FUMAGALLI, Angelo (al secolo, Paolo Carlo Ambrogio)
Nacque a Milano il 28 apr. 1728 da Giovan Francesco e Rosa Fara, agiati commercianti di panni di lana. Dopo aver seguito i primi studi nel collegio degli oblati a Gorla Minore, rientrò a Milano nel 1740 per compiere gli studi superiori al collegio "Patellani", frequentando le vicine scuole dei gesuiti di Brera. Ivi rimase fino ai sedici anni, quando inclinò alla vita monastica entrando nell'Ordine cistercense. Dopo un anno di noviziato, nel 1745 il F. pronunciò i voti solenni nel monastero di Chiaravalle presso Milano. Completò gli studi di filosofia nell'abbazia di S. Ambrogio, dove apprese anche la fisica, e dopo quattro anni fu mandato a Roma, nel monastero di S. Croce in Gerusalemme, che apparteneva alla Congregazione cistercense di Lombardia. Lì si applicò alla teologia e al diritto ecclesiastico, ma anche all'apprendimento dell'ebraico e del greco, sotto la guida dell'abate R. Vernazza, scriptor della Biblioteca Vaticana.
Nel 1760, rientrato a Milano, fu incaricato dell'insegnamento della logica e della filosofia ai chierici, prima a Chiaravalle e poi a S. Ambrogio, e dovette riprendere egli stesso lo studio per adeguarsi ai nuovi programmi che non potevano ignorare i progressi delle scienze fisiche e della matematica e le scoperte newtoniane. In quelle abbazie, fornite di ricche biblioteche e di preziosi e antichissimi archivi, il F. cominciò a familiarizzare con i cimeli diplomatici e altri antichi documenti, appassionandosi a trascriverne e compendiarne i testi e approfondendo le sue conoscenze storiche e filologiche. Nel 1765 dovette trasferirsi nuovamente a Roma, essendo stato nominato lettore di teologia nel monastero di S. Croce in Gerusalemme, dove ebbe l'incarico di riordinare la biblioteca, sicché poté incrementare le sue conoscenze di paleografia studiando codici e diplomi rarissimi dei secoli VII-X, e avendo proficui scambi con molti dotti specialisti romani di quelle discipline. Richiamato a Milano nel 1773, venne nuovamente destinato all'abbazia di S. Ambrogio nell'ambito della quale stava sorgendo una tipografia (con connessa cartiera "ad uso d'Olanda") destinata alla pubblicazione di opere storiche e scientifiche, della quale egli si occupò attivamente; un paio d'anni dopo, essendo vacato un titolo abbaziale minore che non richiedeva la residenza, esso gli fu conferito, consentendogli di venir annoverato fra i membri del "reggimento" dell'Ordine.
Poté allora occuparsi con maggiore libertà del riordino della biblioteca (che fornì di un catalogo) e dell'archivio, che accrebbe e di cui riordinò la parte diplomatica; ma specialmente benemerito della città di Milano egli divenne per aver caldeggiato e attuato l'apertura al pubblico di quella biblioteca (13 marzo 1783) con regolamenti, orari e modalità davvero liberali per i tempi, e per l'istituzione di un'annessa scuola di paleografia e diplomatica finalizzata all'interpretazione dei documenti dell'archivio, scuola della quale egli stesso tenne la cattedra per diversi anni.
In seguito, nominato abate di Chiaravalle, abbandonò l'insegnamento. Nel 1786 il capitolo generale, tenuto proprio a Chiaravalle, lo elesse abate di S. Ambrogio di Milano, attribuendogli anche la carica di presidente del consiglio dei cistercensi di Lombardia e quella di procuratore generale. Oltre all'ordinario governo abbaziale, per S. Ambrogio dovette curare anche l'amministrazione e la giurisdizione dei tre feudi comitali di Limonta, Civenna e Campione di cui l'abbazia era investita e sovraintendere alla disciplina e all'amministrazione di ben quindici monasteri come presidente. Nel capitolo generale del 1791 la dignità di abate di S. Ambrogio gli fu con speciale dispensa rinnovata per altri cinque anni; fu invece liberato dall'incarico di presidenza. Questo alleggerimento degli impegni gli permise di riprendere gli studi, cosicché negli anni 1792-93 poté occuparsi della pubblicazione nella tipografia di S. Ambrogio di una delle sue opere principali.
