistenza: notevole precocità e competenza, una certa frenesia lavorativa che gli procurò frequenti accuse di frettolosità, una discreta indipendenza scientifica e una costante ricerca di contatti e promozioni.
La cifra dei carteggi e delle comunicazioni private che si affiancano alle recensioni – e ben presto ai necrologi per la prematura scomparsa – va tenuta presente anche per comprendere e definire meglio la diffidenza con cui la prima generazione della scuola storica torinese guardò a questo allievo sui generis. Non si tratta solo dell’indignata reazione di Ettore Stampini per un comportamento considerato poco consono al formale ambiente universitario subalpino, ma dell’ostilità, sempre abbastanza esplicita, di Novati, a cui si affiancarono l’infastidita indifferenza di Graf e la tiepida simpatia di Rodolfo Renier, espressa fin dal 1894 in margine all’edizione solertiana delle Poesie volgari e latine del Boiardo (Bologna). Solo con la seconda generazione della scuola storica, soprattutto con Vittorio Cian, Solerti poté instaurare un rapporto di autentica anche se guardinga amicizia: Cian arrivò addirittura, nel corso di ben centottantacinque lettere, a confidargli alcune preoccupazioni sulla propria vita matrimoniale. Quella di Solerti, invece, apparve subito frenetica quanto la vita scientifica. Il 24 aprile 1889 a Bologna aveva sposato Angela Saggini; nello stesso anno prese servizio nel liceo di Carmagnola, che lasciò quando fu nominato nel liceo Galvani di Bologna, dove si stabilì con la famiglia nel frattempo cresciuta: il 28 gennaio 1890 era nata Amalia; seguirono Antonio (18 luglio 1891), Eloisa (23 giugno 1893), Francesco (2 luglio 1896), Torquato, vissuto poco più di un anno, e infine Carlotta (nata a Venezia il 17 ottobre 1898).
Nel 1891 uscirono i primi due volumi delle Opere minori in versi di T. Tasso (Bologna), a cui avevano collaborato con i loro saggi Guido Mazzoni e Carlo Cipolla, subito recensiti con qualche riserva sul GSLI nel gennaio 1891 da Vittorio Rossi, mentre il terzo, con due scritti di Carducci, vide la luce nel 1895.
Intanto, nel 1892, su sollecitazione di Graf, Solerti presentava domanda a Torino per la libera docenza, che gli venne concessa in base alla sua «utile laboriosità», limitatamente alla «storia letteraria del secolo XVI» (Novaria, 2014, pp. 215, 222); né Graf, estensore del giudizio, mostrò di inquietarsi troppo quando il ministero, prevedibilmente, respinse la delibera. Solerti ottenne poi la libera docenza, su istanza dell’Università di Bologna firmata da Carducci, il 9 giugno 1897.
Licenziata nel 1892 l’Appendice alle opere in prosa di T. Tasso (Firenze), a seguito di un periodo di faticose trattative con Loescher e con la di lui vedova, che aveva nel frattempo sposato Graf, Solerti nel 1895 vide finalmente pubblicata la Vita di Torquato Tasso in tre volumi. Il testo, forse per la modernità dell’impostazione e l’impressionante mole dei documenti raccolti, suscitò più di una perplessità fra i suoi antichi maestri. Toccò a Cian redigere un’ampia rassegna bibliografica (che costituì poi, anni dopo, l’ossatura della voce Solerti per I critici, edito da Marzorati) in difesa della monografia solertiana, mentre Graf, che nel 1888 aveva visto fallire la sua proposta di finanziare la Vita con fondi della scuola di Magistero, si adoperò per far assegnare a Solerti il premio Gautieri dell’Accademia delle scienze di Torino, pur senza rinunciare, nel giudizio, a qualche riserva.
Nel 1895 uscì anche il terzo volume della Gerusalemme liberata (Firenze): il primo e il secondo seguirono l’anno dopo: nel recensirlo sul GSLI Renier constatava come Solerti avesse messo in pratica, con grande coerenza scientifica, le premesse esposte in una recensione all’edizione scolastica di Severino Ferrari (GSLI, 1890). Renier sottaceva però il ruolo svolto da Croce per il buon esito dell’edizione: dopo aver rifiutato di pubblicare la Liberata nella sua Biblioteca napoletana per «inopportunità di una simile pubblicazione in una collezione d’indole regionale» (Croce a Solerti, 21 gennaio 1894), aveva consigliato a Solerti di rivolgersi alla Reale Accademia di Napoli, seguendo poi personalmente l’iter della domanda e arrivando a ottenere un sussidio di mille lire per l’edizione. «Giacché ha fatto tanto, voglia aggiungere [...] l’edizione già pronta delle Rime», si augurava Renier nella recensione, e di nuovo Solerti provava a offrirle, anche stavolta senza successo, a Croce, ottenendo poi da Carducci la possibilità di pubblicare, dal 1898, i primi quattro volumi, nella Collezione di opere inedite o rare di scrittori italiani dal XIII al XVI secolo pubblicata per cura della R. Commissione pe’ testi di lingua nelle provincie dell’Emilia.
