FASOLO (Faseolo, Faseoli), Angelo
Nacque a Chioggia (Venezia) nel 1426 da Giovanni, notaio e procuratore della cattedrale di Chioggia, città di cui la famiglia era originaria. Non si hanno notizie sulla sua formazione (quella, più volte ripetuta, secondo cui il F. sarebbe stato allievo di Vittorino da Feltre, va attribuita invece, secondo il De Rosmini, al fratello Andrea); sappiamo soltanto che studiò diritto e si addottorò a Padova, dove venne aggregato al collegio dei canonici della cattedrale.
Il 16 febbr. 1457, in seguito alla morte di Bernardo de Venetiis, Callisto III lo nominò vescovo di Cattaro, dove egli risiedette un anno intero trovandosi a dover sostenere i diritti episcopali della propria sede in diverse occasioni. Ma il pontefice lo chiamò presto a Roma, dove riteneva che la sua dottrina e la sua conoscenza del diritto si sarebbero rivelate più utili. Lasciò quindi la Dalmazia e, passando per Venezia, giunse a Roma; qui la sua presenza è documentata almeno a partire dal 10 ott. 1458, quando Pio II, da poco consacrato, convocò in S. Pietro gli ecclesiastici più importanti allora in Curia, una lista dei quali fu compilata da Leodrisio Crivelli, il quale annovera tra gli altri anche il suo nome.
A Roma continuò ad occuparsi della diocesi illirica, nominandovi un proprio procuratore nella persona dell'arcidiacono Giovanni Paltasichio, ma già il 7 nov. 1459 il pontefice lo trasferì alla diocesi di Modone. In questo periodo egli ebbe l'incarico di recarsi a perorare la causa della crociata presso alcuni sovrani della penisola balcanica. Condusse la propria missione in Epiro, Serbia e Rascia con abilità diplomatica e con saggezza, incontrandosi con lo Scanderbeg (Giorgio Castriota), che fronteggiava i Turchi in Albania. Tornato in Italia, il 16 febbr. 1464 fu nominato da Pio II vescovo di Feltre (in luogo di Teodoro Lelli trasferito alla diocesi di Treviso), titolo che mantenne fino alla morte (gli successe il nipote Giovanni Robobello, canonico di Aquileia), non essendo passato alla sede di Treviso com'era negli auspici espressi dal Senato veneto alla morte del Lelli (proba dell'8 apr. 1466: Piana - Cenci, p. 401).
Al periodo del pontificato di Pio II risale la familiarità del F. con Pietro Barbo, il futuro Paolo II (del quale curò, alla morte, l'inventario dei beni), che contraddistinse tutta la sua carriera curiale. Probabilmente il suo ingresso nella famiglia del Barbo va datato tra la fine del 1462 ed il 1463. In una proba del Senato veneto del 30 dic. 1462 egli risulta infatti in gravi condizioni economiche, non in grado di "vivere ac supplere expensis necessariis" (ibid., p. 395), ed è quindi presumibile che a questa data egli non potesse ancora contare sulla protezione del potente cardinale di Vicenza, mentre risulta suo luogotenente in documenti della fine dell'anno successivo (Mazzatinti, p. 86). Da una lettera di Simone da Ragusa a Maffeo Vallaresso del 6 ag. 1464 (Le vite di Paolo II, p. 180) sappiamo che il F., poco prima di questa data, accompagnò il Barbo ad Ancona con il corteo papale che si concluse con la morte di Pio II.
Oltre che di Paolo II, il F. fu inoltre amico e stretto collaboratore di Marco Barbo, divenuto, dopo lo zio, vescovo di Vicenza; in questa diocesi egli si recò in qualità di luogotenente il 27 apr. 1465, accolto festosamente dalla popolazione. Così c'informa un documento dove curiosamente egli è insignito del titolo di conte, titolo del quale però non si conosce l'origine, sebbene sia possibile che ne fosse già in possesso allorché, subito dopo l'elezione di Paolo II, questi gli cedette la commenda di S. Gallo del Moggio, che egli tenne fino al 16 dic. 1467, quando essa passò al nipote del papa Battista Zeno. L grazie soprattutto a questa amicizia (che segnò tutto il resto della sua vita) che egli ebbe un ruolo di grande prestigio e responsabilità in Curia a partire dalla metà degli anni Sessanta e fino al pontificato di Sisto IV, quando tra l'altro, alla morte di Fantino Della Valle, il 27 ott. 1475, gli vennero assegnati alcuni canonicati di cui questi era stato titolare e che il pontefice aveva ceduto a Marco Barbo.
