GALLI, Angelo (Angelo di Galli, Agnolo di Galli)
Nacque con ogni probabilità nell'ultimo decennio del sec. XIV a Urbino, da Benedetto "maestro de l'intrate", come si legge nella inscriptio di un sonetto dedicatogli dal Galli. Ignoriamo, a causa del silenzio delle fonti note, il nome e le origini della madre: Francesca Stati, la donna che alcuni eruditi indicano come la madre del G., fu in realtà la seconda moglie di quest'ultimo.
Le notizie quanto mai accidentali e frammentarie relative al G. forniteci dalle fonti non ci consentono di ricostruire compiutamente la sua biografia e, in particolare, la sua formazione culturale: interessanti informazioni, in ogni modo, si possono trarre dalle rubriche che precedono i suoi componimenti poetici e che paiono potersi ascrivere a lui. Cresciuto nello studio delle lettere e nell'esercizio delle armi presso la corte dei Montefeltro, nel 1417 il G., ancora in giovane età, dette prova delle sue capacità poetiche, componendo un gruppo di sonetti che dedicò a Ginevra, la donna amata da Bernardino degli Ubaldini, il suo potente protettore. Senza dubbio l'appoggio e la familiarità con questo personaggio, allora influentissimo a corte, dovettero giovare non poco al prosieguo della carriera politica e diplomatica del G. al servizio dei Montefeltro. Pure a quel medesimo torno di tempo dovette, probabilmente, risalire per il G. il battesimo delle armi: infatti il 22 ag. 1417 egli fece parte del contingente di soldati inviato in Lombardia, al comando dell'Ubaldini, in soccorso di Pandolfo Malatesta. Nel 1426 il G. da Urbino, allora devastata dalla peste, raggiunse in Lombardia l'Ubaldini, allora comandante delle truppe fiorentine contro il duca di Milano che era riuscito a evadere dai "forni" di Monza, dove era stato rinchiuso dopo essere stato fatto prigioniero dal capitano visconteo Guido Torelli nel settore di Anghiari. Nel febbraio 1427, terminata l'epidemia, il G. compose una canzone in onore di Caterina, seconda moglie di Guidantonio da Montefeltro, la quale "aveva sanato le pestifere piaghe" di Urbino. Nell'estate del 1428, sempre al seguito dell'Ubaldini, di cui il G. era oramai divenuto uomo di fiducia, si recò a Firenze. In quella occasione, il 1° agosto, dal "podere di Colombara", fuori città, rispose "per le rime" a un sonetto di Malatesta Malatesta, signore di Pesaro; nel successivo novembre scrisse un componimento dedicato a Stefano Porcari, capitano di Firenze. Sempre dalla città toscana, nel febbraio 1430, inviò a Guidantonio da Montefeltro un sonetto in morte del Malatesta. Qualche mese più tardi, il G. era ancora in Toscana, "per la via di Pisa a Firenze". Nel 1431, quando l'Ubaldini occupò Città di Castello, il G. si trovava ancora al suo seguito e al suo servizio. Lo dimostra la circostanza che risiedeva nel vicino "palazzo del Selce" (odierna Selci Lama), dove, tra l'altro, compose una canzone in onore della Vergine.
