FORTE, Angelo
Nulla è possibile ricostruire sulla vita e sulla famiglia di questo personaggio vissuto nel XVI secolo, né si può stabilire il luogo della sua nascita. La presenza di una sfera armillare nel ritratto inserito nel frontespizio (con il motto "Vita mea multorum salus") del Trattato della medicinal inventione fa supporre che, oltre la professione di medico, il F. abbia praticato anche quella di astrologo. D'altra parte, l'argomento stesso di una delle sue opere, il De mirabilibus vitae humanae, fondato sul modello della melothesia (la corrispondenza fra parti del corpo e costellazioni zodiacali, qui ampliata fino a comprendere l'intera volta celeste), rivela come il rapporto tra pratica medica e fondamenti astrologici sia predominante nella ratio medendi del Forte. Una metodologia che trova una sua più precisa spiegazione nel Trattato della medicinal inventione (Venezia, V. Ruffinelli, 27 ott. 1544).
Nel breve opuscolo, di soli 18 fogli in 12°, dedicato al gonfaloniere e agli Anziani di Giustizia di Lucca, il F. rivela il proposito di riproporre il metodo della medicina antica, in particolare di quella ippocratica, che alla fine del trattato viene però criticata e respinta. Principio fondamentale della vita fisica è il calore, il cui studio va posto alla base della medicina: "non pochi d'essi [i medici antichi] congetturorno il calor naturale essere nelli corpi vero maestro de tutte le opere e dal suo affare pendere il fatto della vita " (f. 2r). Affermazione assai sintomatica, indicativa dell'importanza che durante il sec. XVI andava assumendo il ruolo del calore sia nella fisiologia medica (come nell'opera di G. Fracastoro) sia come principio regolatore, insieme con il freddo, dell'intera realtà naturale (è il caso di B. Telesio), riprendendo e riproponendo tematiche già sottolineate da Alessandro di Afrodisia e da Averroè nei commenti aristotelici. Ma a questo apprezzamento per l'importanza del ruolo svolto dal calore si accompagna, nel testo del F., la critica alle terapie, già elaborate da Ippocrate, volte a favorire o a ridurre il calore naturale del corpo umano. L'incertezza e la contraddittorietà del giudizio ippocratico sul calore derivano per il F. da un contrasto di fondo tra i principî postulati dallo stesso Ippocrate e l'esperienza. Per avvalorare questa critica, il F. riporta la traduzione di un luogo della pseudoippocratica Lettera a Democrito, dove vengono particolarmente accentuate le incertezze della medicina.
Il ricordo della pratica medica ippocratica diviene così occasione per un excursus sulle diverse scuole, da quelle preippocratiche fino a Galeno e ad Avicenna, sulle quali il giudizio del F. è sempre negativo, perché nessuna ha seguito "la buona maestra natura " (f. 12r). Affermazione che, apparentemente, potrebbe far pensare a un inserimento del F. nell'ambito della nuova medicina rinascimentale, che proprio in quegli anni, con la stampa del De humani corporis fabrica di A. Vesalio (Venezia 1543), anteponeva allo studio delle auctoritates la pratica sperimentale. Ma per il F. l'insegnamento della "maestra natura" si manifesta nel rapporto necessario che va continuamente posto tra la fisiologia umana e gli influssi stellari. Sono le stelle infatti che intervengono nella purificazione degli umori. In luogo dei salassi va ricercata la situazione astrale favorevole all'espulsione dell'umore malato, mentre tutti gli altri devono restare nel corpo, che altrimenti trarrebbe dalla cura più danno che giovamento ("Quando donque, alla natura che regge, non gli viene impedita l'opera, con lo aiuto delle conveniente stelle, gli humori infesti continuamente vapora, dissolve et estirpa", f. 15v): conclusione che rivela la modestia della metodologia medica che il F. presume di sostituire a quella dell'intera tradizione della medicina antica e medievale.
Di un certo interesse per il dibattito sulla stregoneria risulta invece essere il suo Dialogo de gli incantamenti e strigarie con le altre malefiche opre, quale tutta via tra le donne e huomini se esercitano (ibid., Agostino de' Bindoni, 26 ott. 1533), dedicato al doge Andrea Gritti.
In un'ambientazione mitologica nella quale compaiono come interlocutori Giove, Venere, Mercurio e la Prudenza, insieme con l'oratore che formula le accuse, l'argomento dibattuto è quello degli incantesimi e delle stregonerie che le donne, per loro stessa natura, sono capaci di infliggere agli uomini. A un tale giudizio si oppone la Prudenza, mostrando come le pratiche magiche, anche le più nefande, non siano esclusivo appannaggio femminile ma vengano effettuate anche dagli uomini. La diatriba dà occasione per un lungo elenco delle più note stregonerie, in specie gli incantesimi amorosi, con accenni alla fabbricazione di amuleti. La conclusione, con la finale assoluzione delle donne e la ribadita corresponsabilità dell'uomo nella pratica della magia, se da una parte rivela un cauto atteggiamento di critica verso la criminalizzazione della donna, mostra insieme il persistere di credenze nella magia nera, le cui manifestazioni, anche le più aberranti, vengono accolte senza ombra di dubbio.
Oltre a queste due opere, ci rimangono del F.: Incomincia lo libro nominato Verità de la alchimia (s.n.t. [ibid. 1525]); Opera nuova molto utile et piacevole, ove si contiene quattro dialogi (ibid., N. Zoppino, 1532); In questo dialogo nominato Spechio dela vit'humana se manifesta che cosa è vita e morte, sanità, infirmitate, calor naturale, calor estraneo, con le cause proprie, e in che maniera l'influencia celeste commove nel aere tante virtù che passano poi e oprano modi variat'in le creature… (ibid., Agostino de' Bindoni, 1535); Veritatis redivivae militia (ibid., Bartolomeo Zanetti, 1539); De calamitoso errore Avicennae, unde communium medicorum orrenda malefitia inter homines cotidie pullulant (ibid., s.t., 1542); De mirabilibus vitae humanae naturalia fundamenta (ibid., "per Bernardinum de Vianis de Lexona Vercellensem", 1543); Il trattato della prisca medicina, nel quale apertamente si dimostra la cagione del anticho errore, dalli primi inventori fin a questi tempi nostri, e perché si divise e moltiplicò in tante sette, con li nomi delli propri authori (Mantova 1545); Il trattato de la peste, dove si fa conoscere, con chiara brevità, l'esser suo e de le proprie spetie, ancora tutto quello che per ciò conviene operare universalmente (Venezia 1556).
Fonti e Bibl.: L. Thorndike, A history of magic and experimental science, V, New York 1941, pp. 263 s.