In questo periodo, durante il quale compare più volte tra i provvigionati del palazzo apostolico, il F. ricoprì la carica di presidente della Camera apostolica e, per alcuni mesi (almeno dall'aprile 1470 e fino allo stesso mese dell'anno successivo), anche quella di luogotenente del tesoriere generale della Camera, trovandosi quest'ultimo (che era allora Lorenzo Zane) ad assolvere l'incarico di commissario generale in Romagna prima e di vicario temporale del pontefice nella Marca poi. Gaspare da Verona, che ha tracciato di lui un profilo estremamente lusinghiero, afferma che il F. si dimostrò in ogni circostanza diligente e pieno di umanità; ricorda che egli visitò di frequente le carceri capitoline, preoccupandosi del benessere dei prigionieri e controllando che non vi fossero, tra essi, poveri impossibilitati a pagare i debiti, nel qual caso ne ordinava la scarcerazione; che provvide poi al pagamento dei professori dello Studium, ai quali Francesco del Borgo, incriminato per questo di peculato, sembra avesse sottratto gli stipendi. Tra le incombenze che ebbe a sostenere in questo periodo fu inoltre quella di ritirare, dietro corresponsione dell'equivalente valore in cera, una grande quantità di Agnus Dei che erano stati venduti in Roma con prafiche ritenute simoniache.
L'occupazione più pressante, almeno per gli anni 1467-1469 (a giudicare da una documentazione copiosissima, redatta dal notaio di Camera Gaspare Biondo in gran parte "in camera domini Angeli episcopi Feltrensis", la cui residenza romana può essere per questo legittimamente collocata all'interno dei palazzi apostolici), è quella che riguarda la stipula di condotte militari. È il periodo in cui Paolo II volgeva le armi contro gli Orsini di Tolfa e si accingeva a combattere la guerra di Romagna, ed è probabile che proprio al F., certamente per il tramite di Marco Barbo divenuto nel frattempo camerlengo, fosse affidato il compito di reclutare i necessari contingenti militari, pagare i debiti contratti da alcuni armigeri per l'acquisto di cavalli, chiedere prestiti a importanti mercanti romani, tra i quali Paolo Massimi e Ceccolo Picchi, per affrontare le spese. In qualità di presidente della Camera egli approvò il 23 febbr. 1468, insieme con il chierico di Camera Antonio da Forlì, i conti della crociata presentati per la compagnia dei Medici da Filippo Martelli; è invece come luogotenente del tesoriere generale che il 31 ag. 1470 esortò da Roma il tesoriere del Patrimonio Luca Leni a soprassedere circa l'esazion'e di alcune decime. Del 29 dic. 1469 è un giudizio del vescovo di Fara Niccolò Croci nell'ambito di una lite che opponeva il F. al protonotaio apostolico Vittore Dolfin, per la riscossione dei redditi della mensa del monastero di S. Bona di Vidor nella diocesi di Ceneda suffraganea di Aquileia, di cui egli era commendatario (Arch. di Stato di Roma, Camerale I, reg. 367, c. 73r) e che in seguito (il 13 giugno 1488) con il suo consenso Innocenzo VIII unì al convento dei canonici regolari agostiniani di Venezia.
Dal 1472 al 1476 il F. sostituì Marco Barbo nel governo del patriarcato di Aquileia. Il Barbo infatti, in procinto di varcare le Alpi per la legazione di Germania, il 4 apr. 1472 (così secondo il Vale, p. 20; il 5 aprile, secondo il Paschini, 1943-51, p. 210), di passaggio per Pontebba, fece scrivere al proprio cancelliere Corrado Althamer il documento con cui investiva il vescovo di Feltre di questo governatorato "in spiritualibus et temporalibus" con tutte le facoltà e i poteri giudiziari, amministrativi e pontificali, investendolo inoltre di numerosi benefici da lui detenuti, delle rendite del priorato di S. Giovanni in Gerusalemme a Roma e della pensione annua di 500 ducati d'oro della Chiesa di Costanza, che gli era stata riservata sulle entrate della Camera apostolica.