Nell’aprile del 1895, distaccato a Roma per l’allestimento delle manifestazioni del centenario tassiano, ricevette, consegnata da Carducci («perché dalle mie mani ti sia più caro»; Carducci, 1956, p. 82), la croce della Corona d’Italia, e l’11 giugno 1898 ottenne, insieme a Remigio Sabbadini, il premio della Reale Accademia dei Lincei per la filologia e la linguistica.
Nel frattempo Solerti univa all’instancabile attività scientifica un’intensa partecipazione ai concorsi a cattedra per l’università: giudicato eleggibile fin da quello del 1895 per la cattedra di Messina, non riuscì tuttavia mai a risultare vincitore, neppure in quello di Palermo del 1899, nonostante, o forse a causa, di una commissione che, presieduta da Bonaventura Zumbini, aveva fra i suoi membri Graf, Francesco Flamini, Cian e Rossi.
Nel 1899, con Giovanni Celoria, Giuseppe Fumagalli, Novati, Rossi e Michele Scherillo, entrò a far parte della giunta che si doveva occupare della pubblicazione del Dizionario bio-bibliografico degli scrittori italiani, presidente Alessandro D’Ancona: l’impresa si sarebbe presto arenata per difficoltà economiche e per dissidi fra i componenti.
Dal 1° ottobre 1898 al 30 settembre 1900 Solerti, con decreto ministeriale, fu comandato alla Biblioteca Marciana di Venezia, città dove si stabilì con la famiglia (un primo tentativo analogo presso la Biblioteca Estense nel 1890 era fallito). Lasciò l’incarico nell’aprile del 1899, quando fu nominato provveditore reggente all’Aquila, non senza aver prima firmato un accorato appello per un restauro radicale della biblioteca (Rivista delle biblioteche e degli archivi, IX (1898), 12) e aver rinvenuto un nuovo testimone della Liberata (X (1899), 3).
Nell’aprile del 1900 Solerti fu colpito da una malattia, forse di origine reumatica, che gli avrebbe definitivamente compromesso la situazione cardiaca: fino a luglio fu ospitato dallo storico Giovanni Sforza, a Montignoso, mentre nel frattempo si adoperava, con successo, per ottenere il trasferimento dal provveditorato dell’Aquila a quello di Massa, nomina confermata solo il 10 gennaio 1902.
Mentre si interrompeva l’alterna liaison con Carducci, che non rispose più alle sue ultime missive, Solerti si inoltrava su un nuovo campo d’indagine, che aveva iniziato a dissodare fin dal 1900, stando a una sua lettera ad Aby Warburg: le origini dell’opera in musica. Come suo costume, riversò parte delle sue ricerche prima negli articoli preparatori sulla Rivista musicale italiana (1902-1904) e nel Giornale storico e letterario della Liguria (1903). Indi le organizzò in tre lavori capitali: Le origini del melodramma (1903), raccolta di testi programmatici (prefazioni, avvertenze, dediche) e testimonianze critiche coeve sulla poetica del nuovo genere; Gli albori del melodramma (1904-1905), che in tre volumi offrono, unitamente a un quadro sintetico della musica teatrale in Italia dal secolo XVI al 1640, l’edizione dei testi drammatici per musica di Ottavio Rinuccini, Gabriello Chiabrera e Alessandro Striggio jr; infine, Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637 (1905), ricostruzione dell’intera età eroica dell’opera in musica a Firenze, a partire dal diario di corte di Cesare Tinghi (1600-1615). Il valore di queste pubblicazioni, inestimabili per la conoscenza storica dell’opera in musica, eccede di gran lunga il giudizio riduttivo di taluni critici, coevi e seriori, che ne disdegnarono l’atteggiamento erudito e l’intento positivistico.
Morì il 10 febbraio 1907, dopo una breve agonia.
Cian aveva fatto in tempo ad accorrere al suo capezzale e, constatate le condizioni economiche non floride, decise di curare l’opera incompiuta dell’amico Rime disperse di Francesco Petrarca, devolvendone alla famiglia i proventi. Prendendo in mano il manoscritto si rese conto di alcune inspiegabili lacune delle quali alcuni giorni dopo chiese spiegazioni a Novati: scoprì che il collega aveva rifiutato a Solerti «la comunicazione di quello che io potevo fornirgli» e ora garantiva la massima disponibilità, dato che «non ho più motivo di far questo» (Novati a Cian, 3 maggio 1907).