Negli anni successivi il G. appare impegnato in missioni diplomatiche per conto e rappresentanza dei signori di Urbino. Ciò dovette senza dubbio corrispondere alla posizione di maggiore prestigio da lui raggiunta all'interno della corte di Urbino grazie alle sue doti umane e alle sue capacità politiche e di mediazione. Nel settembre 1432 fu inviato da Guidantonio da Montefeltro a Milano presso Filippo Maria Visconti; nel febbraio successivo, a nome e per conto del suo signore partecipò, in Firenze, alle trattative di pace tra i Montefeltro e il papa. Nel 1438 gli fu affidata la delicata missione di rappresentare Guidantonio al concilio di Ferrara. Nella città estense incontrò Giusto de' Conti, con il quale avviò un sodalizio poetico, da cui fu influenzata la sua successiva produzione letteraria; nel maggio del 1442 intervenne al concilio di Basilea, quale rappresentante del Montefeltro. Si intensificarono allora anche i rapporti con i Visconti e il G. si recò con sempre maggior frequenza a Milano, ove il giovane Federico da Montefeltro militava al servizio del duca Filippo Maria e agli ordini di N. Piccinino. Nell'aprile del 1443 si recò a Siena per assistere all'investitura di Oddantonio da Montefeltro, il nuovo signore di Urbino, che era stato creato duca dal papa. Al ritorno in patria venne creato da Oddantonio cavaliere con il "cingolo militare" per i servizi resi al defunto Guidantonio e per la fedeltà dimostrata verso la famiglia dei Montefeltro. Il diploma di investitura reca la data del 23 giugno di quell'anno.
Assassinato, il 22 luglio 1444, il duca Oddantonio e succedutogli il fratello Federico, il G. prestò lealmente servizio anche presso il nuovo signore. Il 5 genn. 1445 condusse le trattative per il passaggio delle città di Pesaro e di Fossombrone dal dominio di Galeazzo Malatesta a quelli, rispettivamente, di Alessandro Sforza (fratello di Francesco) e di Federico da Montefeltro. Nel 1447, alla morte del papa Eugenio IV si intensificarono i contatti tra Urbino, Roma e Milano; nel loro ambito il G. fu l'anima delle trattative che portarono, il 15 marzo a Pesaro, a un accordo tra Filippo Maria Visconti e Francesco Sforza. Con esso il duca di Milano contava di assicurarsi, fra l'altro, l'appoggio di Federico. Nel luglio del 1450 il G. ricevette dal Montefeltro la procura per discutere i termini e stipulare a suo nome il contratto di una condotta al servizio degli Sforza. Il 31 agosto, a Lodi, alla presenza di Alessandro Sforza, furono fissati i capitoli dell'accordo, che il G. sottoscrisse. La condotta venne poi confermata dallo Sforza anche per l'anno successivo. Quando Federico da Montefeltro ritenne giunto il momento di sottrarsi all'influenza dello Sforza, appoggiandosi al re di Napoli Alfonso I d'Aragona, il G. sostenne con tutte le sue forze la nuova politica del suo signore.
Per celebrare l'accordo stretto da Federico con Alfonso I nel settembre 1451, il G. compose una canzone in onore di Lucrezia d'Alagno, la donna amata dal sovrano aragonese, e due anni più tardi portò a termine una Operecta in prosa e versi dedicata a Ferdinando, duca di Calabria.
I negoziati per un accordo generale in Italia si accompagnarono a un avvicinamento tra i Montefeltro e Milano: già prima che giungesse a Urbino la notizia ufficiale della pace stipulata a Lodi il 9 apr. 1454, il G. scrisse allo Sforza una lettera in cui riaffermava i motivi della propria fedeltà. La risposta giunse quasi due anni dopo, quando il G. non aveva esitato a scrivere al duca di Milano per raccomandare un certo Francesco da Urbino. Nella primavera del 1457, quando anche in virtù della mediazione di Alessandro Sforza, signore di Pesaro, Federico da Montefeltro si recò a Milano in visita ufficiale, il G., oramai avanti negli anni, fu costretto da una infermità a rinunciare ad accompagnarlo. Lo Sforza gli scrisse, dolendosi per non averlo potuto rivedere e scusandosi per non aver potuto soddisfare una sua richiesta d'aiuto per il di lui genero Taddeo Cataldi. Nel maggio 1458, il G. rinnovò l'istanza presso il duca di Milano in favore del Cataldi. Nell'estate 1458 svolse la sua ultima missione diplomatica: fu incaricato dal signore di Urbino di recarsi, nonostante l'età veneranda, a Milano, per trattare presso quel duca problemi riguardanti la situazione napoletana. Una lettera, inviata da Federico a Francesco Sforza l'8 luglio, testimonia la considerazione e l'affetto che il signore nutriva nei riguardi del suo amico e fedele collaboratore. Chiedeva, infatti, che venisse accolto con tutti gli onori spettantegli come suo dignitario e poeta: e concludeva con questa umanissima raccomandazione: "Et perché da un poco in qua lo ode male, dignese la Vostra illustrissima Signoria ascoltarlo in loco ch'el possa parlare forte, come è costume de chi non ode bene". La missione ebbe buon fine: Federico da Montefeltro rimase assai soddisfatto e per l'accoglienza riservata al G. e per i risultati da lui raggiunti. All'agosto di questo stesso anno risalgono due sonetti composti dal G. in occasione dell'elezione al papato di Pio II.