Il F. si trovò da questo momento a dover affrontare una serie di problemi legati alla situazione del patriarcato che si trovava proprio in questi anni in condizioni assai precarie: in gran parte spopolato a causa di una violenta malaria, esso era nel continuo terrore delle invasioni turche che si temevano soprattutto dalla zona di Udine, al di là dell'Isonzo, e che non tardarono a verificarsi sul finire degli anni Settanta. Inoltre, ad una situazione spirituale piuttosto degradata corrispondeva uno stato di condizioni materiali altrettanto depauperato, in cui perfino le abitazioni del clero erano spesso divenute inabitabili. A tutto ciò si aggiungevano frequenti conflitti di competenze, da una parte, con i Comuni del territorio (primi fra tutti San Daniele e Cividale nel Friuli e San Vito del Tagliamento) e, dall'altra, con le autorità laiche i cui domini si affacciavano su quella zona: l'imperatore ed i conti di Gorizia. Con Federico III, a cominciare dalla fine del 1472, il F. sostenne una vertenza per la prerogativa nell'elezione di alcune pievanie e priorati delle terre soggette all'Impero, ma nella giurisdizione spirituale aquileiese. Su esplicita richiesta del patriarca, che si trovava in quel momento ad Augusta, egli dapprima invitò l'imperatore, nel febbraio del 1475, ad esibire le prove dei suoi diritti, e poi proseguì in una generale linea di difesa delle prerogative patriarcali fino allo scadere del suo governatorato, così come, con analoga procedura, si comportò nei confronti del conte Leonardo di Gorizia, giungendo, nella vertenza con quest'ultimo, alla punta di maggiore attrito nell'autunno del 1475 con la proclamazione dell'interdetto ecclesiastico contro alcune Comunità a lui soggette, sospeso solo più tardi (al tempo del successore del F., Buzio Palmuli), grazie alla mediazione del cardinale Francesco Gonzaga, cognato del nobile friulano.
Ma le principali preoccupazioni del F. furono, sin dall'inizio del suo mandato, la ripresa spirituale e quella materiale della diocesi, che egli persegui attraverso una serie di provvedimenti, intesi a difendere la moralità del clero (soprattutto contro quello concubinario), e di spese sostenute per la riparazione di edifici ed il miglioramento delle condizioni ambientali di diversi Comuni della diocesi; curò in particolare il ripristino generale degli scoli delle acque in tutto il territorio, il restauro del palazzo patriarcale in San Vito e di numerosi luoghi di culto, nonché la costruzione di nuove chiese.
Di tutto egli riferiva al patriarca, anche per informarlo sugli avvenimenti più importanti del Friuli. Il 29 ott. 1476 scrisse al Barbo una lunga lettera in cui, oltre agli aspetti economici ed amministrativi concernenti il patriarcato, trattava del passaggio per il Friuli di Beatrice d'Aragona che andava in sposa a Mattia Corvino e del rischio che correva il corteo principesco a causa dei Turchi, che di recente avevano messo a fuoco Tarvisio e parte della Carinzia inferiore e che tuttora si trovavano in quei luoghi. Nella stessa lettera il F. informava il cardinale della vertenza che aveva con il doge Andrea Vendramin e concludeva con l'assicurazione che il giorno stesso avrebbe lasciato Aquileia.
Il Vendramin aveva avuto negli anni precedenti una lunga questione con il F. che aveva origine in un credito che doveva riscuotere da un cittadino di San Daniele del Friuli, dei quale, dopo essere ricorso ai consoli della Mercatura di quel Comune, aveva investito il governatore del patriarcato senza però averne avuto dal F. pronta soddisfazione. Per questo e per altri motivi il F. fu convocato a Venezia e, dopo il luglio del 1476, costretto ad abbandonare Aquileia, dove lasciò il fratello Alvise. Tra la fine del 1476 e l'inizio dell'anno successivo il Senato veneto affrontò ripetutamente la questione, accordandogli finalmente, il 30 marzo 1477, l'autorizzazione a partire per Roma, con il divieto comunque di metter più piede in Friuli.
