GERMANELLO, Angelo
Non ci sono pervenuti documenti che possano attestare con certezza i dati anagrafici di questo diplomatico mantovano operante a Roma tra il 1519 e il 1528. Tuttavia, in base ad alcune note che egli stesso fornisce nella fitta corrispondenza che scambiò dalla sede romana con i signori di Mantova (139 lettere ancora oggi conservate nell'Archivio Gonzaga), possiamo ragionevolmente ipotizzare che nascesse intorno agli ultimi due decenni del sec. XV.
Da quegli stessi documenti si deduce che era ben introdotto negli ambienti curiali romani, presso i quali operava ufficialmente come uditore e segretario del cardinale Sigismondo Gonzaga. In una lettera dell'8 giugno 1519 da Roma, Baldassarre Castiglione lo indicava vicario del vescovo di Mantova (carica allora ricoperta dallo stesso cardinale Sigismondo), e il privilegio trova conferma in una registrazione notarile a nome del G. dello stesso anno. In una delle prime missive inviategli da Mantova nel giugno 1519 lo si menzionava inoltre "Reverendo iuris utriusque doctori amico nostro carissimo domino Angelo Germanello, reverendissimi et illustrissimi domini cardinalis Mantuani auditori et secretario". Non sembra però fosse mai stato consacrato sacerdote, condizione che non gli impedì tuttavia di essere eletto nel 1517 canonico della cattedrale di Mantova: egli stesso ci rivela i propri vincoli religiosi in una lettera del 6 marzo 1525 diretta al segretario mantovano Giambattista Abati, detto Abbadino.
In quella missiva il G. incaricava l'Abati di intercedere presso il marchese Federico Gonzaga affinché persuadesse il cardinale Sigismondo Gonzaga a non pretendere dal G. la rinuncia al canonicato, promesso nel frattempo dal cardinale a Geremia Cusatro. Infatti, essendo il G. investito, oltre a quel titolo, solo del chiericato della parrocchiale di S. Salvatore in Mantova, senza il canonicato non avrebbe potuto esercitare le funzioni di giudice delegato apostolico, che evidentemente svolgeva a Roma in qualità di dottore giureconsulto. Come poi egli stesso dichiarava nella lettera del marzo 1525 all'Abati, disgiungendo i due titoli "bisognaria che io me facesse sacerdote, el che non bisogna stando unito" il chiericato al canonicato. Con la morte del cardinale, avvenuta nell'ottobre successivo, veniva tuttavia a cadere ogni timore di perdita del proprio beneficio.
Il carteggio con la corte gonzaghesca dal 1519 al 1528, già ampiamente utilizzato dal Pastor, ragguagliava sui più diversi avvenimenti politici e religiosi accaduti in quegli anni non solo a Roma, ma anche nel resto d'Italia e all'estero, grazie alle voci che dalle diverse corti europee rimbalzavano per via diplomatica alla Sede apostolica. Tutte informazioni che il G. raccoglieva scrupolosamente, riferendole a Mantova spesso con stile molto sintetico ma efficace e puntuale, annotandovi date, e in taluni casi persino orari, dei singoli eventi. Vi sono contenute inoltre utili notizie degli incarichi che a lui e ad altri agenti mantovani venivano affidati da Mantova per seguire pratiche, per lo più di natura giuridico-ecclesiastica, presso la Curia romana. Fra queste ultime spiccano tutto l'affare di Tolomeo Spagnoli, condotto per conto della marchesa Isabella d'Este, e la pratica per la rinuncia al vescovato di Mantova da parte di Sigismondo Gonzaga a favore del nipote Ercole.
Alla morte del marchese Francesco Gonzaga nel marzo 1519, Isabella d'Este aveva assunto la reggenza insieme con il cognato Sigismondo per conto del figlio, Federico II Gonzaga allora diciannovenne. Uno dei suoi primi atti fu quello di allontanare dalla corte l'ex segretario del defunto marchese, Tolomeo Spagnoli, sospettato di aver abusato dei propri incarichi a corte per fini prettamente personali. Lo Spagnoli riuscì a fuggire prima ancora che fosse avviata l'inchiesta a suo carico, rifugiandosi dapprima in Francia e poi a Roma, presso Leone X, dove si pose sotto la protezione del papa in cambio di utili informazioni sul doppio gioco condotto dai Gonzaga negli anni precedenti. Incaricato insieme con Baldassarre Castiglione di seguire tutta la delicata vicenda, il G. inviava a Mantova già dal novembre 1519 dettagliate relazioni sullo sviluppo degli eventi. Questi si andarono poi intrecciando con la successiva petizione al papa della rinuncia al vescovato di Mantova da parte di Sigismondo Gonzaga a favore del nipote Ercole, primo passo strategico della marchesa verso la richiesta della berretta cardinalizia per il proprio figlio. Dopo molto tergiversare, stemperatosi per via diplomatica il pericolo minacciato dallo Spagnoli, il 10 maggio 1521 il G. poteva riferire a Isabella d'Este la notizia, datagli personalmente dai cardinali riuniti in quel giorno in concistoro, della nomina di Ercole Gonzaga a vescovo di Mantova.
L'ultimo documento che ci attesta dell'attività del G., oltre che della sua esistenza, è una lettera da Viterbo del settembre 1528. Dopo tale data non esistono più sue tracce, facendoci quindi presumere che egli sia morto negli ultimi mesi di tale anno.
Tale ipotesi può essere confortata da una lettera da Roma di Nicolò Germanello, probabile parente del G., che nel gennaio 1529 riferiva all'Abati di un non meglio precisato beneficio, già in godimento del G., lasciato da questo all'Abati nonostante il dichiarato diniego del capitolo della cattedrale di Mantova.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 864-868, 870, 872, 875, 876, 878, 1895, 1896, 1900, 2926, 2927, 2929, 2930; Registrazioni notarili, anno 1519, n. 277; B. Castiglione, Le lettere, I, a cura di G. La Rocca, Milano 1978, ad indicem; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, Roma 1929, ad indicem; D. Ferrari, Giulio Romano: repertorio di fonti documentarie, Roma 1992, ad indicem; A. Luzio, Isabella d'Este e il sacco di Roma, in Archivio storico lombardo, XXXV (1908), 2, p. 369; Id., Isabella d'Este e Leone X dal Congresso di Bologna alla presa di Milano, in Archivio storico italiano, s. 5, XLIV (1909), p. 102; Mantova. La storia, II, Mantova 1961, ad indicem; G. Coniglio, I Gonzaga, Varese 1967, p. 255.