Il G. morì a Urbino prima del 10 dic. 1459, data in cui uno dei suoi figli, Federico, scrisse una lettera al duca di Milano per informarlo della scomparsa del padre avvenuta in quei giorni.
Diplomatico e uomo d'armi di Guidantonio, Oddantonio e Federico da Montefeltro, il G., che l'umanista napoletano Porcellio Pandoni definì "insignis patrio sermone poeta", fu indubbiamente uno degli esponenti di rilievo della lirica volgare quattrocentesca. La sua produzione è assai ampia e varia, estesa lungo un arco di tempo che va dal secondo al sesto decennio del sec. XV, aperta agli influssi dei rimatori contemporanei, dai toscani sino a Giusto de' Conti, il quale da un certo momento in poi dovette costituire un vero e proprio exemplum; l'opera poetica del G. non manca di un suo spessore, aprendosi ad accenti di autentica originalità e spingendosi sino ad accogliere spunti della più minuta quotidianità. Disponibile alla notazione comica e colloquiale, così come ai toni sostenuti tipici della più illustre tradizione, il G. si conferma come il rimatore più autorevole di una civiltà letteraria, che, relegata nell'ombra, ci è ora più nota da quando la critica recente ha individuato all'interno dell'area urbinate-romagnola una koinè poetica, caratterizzata sia dalla contiguità geografica sia dalla presenza istituzionale della corte di Montefeltro, e i cui centri principali furono appunto Urbino, ove prima del G. si erano cimentati nella poesia gli stessi principi della casata dei Montefeltro, il conte Antonio e i figli Battista e Guidantonio, Pesaro, che annovera Malatesta Malatesta e Alessandro Sforza, signore della città, e Rimini, terra di Sigismondo Pandolfo Malatesta, lui pure poeta.
La cortina di silenzio che aveva circondato nei secoli successivi la produzione del G., appena mossa da citazioni di eruditi del Sette e Ottocento, venne sollevata nel 1925 quando il Wiese pubblicò l'Operecta in laude dela belleza e detestatione dela crudeltade dela cara amorosa del signor duca Ferando, composta dal G. attorno al 1453. Tuttavia la sistemazione critica dell'intera opera si è avuta solo quando il Nonni ha pubblicato l'edizione critica del Canzoniere (Urbino 1987): una silloge di 348 componimenti del G. e di altri 26, ascrivibili a vari suoi corrispondenti. In seguito, sempre il Nonni ha pubblicato una tenzone poetica sull'origine di Amore (Una tenzone poetica di A. G. e Mariotto Davanzati, in Studi per Eliana Cardone, Urbino 1989, pp. 27-41), che il G. intrecciò con Mariotto Davanzati, esponente di rilievo del nuovo corso della lirica toscana prelaurenziana.