Nel 1796 fu lieto di lasciare S. Ambrogio per ritirarsi a governare la piccola abbazia urbana di S. Luca, presso S. Celso a Porta Romana. Occupata la città nel maggio 1796 dalle truppe del Bonaparte, nel 1797 l'abbazia di S. Luca fu trasformata in ospedale militare e il F. fu costretto a lasciarla in gran fretta, perdendo nel trasloco molti dei suoi libri e manoscritti. Egli riparò a S. Ambrogio, ma poté rimanervi solo due anni, poiché il 20 marzo 1799 anche quel monastero venne soppresso. Si ignora dove egli si sia trasferito allora, ma probabilmente andò a vivere col nipote ex fratre Camillo. Da una sua dichiarazione del 7 maggio 1803 (Arch. di Stato di Milano, Autografi, "Fumagalli Angelo") risulta che da allora il suo reddito annuo fu solamente di 800 lire assegnate dal governo ai "sacerdoti regolari soppressi", 100 lire derivategli dallo strumento di rinuncia ai beni familiari del 9 sett. 1745, e 50 lire legategli dalla madre per testamento. Continuò tuttavia ad applicarsi alle sue ricerche e a curare le sue pubblicazioni anche fuori dal chiostro, e vide riconosciuti i suoi meriti culturali dal governo della Repubblica Italiana, che il 6 apr. 1803 lo nominò fra i sessanta membri dell'Istituto nazionale.
Il F. morì a Milano, per "febbre biliosa", il 12 marzo 1804, dopo aver testato a favore del nipote Camillo Fumagalli.
Non ci sono pervenute le molte traduzioni di classici greci (specialmente Luciano) e di codici greci medievali che erano fra le carte di cui fu derubato, né altri manoscritti di cui si ha notizia, come le tesi di teologia elaborate nel periodo in cui insegnò quella disciplina a Roma, un saggio sul nesso fra le sorgenti intermittenti e le variazioni barometriche, una Sposizione contro le esazioni eseguite dalla Congregazione del Refosso (un canale scavato fuori porta Romana), una raccolta di massime scolastiche; ma soprattutto si fa rimpiangere un compendio di storia del Ducato di Milano sotto i Visconti e gli Sforza che il F. aveva diligentemente compilato negli anni 1784-86 e che correggeva molti errori cronologici di storia medievale milanese presenti nelle prime due edizioni dell'opera L'art de vérifier les dates (si veda il tomo III dell'edizione 1783-87).
Le prime pubblicazioni del F. furono probabilmente due saggi compresi nella Raccolta milanese dedicata al marchese A.T. Trivulzio (Milano 1757), Intorno all'origine dell'idolatria, in cui il F. dimostra una notevole conoscenza della lingua ebraica e della storia sacra, e Sposizione della messa che si canta nella festa della natività di Cristo, secondo la tradizione di S. Ambrogio…, traduzione in italiano da un codice greco del sec. XIV, col testo a fronte, arricchita da copiose ed erudite annotazioni che indicano già nel F. un esperto di liturgia ambrosiana. Seguì una Vita del padre D. Ilarione Rancati milanese dell'Ordine cisterciense… (Brescia 1762). Nel 1778 poi, per i tipi della neonata tipografia di S. Ambrogio, vide la luce la sua prima opera di rilievo: Le vicende di Milano durante la guerra con Federico I imperatore illustrate con pergamene e con note.