Fonti e Bibl.: Bergamo, Biblioteca Angelo Mai, Fondo Solerti (il ricco e parzialmente inesplorato carteggio conserva tutte le lettere a lui indirizzate); Bologna, Archivio Storico dell’Università; Firenze, Archivio di Deposito e Storico dell’Università; Savona, Archivio di Stato; Torino, Archivio Storico Università di Torino; Archivio Storico della Biblioteca Marciana. Le lettere di Renier e di Novati a Cian sono custodite nel Fondo Cian dell’Accademia delle scienze di Torino (cfr. le tesi di laurea di V. Rosso, 2006-07 e M.G. Rosingana, 2006).
La bibliografia di Solerti è in appendice al ritratto biografico che precede le postume Rime disperse di Francesco Petrarca o a lui attribuite per la prima volta raccolte a cura di A. S., prefazione, introduzione e bibliografia, a cura di V. Cian, Firenze 1909.
A. Graf, Relazione della Commissione dei premii Gautieri: anni 1891-98. Letteratura, letta alle Classi Unite della R. Accademia delle scienze di Torino nella seduta dell’11 giugno 1899, in Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, 1899, vol. 34, dispensa 14, p. 835; R. Renier, Giornale storico della letteratura italiana, XLIX (1907), pp. 233-234; V. Rossi, A. S., in Fanfulla della domenica, XXIX (1907), n. 3, pp. 2 s.; V. Cian, A. S., in Rassegna bibliografica della letteratura italiana, XV (1907), pp. 105 s.; B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, II, Bari 1921, pp. 193 s.; G. Carducci, Confessioni e battaglie, s. seconda, Bologna 1938; Id., Lettere, XVI, 1886-1888, a cura di M. Valgimigli, Bologna 1953, XIX, 1894-1896, 1956; V. Cian - U. Fragapane - M. Fuisini, A. S. e Emilio Bertana, in Letteratura italiana. I critici, a cura di G. Grana, II, Milano 1969, pp. 902-914; D. Rota, Tra A. S. e Giovanni Pascoli: un’amicizia e un carteggio, in Lettere Italiane, XXIX (1977), pp. 341-368; A. Brambilla, Due lettere di Gabriele D’Annunzio ad A. S., in Archivio storico bergamasco, maggio 1982 (poi in Id., Professori, filosofi, poeti, Pisa 2003, pp. 263-270); D. Rota, Il carteggio inedito di A. S. nella Biblioteca civica “A. Mai” di Bergamo, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXLI (1982-1983), pp. 340-367; A.M. Meyer, Concerning Warburg’s ‘Costumi teatrali’ and A.S., in Journal of the Warburg and Courtauld institutes, L (1987), pp. 171-188; D. Rota, Inventario del carteggio inedito di A. S. nella Civica Biblioteca “Angelo Mai” di Bergamo, in Quaderni del Dipartimento di lingue e letterature neolatine, Istituto Universitario di Bergamo, 1987-1988, pp. 163-196; C. Allasia, «Uomo instancabile, ringraziamenti e congratulazioni», in Italianistica, XXV (1996), pp. 301-327; A. Graf, Lettere a Vittorio Cian, a cura di C. Allasia, Firenze 1996, ad ind.; D. Rota, I maggiori biografi del Tasso, in Studi tassiani sorrentini, 11 marzo 2002, pp. 157-188; M.G. Rosingana, Le lettere a Vittorio Cian dell’Accademia delle Scienze di Torino: Francesco Novati, tesi di laurea, a.a. 2005-06, Università di Torino; V. Rosso, Le lettere a Vittorio Cian dell’Accademia delle Scienze di Torino: Rodolfo Renier (1898-1908), tesi di laurea, a.a. 2006-07, Università di Torino; Die Musik in Geschichte und Gegenwart: Personenteil, Kassel 2008, s.v.; C. Allasia, «Avec la meilleure fidélité de mon cœur»: lettere del «civis aretinus» Pierre de Nolhac a Vittorio Cian, in Studi francesi, LIII (2009), 158, pp. 279-297; Ead., L’idea concubina, Alessandria 2012, ad ind.; necessita di qualche verifica il contributo di A. Benedetti, Contributo alla biografia di A.S. (1865-1907), in Otto/Novecento, XXXVI (2013), pp. 149-163 (poi, con il titolo Un cinquecentista quasi dimenticato, in Studi rinascimentali, XIII (2015), pp. 153-170); E. Artifoni, Ascesa e tramonto della medievistica psichiatrica e criminologica in Italia al tempo di Arturo Graf. Alcuni esempi, in Il volto di Medusa. Arturo Graf e il tramonto del Positivismo, a cura di C. Allasia e L. Nay, Alessandria 2014, pp. 115-134; P. Novaria, Arturo Graf nei documenti istituzionali conservati dall’ASUT, ibid., pp. 193-232; R. Renier, Tarocchi di Matteo Maria Boiardo, ora in Il libro ritrovato, a cura di C. Allasia et al., Torino 2018, pp. 72-90.