Elaborata in forma di visione sul modello della boccacciana Commedia delle ninfe fiorentine, l'Operecta contiene una dedica al duca di Calabria Ferrante d'Aragona. Argomento del prosimetro è una contesa in Parnaso, dopo l'incontro del poeta urbinate con Giusto de' Conti intorno all'eccellenza della poesia o della prosa: protagonisti il Petrarca e il Boccaccio, i quali pronunciano le loro orazioni dinanzi a Federico da Montefeltro con l'arbitrato di Dante, in una singolare commistione di personaggi di epoche diverse. Il verdetto finale di parità tra i generi, all'interno di una consumata cornice onirica, intessuta di incontri galanti e fittizi, fornisce al G. il pretesto per riaffermare la propria devozione alle tre corone. L'impianto generale dell'opera è debitore nei riguardi dell'Elegia di madonna Fiammetta oltre che di altri testi secondari del Boccaccio e del Petrarca (Triumphi).
Il Canzoniere è tramandato nella sua sostanziale interezza da due testimoni non autografi, il Piancastelli 267 (V.87) della Biblioteca comunale di Forlì (sec. XV) e l'Urb. lat. 699 della Bibl. apostolica Vaticana (sec. XV). Un terzo esemplare miscellaneo, conservato presso la British Library di Londra, l'Additional 25487 (sec. XV), contiene oggi 127 componimenti, presenti nel Canzoniere, ma in differente sequenza, oltre a 8 sonetti attribuiti al G. non attestati altrove.
Un considerevole numero di manoscritti miscellanei, che risalgono per lo più alla seconda metà del Quattrocento, attesta numerosi componimenti sparsi, in gran parte accolti nella silloge. Delle tre testimonianze di maggior ampiezza, quella rappresentata dal forlivese è l'unica apparentemente integra e sembra configurare un progetto di aggregazione del materiale poetico esistente: libro ordinato, pur senza assilli di rigorose simmetrie, non libro costruito attraverso una progressiva elaborazione, come era invece avvenuto per il modello petrarchesco.
L'intenzione di disporre il materiale secondo un disegno strutturale organico può essere attribuita allo stesso autore, anche se soltanto il primo libro presenta tratti in qualche misura confrontabili con quelli di un vero e proprio canzoniere. Il codice Urb. lat. 699 presenta in un punto segni di evidente lacunosità, mentre la divisione in due libri è segnalata esplicitamente soltanto dal codice Piancastelli. La didascalia che precede in quest'ultimo l'intera silloge recita: "Sonetti et canzone del spectabile cavaliero mesere Agnolo di Galli da Urbino facti per lo illustre et excelso s[uo] Signore meser Federico conte de Urbino". Poiché nella prima parte sono contenuti tutti i componimenti dedicati a Federico da Montefeltro, l'epigrafe potrebbe riferirsi soltanto a questa sezione. I tre sonetti proemiali, che preannunciano il tema della potenza di Amore, e la chiusa, che raccoglie componimenti di contrizione e di argomento religioso, costituiscono elementi, per quanto tenui, di selezione narrativa. La presenza nel primo libro di tutte le composizioni del G. dedicate a Federico può forse considerarsi indizio del pregio che esse assumevano ai suoi occhi per il solo fatto di essere legate alla persona del suo signore.