Intanto ai primi di novembre del 1476 Sisto IV lo aveva incaricato di istruire, insieme al vescovo di Cattaro Pietro Bruto (entrambi in ottimi rapporti con il signore di Trento Giovanni [IV] Hinderbach), il processo per la beatificazione del giovane Simone da Trento, vittima, secondo la testimonianza di alcuni fedeli, di riti sacrificali pasquali da parte degli ebrei di Trento: sebbene quest'incarico lo tenesse occupato fino al 1481, il suo nome non è rimasto legato alla sentenza del processo.
A partire dal 1481, quando il F. cessò di ricoprire incarichi in Curia, abbiamo qualche informazione su di lui dalle lettere di Giovanni Lorenzi a Marco Barbo. Si tratta per lo più di indicazioni di poco conto che testimoniano la continua familiarità del vescovo di Feltre con il cardinale di S. Marco (vi si accenna, tra l'altro, ad un affare di cui il F., insieme con un amico comune non identificato, avrebbe dovuto occuparsi nell'ottobre del 1489, e alla possibilità che egli potesse raggiungere il Barbo a Palestrina nel settembre del 1490). L'ultima lettera datata, in cui il F. si raccomanda al Barbo per mezzo del Lorenzi, è del 3 ott. 1490.
Presumibilmente dopo questa data, forse verso la fine di quell'anno, e comunque entro il 1490 (non quindi nel 1488, come scritto erroneamente in Farlati, p. 469, e in Giurato, p. 126), il F. morì, all'età di sessantatré anni dieci mesi e tre giorni, e fu sepolto nella chiesa di S. Marco, dove, mentre era ancora in vita, aveva voluto erigere una cappella in onore di S. Giovanni Battista.
Nel testamento, conservato a Chioggia tra i Legata et bona capituli della cattedrale (Bullo, 1882, p. 80), in cui era nominato esecutore testamentario Marco Barbo, successivamente sostituito dai cardinali Oliviero Carafa e Francesco Piccolomini (i quali, il 9 maggio 1502, incaricarono a loro volta Giovanni d'Aragona di eseguire la lastra tombale), il F. lasciò molti beni alla chiesa della sua città natale.
Pur non avendo lasciato scritto alcun testo letterario, il F. può a buon diritto essere annoverato tra gli umanisti che vissero a Roma al tempo di Pio II e di Paolo II. Già si è detto del giudizio che ne diede Gaspare da Verona (il quale ricorda anche di avergli prestato alcune cure). Certamente il F. fu in amicizia con altri umanisti; oltre al circolo di veneziani che facevano capo ai Barbo (Zeno, Michiel, Marcello), secondo il Bullo (1900, p. 254) sarebbe stato in rapporti con il cardinale lacopo Ammannati, che ne avrebbe parlato nelle sue lettere chiamandolo "padre", notizia questa che non pare trovare conferma nell'epistolario dell'Ammannati. Da una lettera di Agostino Patrizi (Roma, Bibl. Angelica, ms. Ang. 1077, c. 116v) emerge inoltre che il F. fu in contatto con elementi del circolo di Pomponio Leto: ciò trova conferma (oltre che nella dedica al F. del Fabius pomponiano) nelle parole dell'umanista romano che, in occasione della congiura, dichiarò che a Roma non accettava come giudice delle sue azioni altri che il vescovo di Feltre (a lui Pomponio aveva confidato la propria intenzione di recarsi in Oriente ad apprendere il greco e l'arabo), e anche nel fatto che fu suo familiare quell'Antonio Settimuleio Campano che figura tra i congiurati del 1468 (forse è al Campano che si riferisce l'oratore milanese Agostino de Rubeis, informando Galeazzo Maria Sforza il 29 febbr. 1468 della cattura dei congiurati, tra i quali era "uno familiare del rev.mo vescovo di Feltre": Pastor, p. 618).