Il testo, innovativo su molti controversi punti di quella storia, è corredato da un'introduzione e da annotazioni, che sono sicuramente del F., come pure l'importante carta topografica dell'assedio di Milano del 1158 e il facsimile del diploma imperiale del 10 febbr. 1186, importantissimo per l'abbazia di Chiaravalle, la lettura e l'interpretazione del quale presentavano grandissime difficoltà (questo lavoro sarà ristampato a Milano nel 1854 a cura e con note di M. Fabi, con l'aggiunta, pp. IX-XVI, di una biografia e di un ritratto del Fumagalli).
Nel 1779, insieme con C. Amoretti e con F. Venini, collaborò con note e disegni di monumenti antichi all'edizione della Storia dell'arte antica di Giovanni Winckelmann…, traduzione dal tedesco stampata in due tomi ancora in S. Ambrogio. Venne poi la Vita del celebre letterato del sec. XVI Francesco Ciceri…, che il F. aveva redatto in italiano e che tradusse in latino per fornirla come prefazione all'epistolario latino del Ciceri pubblicato dall'abate P. Casati (Francisci Cicerei Epist. Libri XII, Mediolani 1782). Tornò al tema dell'idraulica, che aveva già sfiorato con i manoscritti sul canale di Refosso e sulle sorgenti intermittenti, pubblicando negli Atti della Società patriottica di Milano una Memoria storica sull'irrigazione dei prati nel Milanese (II [1789], pp. 211 ss.), cui aggiunse la Memoria storico-diplomatica sull'esistenza degli uliveti in alcuni luoghi della Lombardia (ibid., III [1793], pp. 360 ss.). Nel 1792-93 infine uscì dai torchi di S. Ambrogio una delle due opere maggiori del F. (ancora con la collaborazione di alcuni confratelli): Delle antichità longobardico-milanesi illustrate con dissertazioni (I-II, 1792; III-IV, 1793).
Sono quaranta dissertazioni relative ai secoli di mezzo, scritte allo scopo di chiarire i fatti trattati attraverso i codici degli archivi cistercensi specialmente di Chiaravalle e S. Ambrogio. Gli argomenti sono i più vari: si va dalla topografia e dagli edifici di Milano (con illustrazioni e piante) alla coltivazione degli olivi in Lombardia nei secoli IV-X, dalla struttura sociale dei Longobardi alle guerre di Federico I (con modifiche rispetto al trattato del 1778), dalle vicende degli ordini monastici in Milano al rito ambrosiano, il tutto intercalato dalla trascrizione e illustrazione di molti importanti documenti inediti, dei quali il più antico una "carta di mundio" del 721.
Da molti anni comunque il F. lavorava a un'opera più direttamente pertinente alla sua vera specializzazione, un trattato di diplomatica; lo aveva completato nel breve periodo di S. Luca, nel 1796; ma gli eventi, con le soppressioni monastiche e la conseguente mancanza di mezzi economici, ne impedirono la pubblicazione, finché nel 1802 il tipografo milanese Crivelli, ottenuti in dono dall'autore il manoscritto e le tavole già incise, la effettuò col titolo Delle Istituzioni diplomatiche…, in due volumi dedicati a F. Melzi d'Eril.
L'opera è intesa come un vero e proprio trattato per lo studio di quella disciplina, con l'obiettivo di colmare una lacuna che obbligava gli studiosi italiani a servirsi di testi stranieri, i quali dedicavano pochissimo spazio alla diplomatica italiana, che egli è il primo ad approfondire, anche se confessa di aver avuto per guida le opere del Mabillon, dei padri maurini e dei benedettini dell'abbazia di Goettweig, e di essere stato facilitato dalle innumerevoli esattissime copie di antiche pergamene raccolte in volumi con note e indici dal padre E. Bonomi. Il lavoro è articolato in due tomi divisi in tre libri, nel primo dei quali tratta dei caratteri intrinseci dei diplomi, nel secondo di quelli estrinseci, mentre il terzo è dedicato all'esame delle carte pagensi, alle copie e alle falsificazioni, e alla conservazione dei documenti negli archivi; seguono i criteri per l'individuazione dell'età dei non datati, concludendo con un indice generale di nomi e cose notabili, e con otto tavole di facsimili. Quest'opera, anche se oggi largamente superata, fruttò all'autore unanimi consensi fra gli esperti e gli fece ottenere la nomina all'Istituto nazionale e una fama che nessuno dei diplomatisti successivi ha potuto ignorare. Secondo P.-F. Foucart (Elementi di paleografia, Milano 1878, proemio), il merito maggiore del F. sta nell'aver dimostrato che la base dei nuovi studi era nei documenti regionali.