La seconda parte della raccolta accoglie invece una produzione più eterogenea, prevalentemente giovanile e poco sorvegliata stilisticamente, e inoltre numerose corrispondenze poetiche, intrecciate con Giusto de' Conti, Sigismondo Pandolfo Malatesta, Malatesta Malatesta, Alessandro Sforza. Così recita la didascalia del codice Piancastelli: "In questo altro sequente libro se conteranno canzone et sonetti fatti dal spectabile cavallero meser Angelo di Galli da Urbino per signori e madonne et diverse altre persone et suo missive et risposte tra lui et alchuni altri". L'utilizzazione del sonetto come strumento di comunicazione sociale è ampiamente documentata nella produzione del G., come si evince dalla variegata provenienza di un certo numero di componimenti inseriti in questa silloge, che non sono del G. ma del mantovano Giovan Francesco Suardi, dei toscani Rosello Roselli, Antonio da Montalcino e Felice Brancacci, di rimatori occasionali di ambiente curiale, come Benedetto Barzi da Perugia, il poeta popolare Baldassarre da Cantiano, definito "zappatore" nella didascalia. Confezionato tra il giugno del 1466, quando Galeazzo Maria Sforza aveva nominato il conte di Urbino suo capitano generale, e il 1469, il codice Piancastelli presenta una elevata attendibilità di lezioni, a fronte di un intervento di normalizzazione operato dal copista del ms. Urb. lat. 699, Federico Veterani, il quale redasse la copia in epoca posteriore al 1474. Anche se attualmente conservato a Londra, il terzo esemplare manoscritto della silloge denuncia la sua sicura origine italiana anche per i tratti marcatamente umbro-marchigiani della scrittura. L'assetto della fascicolazione, ora irregolare per la caduta di alcune parti, conferisce un alto grado di probabilità all'ipotesi che l'ordinamento del materiale poetico poco differisse in origine da quello attestato dai manoscritti forlivese e vaticano.
All'interno del vasto materiale lirico, conservatoci da diversi codici miscellanei, è stato possibile ricostruire una corrispondenza poetica tra il G. e Mariotto d'Arrigo Davanzati. Delle tre testimonianze di maggior ampiezza, in base alle quali è stato costituito il testo critico del Canzoniere, soltanto il manoscritto vaticano reca traccia, seppure in maniera lacunosa, del carteggio poetico. Il riscontro con la tradizione a noi nota, consente il ripristino della originale seriazione dei componimenti, colmando nel contempo la lacuna dell'omissione del primo "responsivo" di Mariotto. Oggetto della tenzone del G., nel solco di una consolidata consuetudine letteraria, è la vexata quaestio dell'origine di Amore. Alla morum nobilitas, alla gentilezza, requisiti essenziali per essere ammessi alla cerchia dei fedeli di Amore, si sovrappone il concetto di nobiltà del sangue, dietro il quale si può intravedere una rilettura in chiave sociale della teoria stilnovistica, in rapporto con la nuova collocazione dell'intellettuale all'interno delle corti che si stavano allora formando.