Suoi familiari furono anche Marcantonio (Coccio) Sabellico, la cui amicizia col F. risale certamente al 1472, allorché lo seguì nell'Udinese come suo commorans, e si protrasse almeno fino al 1482 (0 1483), quando l'umanista dedicò al vescovo il De vetustate patriae Aquileiensis (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Latini, classe X, 106 [3726]: Kristeller, II, p. 231), e il giovane Giacomo di Elia di Sebenico, lodato da Gaspare da Verona (p. 63). Gli dedicarono loro opere inoltre Ludovico de Strazarolis da Treviso (l'edizione del commento di Porfirione ad Orazio: Paschini, 1943-51, p. 217); Lorenzo Vitelli, che scrisse in suo onore quale flitterarum et litteratorum cultor" una serie di quarantasei distici (Bibl. dell'Acc. naz. dei Lincei e Corsiniana, Corsin. 582, cc. 3r-5r: Supino Martini e Kristeller, II, p. 109), ed infine Niccolò vescovo di Modrussa, che scrisse dietro sua richiesta l'operetta De titulo et auctoribus psalmorum (Bibl. apost. Vaticana, Urbin. Lat. 586 e Vat. lat. 995) sugli autori ed i significati dei salmi e sulle circostanze che portarono alla loro composizione. Il modrussiense compose l'opera presumibilmente al tempo di Sisto IV e la dedicò poi a Federico da Montefeltro, determinando in tal modo l'invio di una lettera, non datata, dell'urbinate al F., ricca di espressioni di devozione e di stima all'indirizzo del feltrense.
Le fonti sono concordi nel lodare la sua ricca biblioteca, e sono molti i codici che ad essa si possono attribuire: il Vat. lat. 241 contenente la Cronica di Eusebio di Cesarea, scritto da Bartolomeo Sanvito e decorato da Gaspare Romano durante il pontificato del Barbo, dove figuravano le armi del F. poi ricoperte da quelle di Ludovico Podocataro, armi che sono ancora ben visibili nel manoscritto della Bodleian Library di Oxford, Auct. F 4 33, scritto e decorato anch'esso dal Sanvito; l'Ottobon. Lat. 458 della Bibl. apost. Vaticana con decreti del VI concilio di Costantinopoli, anch'esso recante nel frontespizio le armi del F. poi ricoperte da quelle del Podocataro, ed il Vat. lat. 5405, tutti e due scritti dal medesimo copista, nonché il Vat. lat. 1797 (Erodoto) e il Vat. lat. 2053 (Tolomeo), entrambi decorati da Gioachino de Gigantibus, il primo con le sue armi ricoperte da quelle del cardinale Domenico Della Rovere, al pari del manoscritto di Torino, Bibl. naz., E II 22, che il copista Cassio Parmense terminò di scrivere per il F. il 3 luglio 1470 (c. 237: Alessio, p. 212). Il F. infine è ricordato - come uomo di grandi qualità morali e culturali - nell'orazione funebre pronunciata per suo nipote Francesco, cancelliere della Repubblica, da Giambattista Ramusio.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Reg. Vat. 532, c. 266r; Reg. Vat., 673, c. 207r; Camera apost., Diversa Cameralia, reg. 33, cc. 32v, 206v; Instrumenta miscellanea, num. 3911; Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 8066, cc. 1rv, 8r, 10v-11r; Arch. di Stato di Roma, Camerale I, reg. 367, cc. 14r, 19v, 44r, 73r, 95r, 100rv, 104r, 105rv, 118rv, 119rv, 121r, 125v, 154v; reg. 843, passim; reg. 1128, c. 166v; Platynae historici Liber de vita Christi ac omnium pontificum (aa. 1-1474), a cura di G. Gaida, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., III, 1, p. XX; Le Vite di Paolo II di Gaspare da Verona e Michele Canensi, a cura di G. Zippel, ibid., III, 16, pp. 14, 50 s., 63, 148, 176, 180, 182, 213 s.; Leodrisii Cribelli De expeditione Pii papae II adversus Turcos, a cura di G. C. Zimolo, ibid., XXIII, 5, p. 83; G. Vale, Itinerario di Paolo Santonino in Carintia, Stiria e Carniola negli anni 1485-1487 (codice Vaticano latino 3795), Città del Vaticano 1943, pp. 11, 18, 20, 31, 37 s., 45, 47, 51-53, 67, 103, 196, 246, 251 s.; P. Paschini, Il carteggio fra il card. Marco Barbo e Giovanni Lorenzi (1481-1490), Città