Più importante (e lo dimostra una recente ristampa anastatica, Milano 1971) l'altro lavoro di ampio respiro del F., uscito postumo, il Codice diplomatico santambrosiano contenente i diplomi e le carte dei secoli VIII e IX che esistevano nell'archivio del monastero di S. Ambrogio, Milano 1805.
Si tratta di 135 documenti quasi tutti originali trascritti con la più rigorosa scrupolosità (fino a conservare tutti i solecismi, i barbarismi e gli errori), accompagnati da una prefazione nella quale vengono esposti i principî metodologici seguiti dall'autore. Il F., dopo anni di applicazione, aveva completato quest'opera (con qualche aiuto del Bonomi) e ne aveva trascritto la stesura definitiva di suo pugno poco prima di morire: nel testamento aveva dato disposizione al nipote ed erede di consegnare il manoscritto all'amico C. Amoretti, che era uno dei conservatori della Biblioteca Ambrosiana, alla quale lo destinava se non si fosse riusciti a pubblicarlo; ma l'Amoretti vi riuscì nel giro di un anno, arricchendolo di un Elogio del F., di annotazioni e di una dedica al Melzi.
Nel 1809 a Bologna vedrà la luce postumo un lavoro minore, Abbozzo della polizia del regno longobardico nei due secoli VIII e IX. Il F. fu legato d'amicizia con Cesare Beccaria.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Autografi, "Fumagalli Angelo"; Ibid., Studi, Istituto nazionale, Provvidenze generali, n. 354 (stampato); Ibid., Biblioteca Ambrosiana, Codice diplomatico santambrosiano (è l'unico ms. del F. ivi esistente, sebbene egli avesse fatto dono a quell'istituto di tutti i suoi mss. superstiti); C. Amoretti, Elogio di A. F., premesso al Codice diplomatico santambrosiano, Milano 1805; Vite e ritratti d'illustri italiani, II, Padova 1812, ad vocem; A. Lombardi, Storia della lett. italiana, IV, Modena 1830, ad Indicem; E. De Tipaldo, Biogr. degli Ital. illustri, II, Venezia 1835, pp. 81-86; M. Fabi, Prefaz. a Le vicende di Milano…, 2a ediz., Milano 1854; C. Cantù, Storia universale, XI, Torino 1858, pp. 548 s.; H. Breslau, Handbuch der Urkundenlehre für Deutschland und Italien, Leipzig 1889, p. 29; C. Malagola, La cattedra di paleografia e diplomatica dell'Università di Bologna, Bologna 1890, p. 12; J.A. Giry, Manuel de diplomatique, Paris 1894, p. 69; A. Ratti, Del monaco cisterciense don Ermete Bonomi…, Milano 1895, passim; N. Barone, A. F. e la cultura paleografica e diplomatica dei suoi tempi, in Atti dell'Accad. Pontaniana, s. 2, XI (1906), pp. 1-22; G. Natali, Il Settecento, Milano 1936, pp. 211, 416, 426 s., 482; Spiegazione della carta topografica dell'antica Milano…, a cura di A. Paredi, Milano 1964; Carteggio Montalembert - Cantù, Milano 1969, pp. 62, 64 n. 2; Biografia univ. antica e moderna, XXII, Venezia 1825, pp. 389 ss.; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon…, V, pp. 32 ss.; Enc. Italiana, XVI, p. 165; Enc. cattolica, V, col. 1806; Dict. d'hist. et de géogr. ecclés., XIX, col. 391.