Manoscritti contenenti opere del G. (oltre a quelli già citati): Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 3679, c. 81rv; Bergamo, Bibl. civica A. Mai, Delta.V.6 (sec. XV), cc. 96v-97r; Sigma.II.8 (sec. XV), c. 47rv; Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Redi 184; Ashb. 1714 (sec. XV), cc. 31v-32r, 37v; Ibid., Bibl. naz., Magl. II.II.40 (sec. XV), cc. 184r-185r; Magl. VII.1168 (sec. XVI), c. 102rv; Magl. VII.1298 (sec. XV), c. 37rv; Pal. Capponi 199 (sec. XV), cc. 146v-147v, 181v, 185r-189v, 196r-197r; Ibid., Bibl. Riccardiana, Ricc. 1114 (sec. XV), cc. 192v-193v; Ricc. 1154 (sec. XV), cc. 30v-31r, 74r-82v, 130v, 134v-135r, 143v-144r; Ricc. 2546 (secc. XVI-XVII), cc. 150r-155r; Acquisti e doni, 759, sec. XV, cc. 348v-350r; Lucca, Bibl. statale, Mss. 1493, cc. 72v-73r, 107v-116v, 163r-164r, 169v-170r; 1494, cc. 11r-12r, 239rv; Mantova, Bibl. comunale, Mss. 72 (sec. XV), c. 2v; Modena, Bibl. Estense, Alfa.U.7.24 ital. 262 (sec. XV), cc. 146r-147v; Oxford, Bodleian Library, Can. Ital. 50 (sec. XV), cc. 171v-174v; Parma, Bibl. Palatina, Pal. 245 (secc. XV-XVI), cc. 41r-42r; Treviso, Bibl. comunale, Bailo 1612 (sec. XV), cc. 7r-8v; Udine, Bibl. comunale V. Joppi, Mss. 10 (sec. XV), cc. 137v-138v, 158v; Vicenza, Bibl. civica Bertoliana, Mss. 128 (sec. XVI), c. 103r.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pesaro, Sezione di Urbino, Quadra di Porta Nova, div. ultima, cass. 17, vol. 145, cc. 21v-22r (11 ott. 1449); Quadra di Posterula, div. ultima, cass. 16, vol. 124, c. 80rv (6 maggio 1443); cass. 19, cc. 18v-19r (19 febbr. 1452); cass. 20, vol. 164, c. 122rv (20 maggio 1454); G.M. Crescimbeni, Comentarj intorno alla storia della volgar poesia, VI, 1, Roma 1711, pp. 34 s.; G. Colucci, Antichità picene, V, Fermo 1789, p. 34; VII, ibid. 1790, p. LXXXVII; XI, ibid. 1791, pp. XLIX s.; C. Grossi, Degli uomini illustri di Urbino comentario, Urbino 1819, pp. 132 s.; J. Dennistoun, Memoirs of the dukes of Urbino from 1440 to 1630, II, London 1851, pp. 136 s.; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore al tempo del Magnifico, Pisa 1891, pp. 252 s., 563, 664, 667; G. Zannoni, Per nozze d'argento Pierantoni - Mancini, Roma 1893, pp. 7-14; F. Madiai, Sulla monacazione di Sveva Montefeltro Sforza signora di Pesaro. A proposito di ricerche di B. Feliciangeli, in Le Marche, III (1903), pp. 269-276; L. Venditti, Giusto de' Conti ed il suo canzoniere "La bella mano", Rocca San Casciano 1903, pp. 61-64, 73; P. Provasi, Un sonetto inedito di A. G., in Le Marche, IV (1904), pp. 61 s.; L. Rossi, Federico da Montefeltro condotto da Francesco Sforza, ibid., V (1905), pp. 142-153; M. Manchisi, A. G. e i codici delle sue rime, estr. da Giornale stor. letterario della Liguria, IX (1908), pp. 6-34; F. Madiai, Nuovi documenti su Sveva da Montefeltro Sforza, in Le Marche, IX (1909), pp. 94-142; G. Crocioni, Le Marche. Letteratura arte e storia, Città di Castello 1914, pp. 125 s.; B. Wiese, Ein unbekanntes Werk A. G., in Zeitschrift für romanische Philologie, XLV (1925), pp. 445-583; A.F. Massera, Un poemetto volgare in lode di Lucrezia d'Alagno, in Arch. stor. per le prov. napoletane, n.s., XII (1926), pp. 347-359; G. Franceschini, Il poeta urbinate A. G. e i duchi di Milano, in Arch. stor. lombardo, n.s., III (1936), pp. 117-142 (rec. di P. Provasi, in Urbinum, s. 2, XI [1937], 1-2, pp. 55 s.); G. Franceschini, Ancora alcune notizie su A. G., in Arch. stor. lombardo, n.s., V (1938), pp. 170-185; Lirici toscani del '400, a cura di A. Lanza, Roma 1973, I, pp. 429 s.; G. Nonni, Le rime di A. G. e il codice Piancastelli 267 (Forlì V 87), in Federico di Montefeltro. Lo Stato - Le arti - La cultura, II, La cultura, Roma 1986, pp. 327-346; A.E. Quaglio, Donne di corte e di provincia, ibid., pp. 273-326; M. Santagata, La lirica feltresco-romagnola del Quattrocento, ibid., pp. 219-272; Umanesimo e Rinascimento, a cura di R. Rinaldi, in Storia della civiltà letteraria italiana (UTET), II, 1, pp. 157-159; P.O. Kristeller, Iter Italicum, ad indicem.