del Vaticano 1949, pp. 103, 113, 129 s., 172, 178 s., 183, 188, 202 s., 209 s., 213; P. Alatri, Federico da Montefeltro duca d'Urbino. Lettere di Stato e d'arte (1470-1480), Roma 1949, pp. 68, 70; A. Andrews, The 'lost' fifth book of the life of pope Paul II by Gaspar of Verona, in Studies in the Renaissance, XVII (1970), p. 38; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, col. 376; G. B. De Rubeis, Mon. Ecclesiae Aquileiensis, Argentinae 1740, coll. 1058 s.; D. Farlati, Illyricum sacrum, VI, Venetiis 1800, pp. 468 s.; C. De Rosmini, Idea dell'ottimo principe nella vita e disciplina di Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli libri quattro, Bassano 1801, p. 470; C. Bullo, Della cittadinanza di Chioggia e della nobiltà de' suoi antichi Consigli, in Arch. veneto, XXIV (1882), p. 80; G. Giurato, Mem. venete nei monumenti di Roma, ibid., XXV (1883), pp. 125 s.; G. Gatti, Alcuni atti camerali rogati dal notaio Gaspare Biondo, in Studi e documenti di storia e diritto, VII (1886), p. 59 ss.; C. Bullo; Di tre illustri prelati elodiensi segretari di pontefici, in Nuovo Arch. veneto, XX (1900), pp. 245-255, 258; L. von Pastor, Storia dei papi, II, Roma 1925, pp. 335, 362, 618, 742; G. Mercati, Notizie varie sopra Niccolò Modrussiense, in Id., Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937, pp. 238 s.; Id., Ultimi contributi alla storia degli umanisti, II, Città del Vaticano 1939, pp. 10 s.; P. Paschini, in Mem. stor. forogiuliesi, XXXIX (1943-1951), pp. 208-218 (rec. a G. Vale); C. Dionisotti, Iacopo Tolomei fra umanisti e rimatori, in Italia medievale e uman., VI (1963), p. 155; J. Ruysschaert, Miniaturistes "Romaines" à Naples, in T. De Marinis, La biblioteca napoletana dei re d'Aragona. Supplemento, Verona 1968, p. 269; Id., Miniaturistes "Romains" sous Pie II, in Enea Silvio Piccolomini: papa Pio II…, Siena 1968, pp. 265 s., 273-275; P. Supino Martini, Un carme di Lorenzo Vitelli sulle origini troiane di Corneto, in Italia medievale e uman., XV (1972), pp. 348 s.; M. Miglio, Storiografia pontificia del Quattrocento, Bologna 1975, pp. 26, 169, 254; G. Zippel, L'Allume di Tolfa e il suo commercio, in Storia e cultura del Rinascimento italiano, Padova 1979, pp. 377 s.; P. Medioli Masotti, L'Accademia Romana e la congiura del 1468, in Italia medievale e uman., XXV (1982), pp. 191, 197; G. C. Alessio, Per la biografia e la raccolta libraria di Domenico Della Rovere, ibid., XXVII (1984), pp. 194-196, 212; Il costo del libro, in Scrittura, biblioteche e stampa..., Città del Vaticano 1983, p. 378; C. Piana-C. Cenci, Promozioni agli ordini sacri a Bologna e alle dignità eccles. nel Veneto nei secoli XIV-XV, Quaracchi-Firenze 1986, pp. 395, 401, 409, 425; D. Porro, La restituzione della capitale epigrafica nella scrittura monumentale. Epitafi ed iscrizioni celebrative, in Un pontificato e una città: Sisto IV ... Atti del Convegno ... Roma ... 1984, a cura di M. Miglio, …, Città del Vaticano 1986, p. 426; A. Esposito-D. Quaglioni, Processi contro gli ebrei di Trento (1475-1478), I, Padova 1990, pp. 89, 92; M. Luzzati, Vescovi ed ebrei nell'Italia tardomedievale, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Atti d. VII Conv. di st. d. Chiesa in Italia, Brescia 1987, II, Roma 1990 p. 1113; G. Moroni, Diz. di erud. stor.-eccles., VII, p. 8; XLIV, p. 311; LXXIV, p. 283; XCIX, p. 226; G. Forcella, Iscrizioni delle chiese ... di Roma, Roma 1869-80, IV, p. 346; J. W. Bradley, A Dictionary of miniaturists, I, London 1914, pp. 198 s.; G. Mazzatinti, Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, II, p. 86; C. Eubel, Hierarchia catholica…, II, Monasterii 1914, pp. 137, 169, 217; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae, Città del Vaticano 1931, p. 39; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, pp. 109, 231.