GEREMIA, Angelo
Nacque a Venezia nel 1693. Matricolato alla corporazione dei librai nel 1716, svolse la sua attività in via Mercatoria sotto il segno tipografico, tradizionale nell'editoria veneziana, della Minerva.
La sua attività si colloca cronologicamente negli anni della crisi editoriale veneziana del Settecento, quando, per un simultaneo convergere di molteplici motivi indipendenti tra loro, la produzione e il commercio librario entrarono in fase recessiva. I primi sintomi di questa congiuntura sfavorevole furono l'acuirsi, già nel quarto decennio del secolo, dei conflitti d'interesse tra i tipografi e i librai, dato che i primi operavano spesso in condizioni di inferiorità. Di uno di questi scontri fu protagonista il G., che nel 1735 si rivolse ai riformatori dello Studio di Padova per bloccare la stampa di un Dictionarium selectorum casuum coscientiae intrapresa dal tipografo Michele Pleunich.
Pienamente inserito nell'ambiente editoriale lagunare, che la crisi rendeva sempre più riottoso e insofferente, il G. provò per qualche giorno le durezze del carcere e la chiusura della libreria. Nel dicembre 1755 fu arrestato per ordine dei Riformatori, con l'accusa di essersi espresso in termini oltraggiosi.
Anche se ormai in età avanzata, il G. partecipò pure alle fasi successive della crisi dell'arte tipografica veneziana, negli anni Sessanta, quando l'espulsione della Compagnia di Gesù dal Portogallo, e in seguito da tutti i regni borbonici, e la conseguente messa fuori mercato di tutti i titoli dei padri gesuiti resero la crisi particolarmente acuta e i magazzini iniziarono a riempirsi di opere che per oltre un secolo avevano costituito il nucleo fondamentale delle esportazioni veneziane. I principali imprenditori si trovarono a questo punto nell'impossibilità di reagire concretamente a una vicenda che superava le loro possibilità d'intervento e non rimase loro altra soluzione che scagliarsi contro coloro che, all'interno dello Stato veneto, negli anni precedenti avevano infranto l'armonia che vigeva da decenni, e cioè i Remondini e la massa dei matricolati poveri.
L'arte si trovò così spaccata in due schieramenti contrapposti e anche il G. fu costretto a prendere posizione. Al primo gruppo, definito come "vecchio", sotto la guida della casa Baglioni, aderivano quasi tutti i principali librai, a capo di aziende attive da numerosi decenni e legate da molteplici relazioni. Per esse era di vitale importanza il mantenimento delle garanzie tradizionalmente offerte dal privilegio di stampa. Sull'altro versante si trovarono Giambattista Remondini e Antonio Zatta, assieme alle decine e decine di piccoli operatori, tra i quali il Geremia.
Lo scontro fu aperto con un atto dei Baglioni, che il 9 nov. 1761 notificarono a tutti i librai dello Stato veneto l'intenzione di chiudere tutti i conti di baratto in corso e di trattare i propri libri esclusivamente in contanti. L'uso del cambio poté proseguire solo nell'ambito ristretto di quei pochi altri grandi librai in stretti rapporti con la casa Baglioni, i quali contemporaneamente aderirono al blocco. Il 18 nov. 1761 i Remondini chiesero perentoriamente ai Baglioni di annullare la decisione. Non avendo ottenuto risposta, presero a ristampare senza alcun ritegno le edizioni Baglioni uscite di privilegio. Lo stesso fece Antonio Zatta. Intanto, come la grande massa dei librai poveri, anche il G., trovatosi nell'impossibilità di commercializzare i libri veneti più richiesti, si diede all'importazione dall'estero delle stesse opere già stampate a Venezia.
Gli anni 1762-65 furono quindi densi di vivaci contrasti tra i due schieramenti. Da una parte le poche ma ricche case "vecchie", che imputavano il declino alle molteplici stamperie estere, all'alto numero di librai e tipografi senza capitali, al ribasso dei prezzi (e al conseguente peggioramento della qualità) e all'ingresso nell'arte dei Remondini, i cui stabilimenti fuori Venezia, a parer loro, godevano di aggravi molto minori di quelli cui erano soggette le ditte veneziane. Sul versante opposto, le case "moderne" e i matricolati poveri, alleati, rinfacciavano agli avversari l'interruzione del metodo del baratto, grazie al quale agli inizi del secolo si era rianimato tutto il commercio librario. Tanto più, come denuncia una scrittura sottoscritta anche dal G., che proprio coloro che tramite i cambi si erano arricchiti, si trovavano ora in prima fila nel pretendere denaro contante per i propri assortimenti.
Nel 1759, in una relazione sui singoli matricolati, il G. viene ricordato come già anziano. Di lui si sottolinea come, pur commissionando la stampa delle proprie edizioni ad altri, aveva sempre curato che la tiratura fosse svolta con cura e diligenza: "libraio ch'è stato dei buoni per le sue domestiche disgrazie. Fa stampare poco o nulla. Ha molti libri ricercati ed ha fatto stampare con diligenza".
Di lui ricordiamo alcune opere che, pur non essendo insignite di privilegi di Senato e protette quindi dal solo privilegio della corporazione, testimoniano il grande impegno dell'editore nel corso dei decenni Trenta-Cinquanta. Rimarcabili, secondo il sovraintendente alle stampe della Repubblica, sono l'edizione delle opere mediche di Guillaume de Baillon, uscita in 4 volumi nel 1734-36, e quella delle Rime di G. Chiabrera, in 5 volumi, nel 1757. Non meno elegante fu l'impegno espresso negli Opera omnia. Ad manuscriptos codices Romanos, Gallicanos, Anglicanos emendata, aucta et illustrata notis di papa Gregorio I, di produzione maurina, usciti in 4 volumi nel 1744 per un consorzio formato dal G. con Carlo Pecora e Agostino Savioli. Accanto a queste opere di grande impegno economico, stanno altre più modeste, come l'opuscolo di Antonio Machiavelli, Risposta trasmessa in Massa di Carrara all'ill.mo sig.r conte Silvestro Tempesta, castellano della fortezza del detto Ducato di Massa, sopra un quesito proposto in conforteria da un paziente condannato a morte, stampato nel 1728.
Il G. morì a Venezia nel 1763 circa.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Riformatori dello Studio di Padova, f. 26, c. 134, 18 dic. 1755; f. 361; Arti, b. 164, ins. VII; ins. VIII, c. 167; Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Collezione Antonelli, ms. 686/3; M. Infelise, L'editoria veneziana nel '700, Milano 1989, ad indicem.